giovedì 13 giugno 2019

Ciao Meg

All'inizio, ma proprio inizio-inizio, fu Yahoo Messenger. Era il 2002, avevo messo internet in casa da boh, forse un mese o due.
Due finestre aperte. Una per lei, l'altra per una amicizia in comune. Entrambe poco più che sconosciute.
-"Ma con lei si parla solo di gatti?".
-"No, credimi, prova ad affrontare qualsiasi altro argomento, vedrai".

Poi è venuto tutto il resto, in crescendo, un rigagnolo che via via si trasforma in torrente, e diventa fiume. E come un corso d'acqua ha tratti in discesa, tratti pianeggianti, qualche cascata, centinaia di metri in cui l'acqua sembra quasi ferma ma non lo è, e come il corso d'acqua attraversa i paesaggi più diversi, raccoglie gettiti da altri canali, cambia panorama, talvolta si nasconde sotto terra per poi riemergere più avanti nella sua pienezza.
I gruppi virtuali. I lavori fatti a più mani. I progetti ideati assieme. Le chiacchierate via etere fino a notte fonda, un paio di volte anche a capodanno, quando entrambe eravamo sole ognuna a casa sua per motivi diversi, ma connesse.
Gli incontri. Gli abbracci. Forti. Stretti. Quelli che piacciono a me. Troppo pochi, ma veri. I rimpianti, miei, di non essermi sforzata a viverne di più. Il rimpianto di non aver mai avuto il coraggio di dirle che no, non era pigrizia nè disinteresse: erano solo profondi attacchi di panico che mi inchiodavano le gambe.
Le telefonate fiume. Gli scambi di regali due volte l'anno. Tanti, pensati, con la stessa scatola di cartone o la stessa bustona gialla riciclati più e più volte, "che così niente va sprecato" dicevamo. I libri. I ricami. I tessuti. Gli scritti a penna biro, perchè a noi non piaceva essere moderne e tecnologiche più di quanto strettamente necessario, ci piaceva l'inchiostro.

I silenzi. I lunghi silenzi che ogni tanto, come per ogni amicizia che si rispetti, capitavano. Quei silenzi che talvolta mi hanno fatto dubitare di me stessa, del mio modo di pormi. Quei silenzi che poi immancabilmente finivano, perchè si, non c'è un perchè. Ma finivano. Perchè lei c'era, fondamentalmente c'era, da quella sera del 2002 c'è sempre stata, in più modi e con più mezzi, con intensità di presenza differenti, ma c'è sempre stata. Eravamo diversissime, non potevamo essere più diverse nel carattere, nei gusti, poche cose avevamo in comune, ma c'era. C'eravamo. Nella maniera più gradevole possibile. Sempre. Costantemente.

Fino a un certo punto dello scorrere dell'acqua...
La Malattia. La mia. La sua. E poi la mia e la sua. Neanche a farlo apposta. Ma io, davanti alla sua, della mia ho perfino pudore a parlare, per rispetto. Che le difficoltà che porta il cancro nella vita delle persone non sono uguali per tutti. E nemmeno i cambiamenti negli atteggiamenti, nei pensieri, nei desideri, nelle reazioni. Negli epiloghi.

L'otto marzo scorso, nel primo pomeriggio, rinvenivo dal torpore dei pesanti sedativi della sala operatoria, dopo aver reinserito il Port-a-cath. Prendevo in mano il telefono. Aprivo Whatsapp.
Apprendevo che mentre io ero in sala operatoria, lei si era messa in viaggio. Definitivamente. E in quel momento ero talmente intontita dai farmaci da essere riuscita a malapena ad informare mio marito della cosa, marito che stava rientrando in camera dopo essere stato in corridoio il tempo necessario per avvertire telefonicamente il resto della famiglia che "tutto bene". Ricordo di aver alzato la testa per guardare il Crocifisso appeso in stanza, e aver pensato "ok", con un senso di smarrimento. Poi ho cercato quasi in automatico una nostra foto che ricordavo avere nel telefono, di averla pubblicata, e di aver esternato con quattro parole in croce il mio saluto (che poco c'è da dire di sensato, effettivamente, in frangenti del genere). Poi, il vuoto.
Due o tre giorni dopo ho pubblicato qualcosa su Facebook, qualcosa che riguardava i miei gatti. Istintivamente mi sono detta "uno dei primi like li mette lei di sicuro, la fanno sempre sorrid...".
E' stato in quel momento che ho realizzato. In quel momento si è sciolto il nodo. In quel preciso momento mi è arrivato addosso il camion con tutto il rimorchio dietro. Le sue ultime settimane, i suoi ultimi pensieri condivisi dall'hospice, la telefonata. Il limbo in cui vivevo per la mia diagnosi, e che mi ha in un certo senso giocoforza tenuta distaccata da lei col pensiero quel tanto che basta da non sprofondare del tutto, persa nel mio di dramma, con corredo di sensi di colpa. Ho ricordato in un attimo le ore perse a fissare il vuoto, paralizzata, fino a notte tarda, quando ho saputo che stava in hospice, con una frase sola a ripetermisi più e più volte nella testa come un carillon: "come si fa a sopravvivere a dolore su dolore?" .
Tutto è riemerso in un colpo.
E' finito l'anestetico. Sono piombata a terra. Si è spaccato il vetro, si è disperso il pianto.
No, cazzo. Non succederà stavolta.
Meg non c'è più.
Non c'è più.
-"Ma ci siamo sentite per telefono due settimane fa, non più di tre, mi ha chiamato lei, mi ha fatto un regalo enorme, mi ha chiamato dall'hospice, ero a letto, avevo fatto la biopsia in settimana, lo ricordo bene, la sua voce...".
Meg non c'è più. 


"Sai Meg, ho fatto una fatica enorme a scrivere questo post. Erano tre mesi che l'avevo nel cuore e nella testa. Nella mia testa l'ho iniziato, portato avanti, terminato e cancellato un milione di volte. Perchè non riuscivo a trovare il momento giusto, perchè mi sembrava che buttare sul monitor certe cose fosse inutile per chi legge e riduttivo per chi scrive, perchè ridurre in poche righe tutto quello che il cuore porta dentro di sè mentre penso alla tua persona è impossibile, se non addirittura gli fa perdere il giusto peso e il giusto valore. Forse. Adesso lo sto scrivendo, arrivo a tre quarti e torna ad investirmi il TIR, risgorgano le lacrime, fa un male boia, ma stavolta lo finisco. Lo finisco eccome. Perchè te lo devo. Perchè in casa c'è silenzio. Perchè stasera questo mio tempo è per te.
Una cosa non ti ho mai detto. Hai sempre sostenuto pubblicamente di essere musona, asociale, restia ai rapporti umani, poco tollerante. Quante balle. Se tutti gli asociali, i musoni, gli intolleranti riuscissero a creare attorno a loro un decimo di quello che tu, forse inconsapevolmente, hai creato attorno a te, il mondo sarebbe molto più bello. Perchè quello che hai creato tu in termini di rapporti umani e di bene concreto e gratuito in meno di cinquant'anni di vita col "caratteraccio" che dicevi di avere, non l'hanno fatto centinaia di altri con i loro millemila amici pubblici e i selfie sorridenti sbandierati ai quattro venti. E c'è di più. Ovunque tu sia, zitta zitta quatta quatta stai lavorando ancora. Spero che da lì tu te ne renda conto, befana che non sei altro. E so che a chiamarti "befana" ti monta ancora l'orgoglio di esserlo, anche da lì. Perchè la befana, dicevi, è brutta e veste rattoppata, ma trovami un bambino che non la ama".

Tante delle persone che mi leggono conoscevano Meg. La maggior parte sa cosa faceva per fare del bene. In qualche modo continua a farlo davvero, attraverso l'impegno di Tiz e di altre persone che portano avanti il suo spirito, i suoi intenti, i suoi progetti. Anche attraverso questo progetto, finalizzato alla raccolta fondi per l'Airc, su una pagina Facebook creata appositamente e in via di sviluppo:

Andate, fateci un giro, e se volete, contribuite.

Ciao, Meg.