venerdì 11 agosto 2017

Paure

Mi è crollata una certezza: io con la malattia non devo proprio averci fatto pace. O non ho proprio fatto pace con la paura.
Faccio una premessa: sono in piena fase di panico, perciò quello che scrivo oggi ha poco di razionale, ed è dettato dal mio unico e solo bisogno di sfogare tensione.

Faccio outing, e mi si dica pure che sono una grandissima incosciente, perchè fondamentalmente mi rassegno a pensare di esserlo davvero. Dopo tutto quello che ho passato sette anni fa, io prima di toccarmi il seno per autoesaminarlo (e so bene come si fa, ormai ho una palestra ben formata) devo avere un momento di coraggio folle, e qui lo dico e qui lo nego, non mi capita poi tanto spesso. Mi sento molto "struzzo", lo ammetto, e non do certo un bell' insegnamento. Ma io non vivo certo per fare la maestra agli altri, io ho i miei limiti e i miei terrori, e uno dei peggiori terrori della mia vita da sette anni a questa parte è il tunnel della paura della recidiva. Non LA recidiva, ma la paura di averne paura. Faccio i miei controlli semestrali come da protocollo, non faccio e non chiedo mezzo esame in più di quelli prescritti dall' oncologo di volta in volta (o ti fidi o non ti fidi, e se non ti fidi che cappero ci vai a fare? Sono pur guarita...), stop. Non ne parlo mai, non ne voglio parlare mai di mia iniziativa se non mi si chiede di farlo (e in quel caso lo faccio senza problemi, comunque, ma solo in quel caso), perchè nella vita "normale" che ho sempre rivoluto lo spazio per una malattia oncologica che oggettivamente non c'è non ce lo voglio far stare. E ok, non pensiamoci più.
Ma mi sto dicendo la verità o mi sto perculando da sola?
Illudiamoci che la mia fifa si mascheri da "tanto ho già dato", che la mia famiglia possa contare sui miei nervi saldi, già peraltro compromessi quotidianamente dagli effetti della menopausa (su cui stendo un velo pietoso). Concentriamoci sul fatto che la mamma ha avuto la sua recidiva dopo sei anni solo per botta di sphyga. Non diamo preoccupazioni più a nessuno, poi. Non sopporto quando i miei cari si preoccupano. Mi sento mortalmente in colpa. No, non è razionale. Ma io in quella cosa tutta code al CUP ed esami e buchi ed accertamenti e visite e attese e ipotesi e passate di scanner e carte che si accumulano e impegnative e referti da ritirare e date da incastrare e spiegazioni da dare e da chiedere e chilometri da fare e biopsie e stomaci chiusi dall'ansia e punti di domanda e ribaltamenti a calzino per ogni pelo incarnito non la voglio più. NON LA VOGLIO PIU'! Non la reggo! Ho dato per me, sto dando per mia madre, basta! Ho altro da fare! E guai al prossimo che mi ricorda che "eh, e per fortuna che ti controllano", si grazie che culo essere guardata a vista dagli oncologi (mica Baubau e Miciomicio) per il resto della vita dai 37 anni in poi, no?

Un mese fa circa, mettendo la solita crema corpo dopo la doccia (ho preso questa abitudine per finire un tubo enorme di crema agli agrumi presa senza tanta convinzione l'anno scorso con la scusa del decluttering selvaggio, e ho scoperto che la combinazione di quel profumo con quello della mia pelle mi piace da impazzire) arrivo al seno e sento il solito gonfiore sotto la cicatrice un po' più grosso del solito. Passo la mano sotto ed è un po' gonfio anche lì. Sul momento ho pensato che magari posso aver dormito messa male, o aver fatto un movimento stupido, poi in questo periodo vai dentro e fuori da certi supermercati dove entri lasciandoti alle spalle il Sahara per trovarti in Groenlandia e prendi certe tirate a nervi e muscoli... e boh, ho lasciato stare.
Dopo una settimana, una domenica sera, in quella che è una delle poche serate di pace sotto al gazebo di questa estate assurdamente torrida e ignobilmente pregna di zanzare, mentre uncinetto placida un modulo identico a decine di altri (sto declutterando... filo numero 12 bianco a pacchi che mi è stato regalato tempo fa) sento calore sul seno operato. Passo la mano. Scotta. Scosto il collo della maglietta, ma è roseo come sempre. Il calore è interno. Vado su, mi stendo, faccio l'autoesame, e scopro che è tutto un grumo duro fin sotto l'ascella. Ed è un po' dolente.
No, ti prego, non ricominciamo la trafila, fai che due pastiglie e via, non voglio, non voglio! 
 
Il mattino dopo vado dal medico, mi visita, mi prescrive due antinfiammatori di cui uno specifico per i linfonodi (per quei pochi che mi sono rimasti), e mi dice di tornare dopo quattro giorni se non fosse cambiato nulla. Dopo quattro giorni uno dei due antinfiammatori mi ha fatto una brutta reazione, mi ha letteralmente steso, così ovviamente l'ho sospeso, e mi sono presentata il lunedì successivo a visita con il seno uguale ad otto giorni prima, si è sfiammata solo la parte ascellare.
Il medico mi rivisita e mi manda a fare una ecografia urgente.
Il giorno dopo faccio l'ecografia, la dottoressa (santa subito) che mi esamina cerca di tranquillizzarmi (dopotutto me lo hanno insegnato gli oncologi anni fa: se fa male al 99 per cento delle probabilità non è cancro, perchè il tumore al seno non è vascolarizzato), ma mi prenota una risonanza magnetica per la settimana successiva. L'eco vede molto poco.
Lunedì scorso ho fatto questa risonanza. Tra l'altro nel Little Hospital, cosa nuova visto che il reparto ha da poco più di un mese il macchinario e quindi il servizio, finalmente. Comodo perchè è vicino, comodo perchè c'è poco da fare, i visi sono sempre gli stessi, sono sempre stata trattata con cortesia, e sono aspetti che aiutano ad affrontare l'esame con un filo di ansia in meno. Comodo perchè il macchinario nuovo di pacca permette di posizionarsi in maniera molto più agevole rispetto a quello con cui ho fatto lo stesso esame nel Big Hospital quasi due anni fa, se pur a pancia in giù.

Ho trascorso cinque giorni in iperattività domestica nonostante la fatica data dalle temperature, per non pensare. Sapevo che l'esame non avrebbe messo fine a niente, che ormai il rovesciamento del calzino è stato avviato, sapevo che non me la sarei asciugata con un'altra fila dal mio medico per farmi dire "sono ghiandole infiammate, passerà" e aver chiuso la pratica così. Ed era quello che più volevo evitare.
Oggi ho ritirato l'esito della risonanza. Nel mio seno sinistro c'è un bel macello, ha l'aspetto di una grossa infiammazione ghiandolare su più ghiandole, non sembra esserci ripresa di malattia, MA mi mandano a visita oncologica alla veloce per precauzione, con tanto di impegnativa con priorità già inserita nella busta assieme al referto e al CD. Sarò vista martedì 22 agosto.
Stia tranquilla ma balliamo ancora.
E non ci sarà nulla di preoccupante. Perchè lo so. Ma questo seno così non deve stare perchè non è normale, e una soluzione va comunque cercata. Altri farmaci, una biopsia, che cappero ne so, vedranno loro. Gli eccessi di scrupolo sono la regola dove vengo curata, una eccezione forse in questo Paese dove il più delle volte si parla solo di lassismo in tal senso, tanto di cappello e tanto di grazie vista comunque la fatica che fanno. Va bene così.

Ma sono sincera. Non la sto prendendo bene. Me ne sono resa conto sul lettino dell'ambulatorio della radiologia, mentre la dottora passava lo scannerino sul seno durante l'ecografia. Sono entrata sorridente ed energica, ma quando la dottora ha detto che non vedeva nulla apparentemente che la facesse pensare ad una recidiva, senza capacitarmene io stessa mi sono ritrovata il viso bagnato. Come, non lo so. E non era sudore. Mentre tornavo a casa, già sapendo di dover attendere la telefonata per la risonanza (mi è stato detto prima di essere congedata), ho pianto. Non per la paura, ma per la mia debolezza. Per la vergogna di non essere l'immagine della perfezione che probabilmente ho sempre preteso da me, e di cui mi sono resa conto solo in questo periodo.
Quando ho assistito alla seconda diagnosi di mia madre, lo scorso gennaio, mentre il chirurgo interrogava lei, l'oncologo mi ha fissato per un momento, e deve essersi accorto che trattenevo il groppo in gola. Mi ha sorriso, ha spostato lo sguardo sul monitor che aveva accanto, e ha detto al chirurgo che stava dall'altra parte della stanza "A Sara si stanno risvegliando vecchi fantasmi, ed è comprensibile". Mi sono scusata.
 

E' vero. E non riesco a farci proprio niente. Ci sono cassetti che più cerchi di tenere chiusi e più il contenuto preme per impedirtelo. L'ho negato con tutte le mie forze quel fantasma, perchè pensare al cancro dopo sette anni l'ho sempre ritenuto una cosa stupida, da persone fragili, e io ho delle responsabilità in famiglia, non posso essere fragile. L'anno scorso le conseguenze delle cure ormonali si sono portate via utero ed ovaie lasciandomi in cambio una menopausa chirurgica che non sto tollerando proprio nel migliore dei modi, ma me ne sono fatta una ragione in qualche mese, e se brontolo o se ho degli scompensi di varie nature (praticamente ogni giorno) non la maledico più, so che devo farci i conti e pace, ma trascinarmi il pensiero del "mio" tumore al seno è una cosa che rifiuto da anni. Non voglio sentirmi come una bomba ad orologeria, perchè molto probabilmente non lo sono proprio, di tumore al seno oggi si può guarire. Non voglio fare la piattola che piange per una cosa ormai lontana, ho una avversione istintiva verso le donne che non sanno parlare d'altro che del loro cancro al seno dopo trent'anni come se tutta la loro vita si fosse fermata lì e dovessero morirne domani, quando ce ne sono ancora troppe che sono nel bel mezzo della bufera delle cure pesanti (e non parlo della terapia ormonale) che avrebbero tutti i santi motivi per cercare spalle su cui appoggiarsi perchè non riescono a guardare più in là del passo successivo a quello che stanno facendo oggi. La scorsa settimana ho dovuto chiamare in oncologia per fissare un appuntamento per mia madre, e indovinate un po'? Ho dovuto cercare il numero di telefono del reparto nella rubrica perchè l'avevo bello che dimenticato. DIMENTICATO. Cioè, pur facendo controlli ancora semestrali, non ho mai, MAI negli ultimi anni  sentito o avuto oggettivamente il bisogno (anche psicologico) di telefonare per qualsiasi cosa, perchè la mia salute l'ho sempre gestita col mio medico di base alla estrema bisogna e con gli specialisti del caso per le altre cose, che per una persona con una vita "normale" è la cosa più "normale". In questi sette anni ho fatto una infinità di cose, ho desiderato crescere, ho fatto progetti, ho costruito, intessuto rapporti, realizzato piccoli desideri, mi sono ripresa la vita. Sto crescendo mio figlio, ed è il pensiero più importante delle mie giornate. Non la malattia, mio figlio.
E adesso sono qui di nuovo in preda all'ansia, senza capire perchè, dato che oggettivamente la cosa più probabile è che tutto si risolva senza conseguenze. E soprattutto a condannarmi per questa debolezza. Eppure mi chiudo in me stessa, nascondo quello che vivo, mi rifiuto di dire a chicchessia  che sto vivendo giorni pesanti. Ho vergogna. Tutti hanno i loro problemi alla fine, e ci sono cose oltretutto che non voglio sentirmi dire, perciò mostro solo la faccia che voglio mostrare e mi proteggo.
No, non va bene. Non va bene che dopo sette anni debba riscoprire certi pensieri. Non va bene perchè mi sembra di non essere mai cresciuta. E in questo momento mi è intollerabile.


venerdì 4 agosto 2017

Lavori

Eccomi.
Non sono evaporata, benchè siano mesi che non aggiorno il blog e la temperatura di questi giorni possa far pensare ad una scomparsa per liquefazione.
Sono qui con i miei pensieri, le mie ansie, i miei mal di stomaco e i miei sbalzi di umore. E tutto il resto. O quasi.

Riassumo brevemente l'ultimo periodo.
Il Power è stato promosso (non c'era da dubitarne, anche se è arrivato al giorno dell'esposizione dei quadri alle porte della scuola con un carico di ansia non indifferente). Uno dei suoi due migliori amici, il Sam, è stato bocciato: l'altro, il famoso Gi di cui qui ho scritto decine di volte, è stato bocciato l'anno scorso. Ergo: siccome la cosa della bocciatura del Sam non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, perchè grazie al cielo in questi anni (a differenza dei nostri) le probabili bocciature vengono fatte ventilare alle famiglie e ai ragazzini alcuni mesi prima di giugno, nelle settimane precedenti la fine della scuola il Power era stato preso da un pensiero che è assurdo se fatto da un adulto, ma nella mente contorta di un adolescente sto imparando che... ci sta. Si era messo in testa che chiunque si fosse  affezionato a lui sarebbe destinato alla bocciatura. Inoltre, come conseguenza diretta, prima o poi toccherà a lui, e se mamma e papà continuano a dirgli "non abbiamo ricevuto lettere nè convocazioni da parte dei prof", mentono per non farlo smettere di lavorare sodo prima del tempo. Non ha nessun senso, se si pensa che basta fare due conti sommando i voti delle verifiche sul libretto e facendo le varie medie per vedere scritto nero su bianco che l'unico buco del semestre è in storia, e non si boccia nessuno per un solo "buco". Ma andateci voi ad esplorare la testolina di un tredic-e-mezzenne che vive nel suo mondo, con l'autostima sotto ai sandali, e per il quale i visionari sono gli adulti alieni che lo circondano.
In ogni modo adesso si sta facendo più serio il pensiero della scuola superiore, e si, faccio outing: il Power punta al liceo scientifico. Ne ha visti due con la scuola (vedi post precedente) e gli sono piaciuti moltissimo, se ne è discusso in casa, ha dato un'occhiata alle materie di studio e gli sono brillati gli occhi, i prof hanno tirato fuori il discorso durante gli ultimi colloqui (lo scorso maggio) e sono concordi nell'affermare che il Power ha una testa da liceo scientifico, anche se gli manca il senso di responsabilità necessario per intraprendere un percorso di studio che prevede tanto impegno su base teorica. In parole povere è ancora molto, molto crudo. Ma si tratta di un ragazzino che non ha ancora quattordici anni, che ha ancora mesi davanti per crescere in tal senso, che può anche darsi che cambi idea come pure no, e che se dovesse sbattere il naso si tamponerà il necessario, perchè non gli faremo mancare nè le garze nè la busta del ghiaccio. Ora tutto è possibile. Però, e qui lo dico sottovoce da mamma che nella vita ha fatto tutt'altro perciò in materia perfettamente ignorante, io quella testolina macchinatrice senza sosta e curiosa come un gatto di poche settimane, con una memoria da computer del fisco e la cui lettura preferita (romanzi fantasy a parte, quelle sono il top del top nella sua biblioteca personale) sono le riviste "Focus" da tempo immemore (si è pappato tutti i numeri arretrati che collezionava mio marito da giovane, conservati dai miei suoceri, e quelli di qualche anno fa che possiede mia madre li ha consumati a forza di sfogliarli a ripetizione)... si, ce lo vedo e mi inorgoglisco. Ma lo tengo per me.

Le prime settimane delle (sue) vacanze l'Omo ha preso licenza, e ci siamo dedicati a due lavori molto... fisici. Il primo, il più pesante: abbiamo ridipinto le camere da letto.
Arancio e giallo per la camera del Power


 (bleah... per me sarebbe una cosa intollerabile aprire gli occhi al mattino e vedermi schiaffata addosso una parete color zucca, ma de gustibus...), azzurro molto intenso quasi blu la nostra

(come era prima). Un lavoro più pesante del preventivato, soprattutto la cameretta, che una volta finito di svuotarla, guardando a tutto quello che siamo riusciti a tirar fuori da quella stanza, non mi capacito di come sia riuscito a starci tanto materiale dentro. Ho colto l'occasione per costringere i miei uomini ad eliminare un po' del loro ciarpame assieme al mio, avendo scoperto quella manna dal cielo che è il metodo Konmarie che mi sta aiutando non solo a fare spazio ed ordine, ma a rivedere anche alcuni parametri della mia vita. Ma è un discorso a parte. Comunque, il Power ha finalmente buttato (BUTTATO) un discreto quantitativo di giocattoli rotti, e si è liberato di giochi di quando era molto piccolo ancora in perfetto stato destinandoli al centro d'ascolto di zona che li ha presi volenteri, mentre uno scatolone di libri cartonati e con le finestrelle ha preso la strada della biblioteca comunale. Mi ha meravigliato la serenità con cui il Power ha affrontato questo distacco, è la prima volta che si libera di qualcosa di suo in questo modo. L'operazione gli ha richiesto un intero pomeriggio, e ho lasciato fare totalmente a lui. L'ho sorpreso solo un momento guardare un vecchio gioco in plastica con gli occhi lucidi, una vecchia locomotiva rossa con i particolari dorati grande come due mani spalancate, l'ho sentito sospirare a fondo, non ho voluto che notasse che lo stavo guardando e mi sono nascosta dietro alla porta socchiusa. E' durata un paio di minuti. Poi ha riposto il vecchio gioco nello scatolo da mandar via, e ha proseguito ricominciando a canticchiare come prima.
Cresce. E devo sforzarmi di lasciarlo fare a modo suo.
Seguitamente al lavoro di pittura (e con quello che è seguito dopo di sistemazione, decluttering, riordino, pulizia, eccetera eccetera) l' Omo ha aperto e pulito la canna fumaria della stufa a legna, con annessi e connessi. Immediatamente dopo è arrivata la prima metà del carico di legna per il prossimo inverno (la seconda è arrivata la scorsa settimana), perciò lui e il Power si sono dedicati allo svuotamento della legnaia e alla sistemazione dell'ambaradan nuovo.

Finito tutto, l'Omo ha ripreso a lavorare, il Power ha iniziato a fare i compiti e a frequentare il centro estivo della parrocchia (che termina proprio oggi), e io proseguo nel konmarizzare casa e vita un po' alla volta mentre mi occupo di loro. E di una mastite che mi sta facendo fare un po' di corse che non avevo messo in preventivo. Ma questo è un altro post.