giovedì 26 ottobre 2017

Pezzetti

E poi arriva la botta.
Arriva di notte, quando non riesci a dormire perché nelle ultime 48 ore tra anestesia e morfina hai totalizzato un numero di ore da incosciente superiore a quello da lucida. O sarà il letto dell' ospedale. O i rumori di sottofondo a cui non sei abituata, la mancanza del respiro di chi ami vicino e del pelo caldo dei mici addosso. O la combinazione di tutte queste cose.
Arriva la botta, e piangi.
Ti dicono che è andato tutto bene.
Ma non va bene niente, perché ti senti fatta a pezzetti dentro e fuori.

domenica 22 ottobre 2017

Cambiamenti

Non vogliatemene se non ho risposto ai commenti che mi avete lasciato al post precedente. Io vi ringrazio tantissimo.
Non riesco a rileggerlo.
Giovedì ho fatto il prericovero, e venerdì mattina la scintigrafia ossea.
Ero nel bunker. Mi hanno iniettato il mezzo di contrasto, mi sono accomodata nella sala d'attesa dotata di tv (sintonizzata su un canale, non ricordo quale, che trasmetteva un programma sul referendum di oggi in Veneto - sono veneta, ma in quel momento fregagnente di chiunque) e di scorta d'acqua, in pace col mondo sapendo di dover attendere le mie buone due ore prima di passare sotto lo scanner. Mi ero portata un libriccino di parole crociate, qualcosa da leggere, un lavoretto da portare avanti ad uncinetto, tutto perchè il telefono là sotto non prende, quindi largo ai vecchi sistemi per passare il tempo.
Dopo una decina di minuti entra lei. L'operatrice del Little Hospital che accompagna nel Big Hospital i pazienti ricoverati a fare quello che nel primo non è possibile fare. Accompagnava un uomo a fare una scinti. La morsa allo stomaco: era la stessa donna che ha accompagnato me e una mia compagna di percorso sette anni fa a fare lo stesso esame per il linfonodo sentinella. Vedere lei, e sentire contemporaneamente altri due pazienti iniziare a parlare dei loro mali, mi ha provocato un tremore che non sono più riuscita a frenare per il resto del tempo. Ho cercato di contenermi, di farmi piccola, di sparire sul fondo della sedia per non farmi vedere. Il desiderio fisico di fuggire di lì. La consapevolezza di non poterlo fare senza assumermi la responsabilità di quello che sarebbero state le conseguenze: non sapere. Il forte desiderio di vomitare. La ricerca affannosa di tutte le mie coperte di Linus: ripetere a memoria la mia parte da contralto di un canto di Natale, ricordare la sensazione del muso di Amy che si strofina sul mio, e due e venti e cinquanta passaggi destra-sinistra-destra-dai che con l'EMDR ho sempre trovato il filo di pace necessario per superare il picco di crisi. Mi ha rilassato sentirmi chiamare dal tecnico abbondantemente prima delle due ore previste, sdraiarmi sul lettino, dai che ci siamo, lo scanner fa il suo lavoro. Dai che ce la faccio. Di nuovo.

Questo mi sta facendo la Bestia Bis. Non riesco più a sentir parlare di male. Perfino del mio. Men che meno di quello degli altri, e dire che ascoltare mi è sempre venuto congeniale, raccogliere sfoghi e richieste ha sempre fatto scattare dentro di me una molla piena di vita e di disponibilità sincera. Sarà la sindrome della crocerossina, che ne so. Oggi non è più così. Mi si rivoltano le viscere. E' un malessere proprio fisico. Oggi ha chiamato mia suocera per dirmi due cose, sentivo il suocero in fondo alla stanza che le suggeriva con insistenza di dirmi che aveva male qui e là per via di due infiltrazioni ai polsi fatti sabato, io per la prima volta in vita mia le ho detto con ben poca educazione di dirgli di finirla di frignare (le ho proprio detto "ma che la smetta, si guardi un po' di televisione e gli passa", lei mi ha risposto "che vuoi farci, porta pazienza, vuole che ti tenga informata e vuole che tu sappia che non può venire al telefono", e io di rimando istintivamente "eeeeeeh va ben, lo sappiamo tutti che ha i suoi dolori" ) che dovevamo parlare del ragù che lei aveva preparato per i miei uomini e non sapeva come porzionare. Posata la cornetta mi sono vergognata da-mo-ri-re: in vent'anni non mi era mai successo prima, di mancare loro di rispetto in questo modo. Confidenza ne ho sempre avuta, ma non oltre certi limiti. Mi sono morsa la lingua. C'è che quando ho iniziato a sentire "dille che il dottore mi ha detto di non muovere le mani" in sottofondo ho sentito un bisogno incontrollabile di vomitare.
Ho avuto un conato di vomito quando due giorni fa la mamma mi ha accennato ad un problema di pressione alta di una delle zie.
Ho chiuso bruscamente una conversazione via watsapp con la cuggggina con cui ci si sente praticamente tutti i giorni, quando ha iniziato a lamentarsi di un improvviso raffreddore che l'ha costretta a ricorrere all'aerosol. Stavo nella saletta d'attesa per la TAC. E no, per quanto io la critichi spesso dentro di me per questo suo modo di ingigantire in maniera teatrale ogni più piccolo fastidio che le capita, le ho sempre dato corda prima d'ora perchè ad essere gentili non ci si perde mai. 

Il mio intervento è stato anticipato a martedì 24, dopodomani. C'era posto, e mi hanno inserito in lista. Forse è meglio così, togliamoci di dosso sta Bestia e forse se ne va anche la morsa allo stomaco. Nell'ultima settimana ho perso un chilo. Oggi è domenica, il Gatto Alfa è ai seggi e chissà a che ora di domattina tornerà, io e il Power abbiamo passato la giornata un po' da soli giocando a giochi da tavolo e un po' dalla nonna. La pace domestica che spesso ho giudicato "noiosa" oggi vorrei che non finisse mai.
Ieri la mamma ha parlato alla nonna. Ora lo sa anche il resto della famiglia. Due cugine si sono fatte subito presenti con messaggi di affetto. Domani chiamo la nonna, voglio sentire la sua voce, lei che ne ha passate un milione (quattro tumori compresi) e sta ancora qui a canzonare la vita col suo sarcasmo che, nonostante spesso sia stato difficile da tollerare per chi le sta vicino, adesso mi tira stranamente su. Sapere che la mia malattia non è più un segreto, è come sapere che posso chiedere "aiutatemi a stare in piedi". 

Non doveva andare così. Sette anni fa a quest'ora avevo già tirato fuori le palle. Ero io che rassicuravo. Ero io che ci scherzavo sopra. Ero io che cercavo contatti con persone già passate attraverso questa strada per avere rassicurazioni, informazioni, scambio, crescita, forza. Quando ho avuto la diagnosi, due settimane fa, sono uscita dall'ambulatorio bella carica pensando "sono stata una donna cazzuta quella volta, me lo hanno detto tutti, vuol dire che POSSO, che le unghie le ho, è ora di tirar fuori quello che ho imparato".
Stavolta c'è il rifiuto del mio e di quello degli altri. Non so perchè, ma è così, è come se si fosse verificato in me un cambiamento improvviso, violento e radicale, e l'unica opzione che mi sembra accettabile ora è prenderne atto e dargli lo spazio che chiede senza sentirmene in colpa.
Stavolta l'ansia la fa da padrona, la certezza che o la affronto in piedi o finisco sdraiata è uno schiaffo a mano aperta che mi sveglia ogni mattina, e quella sottile malcelata richiesta " tu che sei forte aiutami a tollerare la tua sofferenza perchè sto male per te" che mi arriva da più fronti mi rimbomba nell'anima come qualcosa di inaccettabile.


martedì 17 ottobre 2017

Lo sfogo - la Bestia Bis

La visita oncologica c'è stata. Alla Bestia è stato dato un nome. Il percorso è stato programmato, anche se i dettagli vanno aggiustati via via.
La Bestia, stavolta, è brutta. Si, ok, trovatemi voi le Bestie belle, tra quel tipo di Bestie. C'è che quella che ho avuto sette anni fa, in confronto, era un agnellino. Mai avrei pensato di poterlo dire.
Questo è un triplo negativo. Subdolo. Stronzo. La Bestia Bis. Uscito dal nulla così, aggratisse. Che nelle ultime settimane mi sono spaccata il sistema nervoso dai sensi di colpa, perchè ho saltato tante, TANTE pastiglie di terapia ormonale in sette anni, ma cacchio, ho fatto CINQUE anni di Decapeptyl, quando i protocolli standard ne vogliono due, tre al massimo. Ho anche tolto le ovaie assieme all'utero, che l'utero se n'è andato per la displasia all'endometrio, ma le ovaie erano sane, e ho accettato di farle togliere solo per prudenza, per prevenzione di una recidiva. E invece no, arriva questo, che dal finestrino che si è aperto in me mi fa cenno con la manona e mi dice con voce canzonante "del mio collega ti eri ben che liberata, eri proprio guarita di lui, ma io con lui non ho proprio niente a che fare, quindi togliti i sensi di colpa, perchè la tua è solo una grandissima botta di spheega". Che consolazione.

Mi aspetta, stavolta, la mastectomia radicale. E' già stata fissata per il 31ottobre. Mi ricostruiranno il seno. Nel mezzo, TAC e scintigrafia ossea, perchè se non c'è il terrore delle metastasi non ci accontentiamo mica.
E poi... Chi col triplo negativo si è già scontrata, sa che arriva il resto. Non ci si scampa. Non c'è altra arma, e che sant' Onco ce la mandi buona.
La chemio.
Cazzo, la chemio. Che quando ho realizzato la cosa, nella mia solitudine, mi sono lasciata andare ad una crisi isterica da vergognarmi di me. Ma se c'è una decisione che sto maturando in questi giorni è proprio quella di portare rispetto prima per il mio sentire, poi eventualmente per quello degli altri, e allora si, lo dico, ho urlato, ho lasciato uscire tutto il mio rifiuto per quella porcheria, che hanno poco da dirti "pensa che ti salva la buccia", ma intanto te la devi pippare, ti devi di nuovo lasciar rivoltare i visceri e non solo quelli da lei, e trovatemela anche solo una,  UNA donna che lo fa volentieri come fa volentieri una manicure. Averne lo schifo più schifo è un mio diritto.

Passano i giorni. Mi sto attivando. Perchè il momento dello sconforto e della caduta nel vuoto passa, la paura di non farcela rimane, la terra trema ancora sotto ai piedi, ma c'è tanto da fare, e a guardare al passo che sto facendo man mano ho imparato sette anni fa, ed è ora e tempo di rientrare in quella mentalità. Questo ora la vita mi chiede.
Ho fatto acquisti. Pigiami, biancheria nuova, e due foulard. Non voglio cappelli stavolta. Quelli della menata precedente (vedi un po' la vita come va, a volte...) non li ho conservati: lo scorso giugno, in occasione della imbiancata (imbluata...) della camera matrimoniale ho preso la palla al balzo e ho svuotato gli armadi, eliminando un milione di cose che stavano prendendo polvere da anni e che sapevo non avrei più adoperato. Tra queste cose, i miei cappelli che usavo per coprire la pelata. Tutti eliminati, tranne uno o due che mi piacevano particolarmente e che ho usato anche in seguito. Il resto... via. Ma penso che non li avrei rivoluti nemmeno sapendo a cosa sarei andata incontro ora, perchè non mi piacciono più. Ho un'altra età, un altro fisico, altri gusti, così ho deciso di cambiare. Intanto ne ho presi due. Un cappellino per stare in casa e basta. E orecchini vistosi per riempire quel vuoto odioso tra testa e collo che ti fa sembrare non solo malata, ma anche rassegnata. E no, rassegnata io proprio no, non a 44 anni, non con una famiglia da amare, non con un figlio da crescere. Dio, questi pensieri sto a fare... Si, cappero, io ci tengo. Datemi della donna senza spessore, pensate pure che i problemi durante la malattia sono altri, non mi importa. Ho bisogno di appigli per tenere su l'anima, ho fatto fatica a tornare ad avere un aspetto che mi piace dopo la malattia, è il mio appiglio e mi ci aggrappo con tutte le mie forze. Questo non mi preserva da tutto il resto, e sa il cielo quanto profondo sia l'abisso che riguarda quel "tutto il resto", ma mi aiuta a viverlo meglio. A guardarmi allo specchio e non vedere la malattia prima della donna, ma il contrario. E vedo tutorial su youtube creati da Donne come me che mi spiegano come annodare il tessuto, e anche come truccarsi. Appigli. Appigli per aggrapparsi alla vita. Appigli per cambiare il verso con cui guardarsi. Ho una malattia. Non sono LA malattia.

Un po' alla volta la gente intorno a me lo sta venendo a sapere. A qualcuno lo dico io, a qualcun altro l'ha detto mio marito. Qualcuno l'ha saputo da mia madre. E come sette anni fa, c'è chi si offre subito di aiutare in qualche modo, e chi sparisce.
Chiariamo. Non mi permetto di giudicare le reazioni di chiunque davanti a una cosa così abnorme. Ognuno ha il suo modo di porsi davanti a queste cose. Ma lo dico fuori dai denti: il silenzio che adotta la gente quando fuori la scusa "ho paura di disturbare" mi dà ai nervi. Ottima scusa per lavarsene le mani. Prendete in giro qualcun altro: se tacete, tacete perchè o non ve ne frega niente, o perchè avete paura, ma non di disturbare.  Sarà che io parto dal presupposto che un malato non si lascia solo. Sarà che so cosa vuol dire avere non una semplice paura, ma il terrore puro. Sarà che per me il vuoto è non solo una cosa che ti fa sprofondare, ma è umanamente inaccettabile. Ma non rende ciechi. Una telefonata non disturba. Un messaggio su whatsapp non disturba. Un gesto gentile non disturba. Dite "sto sulle mie perchè non sono in grado di aiutarti, di portare il tuo peso, perchè ne ho di abnormi da risolvere di mie, non ho tempo, mi si è scaricato il telefono, non sapevo della tua condizione, non so che fare, la malattia mi spaventa", ma se dite "ho paura di disturbare" è come se diceste "non contare su di me". Ed è una cosa che mi segno, e mollo. Non con astio, ma adesso ho bisogno di forza, non posso concentrarmi su altro.

Una persona di mia conoscenza, una cara amica, in lacrime mi ha chiesto quanto fossi arrabbiata. Si è meravigliata quando ho risposto che provo tanti sentimenti, fuorchè la rabbia.
Mi arrabbio quando qualcuno mi pesta i piedi, quando mi si dice una bugia, quando mi si fa un torto, quando mi si manca di rispetto, quando mi si usa violenza verbale, quando vengo presa per quello che so di non essere. Ma adesso con chi me la prendo? Con chi mi devo arrabbiare, con la vita? La stessa vita che mi ha dato anche tante cose buone? Cos'è, la prendo a insulti per cosa? L'ha fatto apposta? Che abbiamo tutti le nostre croci, e allora dovremmo essere tutti incazzati a morte con la vita? E cosa faccio, pesto i pugni? E poi? Risolvo cosa? No, la rabbia è l'ultima cosa oggi. C'è tanto di altro, ma la rabbia no. Quello che mi manca è un pianto. Non sono ancora riuscita a farlo. Ci ho provato. Al primo singulto mi si è bloccato il collo, è partita una stecca alla cervicale, e mi sono fermata. E con questo ho un groppo abominevole in corpo.

Proteggere. Mi viene chiesto di proteggere mio figlio dal dolore, e questo è un capitolo a parte su cui oggi non me la sento di soffermarmi. Mi viene chiesto di proteggere mio marito, perchè ha grossissimi problemi sul lavoro, e soffre da morire, che questa mia situazione lo ha sderenato ulteriormente. Metà della mia famiglia non lo deve sapere, perchè quella metà andrà a riferirlo dritto dritto alla nonna (è già successo per altre cose, no, non esagero nè sottovaluto), e non vogliamo che sappia. A 92 anni si ha tutto il diritto di vivere in pace. Soprattutto se non si può verificare di persona come stanno le cose, perchè la distanza è troppa.
Mi è stato chiesto di proteggere mia madre, perchè è già provata dalla sua recente recidiva. E vive sola, ed è fragile. E di non sfogarmi con i miei suoceri, perchè hanno i loro problemi.
Qualcuno giorni fa mi ha telefonato per sapere come stavo. Quando ho iniziato a raccontare quello a cui sto andando incontro, ha cercato di tagliare corto la telefonata.
Proteggi chi ti ama, fingiti positiva, ottimista, ridi, buttala in vacca, punta il faro sulle tette nuove che ti fai fare e facci le battute sopra, tralascia il dettaglio che ti senti devastare i nervi perchè ti mutileranno fuori e dentro. Di nuovo. E senza sapere se servirà a portare a casa la buccia intera, peraltro. Che oggi va di moda il malato propositivo, positivo, quello che mette la maschera da tigre e racconta di andare a fare la chemio come quando va a prendere l' Ostia in chiesa. Quello che si, sta male, ma non lo fa pesare a nessuno, perchè bisogna poter dire "che bravo". E ci si può riuscire, fidatevi. Ma cazzo, quanto costa. Perchè poi hai una facciata da tenere in piedi, e guai se per un momento ti lasci andare, perchè l'anima pia che ti ricorda che "tanto tu sei forte" arriva puntuale a farti sentire più debole, così, di un debole qualunque. E io, adesso, non ci riesco. Proteggo mio figlio. Proteggo me stessa. Per il resto del mondo, da oggi non ce n'è.

Proprio da oggi. Oggi ho fatto la visita chirurgica con il chirurgo plastico.
A causa della pregressa quadrantectomia, a causa della pregressa radioterapia, a causa della chemio che farò, a causa del blablabla, considerando questo e quello, è stato deciso che farò il percorso di ricostruzione con l'espansore. E sarà lungo. E tornerò in sala operatoria da qui a circa un anno. E su e giù per il Big Hospital ogni due o tre settimane. E un'altra minestra da digerire.

La ricostruzione è il minimo, mi hanno detto.
I capelli sono il minimo, mi ha detto la mia amica Se.
Dei capelli fregatene, ha ripetuto l'altra mia amica, la Ci.
Tanto è passeggero, mi ha detto la Cla.
Tra un anno ci ridiamo sopra, è arrivato dalla Fla.
Se bisogna passare l'inferno si passa l'inferno, ti dice chi "quell' inferno" l'ha solo sentito nominare e non ne ha mai assaggiata una goccia.
Tutto è il minimo. Tutto è passeggero. Tutto è facile, finchè la somma di tutti i minimi  non te la fai tu. Come quando sei nel pieno di una crisi di ansia e ti dicono "e allora calmati".
C'è che oggi ho deciso che da ora in avanti, finchè non sarà passato il violaceo del livido che ancora mi scotta sulla pelle del collo, mi proteggerò e dirò la verità.

Mi chiederanno come sto.
Risponderò che oggi sto di merda.




venerdì 6 ottobre 2017

Di nuovo nella bolla

Certi protocolli li conosco. E a volte essere ignoranti giova, ve lo giuro.

C'era la stessa dottoressa di sette anni fa a fare il prelievo.
C'era la stessa infermiera a tenermi la mano.
C'era lo stesso anatomopatologo.
E fin qui possono essere benissimo casi.

Ma come sette anni fa dopo il primo prelievo non sono stata più guardata negli occhi.
Come sette anni fa ne sono stati fatti altri due, sotto anestesia locale, con un ago molto più grosso contenente un piccolo bisturi. Non previsti.
Come sette anni fa la dottoressa che ha effettuato i prelievi ha dovuto forzare parecchio per farli, perchè la massa è non solo circondata da tessuto infiammato, ma piuttosto dura.
Come sette anni fa mi è stato detto che mi avrebbero fissato loro l'appuntamento dal senologo, dopo avermi consegnato il referto.

Ma come sette anni fa il referto non mi è stato consegnato in mano. Come sette anni fa, mi è stato fissato telefonicamente l'appuntamento per la diagnosi. Come sette anni fa, dopo quattro giorni. Come sette anni fa, di lunedì.

Ma ho già saputo. Ieri. Non serviva la telefonata. Non serviva nemmeno l'altra mia telefonata di conferma, ma ho voluto farla lo stesso. E ho saputo.
Perchè certi protocolli, quei protocolli, li conosco. Tre volte ci sono passata, tra me e mia madre. Questa è la quarta.  Chi non sa di cosa parlo ha poco da dirmi "eh... ma... magari no..." per tranquillizzarmi, non sono una bambina. Nemmeno una vecchia rimbambita. E dove si trova il reparto di oncologia non me lo devono indicare.
Ora mi manca solo da sapere il "come". Perchè il "quando" l'ho già saputo anche quello: alla svelta.

E' tornata la Bestia.

E forse, appena riesco ad uscire da questa ennesima bolla con la testa, recupererò un minimo di lucidità necessaria per essere obiettiva, realista, e meno impanicata.
Forse anche a fermare la testa e a ricominciare a mangiare. E a scrivere.

Ma ora sono sento solo la stanchezza e il vuoto.