giovedì 31 marzo 2011

Un altro colpo


Ho avuto l'esito del mio istologico un venerdì: un respiro di gioia. Il lunedì successivo mia madre viene a casa mia chiedendomi di portarla dal medico perchè ha scoperto di avere la bestia. Una settimana prima se n'è andato il figlio della mia vicina di casa, portato via dal tumore. Poche settimane dopo un'amica di infanzia, giovanissima, e la mamma di Mia. Il giorno di san Valentino se n'è andata Anna. La mia Anna.


Oggi ho fatto l'ultimo Herceptin: mi sono commossa, tipico di me, e mi sono commossa doppiamente perchè oggi la mamma ha rivisto sua sorella dopo mesi, in ospedale. Tornata a casa, saranno state le due, mio marito mi accoglie con una notizia che mi ha raggelato: un paio di giorni fa hanno scoperto un tumore al pancreas al papà del suo migliore amico, con una metastasi che ha già invaso i polmoni. Speranze: zero. C'è solo da attendere la fine, brutto dirlo, ma si sa che a me non piace girarci attorno. E non c'è da attendere nemmeno molto. Domattina la prima cosa che ho intenzione di fare è andare da loro, perchè questa famiglia non ci ha lasciati un momento da quando mi sono ammalata, sono stati presenti come nessun altro, e sempre con le parole giuste al momento giusto.

E' difficile riprendersi la propria vita andandole incontro con gioia, quando ogni volta che rialzo la testa in questo ultimo anno ho un motivo per riabbassarla, quando la vita che cerco di gustare non fa che parlarmi di morte, di morte e di morte. Quando non fai che andare a funerali, asciugare lacrime, tue e di chi ami, mi sembra di essere entrata in un vortice da cui non riesco ad uscire. E da cui non voglio uscire, perchè l'ho già detto, non ho la minima intenzione di tirarmi indietro quando mi viene chiesto dalla vita di affrontare il dolore, e di fare la mia parte cercando di essere di sostegno dove posso esserlo. Soprattutto da quando il cancro è entrato nella mia vita.

Ma sono stanca. Ne ho parlato con l'oncolaus stamattina. Sono proprio stanca fisicamente. L'eco al cuore non è variata rispetto a quella di un mese fa se non di un minimissimo minimo, non ho più raffreddore, ho i soliti dolori vabbè, ma a quelli sono abituata. Anche il gonfiore pian piano sta regredendo con i diuretici che mi sono stati prescritti, quindi in teoria dovrei star bene, o comunque condurre una vita quasi normale come per un normale malato reumatico.  Eppure sono stanca. Sfinita. L'oncolaus mi ha detto "hai dato tanto, è normale che ne risenti. Datti tempo". Va bene. Ci sta.
Ma quando finisce? Anzi, meglio, finisce? Perchè qui...

Quando si dice la gratitudine...


Da un paio di settimane Papigà ogni mattina se ne va a zonzo a piedi per la periferia, per un'oretta buona, in genere prima di andare al lavoro. No, non è impazzito, semplicemente ha scoperto che lo fa stare bene respirare aria a pieni polmoni e far circolare il sangue prima di immergersi nel caos quotidiano, e lo fa. Punto.


Succede che stamane, durante il suo solito giro, inciampi in qualcosa da sbrilluccichio agli occhi: un i-phone megagalattico che qualcuno deve aver perso mentre praticava evidentemente la sua stessa sbitudine. Pheeeeeegooooo!!!!! Mai avuto in mano qualcosa del genere! E che si fa?

Si fa che si sgarfa nella rubrica in cerca di un numero di telefono utile per rintracciare il proprietario, solitamente si registra il proprio numero di telefono di casa sotto la voce "casa" (eh beh), e lui chiama. Risponde qualcuno che era lì a tenere i figli di questo tizio, che si impegna ad avvisare il proprietario del gioiellino: "gli dico di chiamare il suo numero di cellulare così la rintraccia e vi mettete d'accordo".
Bene. LA SEGRETARIA DEL TIZIO chiama dopo un po', chiede a Papigà se può riconsegnarlo in via tal dei Tali dato che non dista granchè da casa nostra e Papigà accetta, ma avvisa che prima che passino due ore non può recarvisi perchè io ero via e c'è un Power da gestire. E va bene.
Rientro a casa io un'ora fa (eh beh queste cose vanno sbloggate subito, quando le sento mi viene addosso una sensazione come se mi scappasse la pipì, e devo farlo) e mio marito esce col cellulare da restituire, non prima di avermelo comunque mostrato (pheeeeego!!!).
Rientra dopo boh, un minuto e mezzo? Facciamo due. Con un muso da qui a lì. E senza cellulare pheego.

Ora, in una società dove il senso civico è un termine arcaico il cui significato si trova spesso solo nelle vecchissime edizioni dello Zingarelli  (c'è su Wikipidia? Me ne voglio accertare), quando si vorrebbe che le cose cambiassero si cerca di iniziare da sè stessi, laddove si può. Dovrebbe essere normale restituire quello che non è proprio, fino agli estremi come quella tizia finita sui giornali perchè ha restituito 500 euro trovati chissadove e pure lei era in cassa integrazione, perchè non erano suoi. E sinceramente sapere che ho perso qualcosa di valore e sapere che trenta persone ci passeranno davanti senza che nessuno pensi
"toh, chissà chi lo ha perso, vediamo un po'" mi darebbe fastidio, non perchè non navigo nell'oro, ma perchè per me avere la coscienza a posto equivale a prendere due Tavor per dormire senza subirne gli effetti collaterali.

Il senso  civico non chiede in cambio che si stenda un tappeto rosso, una colonna di gente a destra e una a sinistra a fare la ola urlando
"braaaaavo braaaaaavo braaaavissimo" agitando bandiere multicolori e con la marcia di Radezky di sottofondo.
Ma almeno un grazie, al posto della segretaria che esce dall'ufficio e ti dica con aria da sufficienza
"uhm... si... metta lì... arrivederci" indicando un tavolino in un angolo, come se la avessi appena distolta da un importantissimo compito di concetto (farsi le unghie?)...

Va beh, almeno stasera a Papigà niente Tavor. Al tizio del cellulare però una bella dose di scagotto con tutto il cuore.

mercoledì 30 marzo 2011

Addio Hercy!


Domani vado a fare l'ultimo Herceptin. Sarò esagerata ma sono giorni che ci penso.


L'ultimo Hercy è la fine delle terapie in infusione per il tumore.
L'ultimo Hercy è un capitolo che si chiude.
L'ultimo Hercy è un capitolo che si chiude prima che se ne apra un altro, quello dei controlli periodici, a tempi stretti all'inizio, sempre più radi via via.
E' il momento che quando solo mi è stata prospettata la cura vedevo come un orizzonte lontanissimo, duro da raggiungere, la cima di una montagna altissima per raggiungere la quale avrei dovuto percorrere un sentiero pieno di incognite e ripido come una scala a pioli.
E invece è già domani. Sono passati esattamente un anno, due mesi e otto giorni dal giorno in cui ho scoperto che sul mio seno c'era qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Ho fatto tredici sedute di chemioterapia a base di Hercy e Taxolo, tre di Hercy e Myocet, ho vinto ventinove punti al superenalotto della chirurgia, più i quattro per aver scelto di giocare anche al totoPort, trenta fotografie mono-posa in medicina nucleare, altri dieci Hercy in omaggio, più i vari sforacchiamenti extra dovuti ad analisi, fattori di crescita, eparina e antiemetici sur panza. Un bel bottino direi, considerando il cadeaux che Herceptin mi ha offerto in nome della nostra amicizia, un pacchetto di buoni/eco da spendere una tantum in cardiologia. Il tutto segnato dal mio nuovissimo cancralendario mai stampato su carta, ma involontariamente fissato nella memoria, dove date che per chiunque sono giorni qualunque, per me resteranno sempre paletti fissi piantati dalla mia vita.

La cosa che mi viene in mente adesso è... e adesso? Abituata ad essere tenuta a vista dai medici, mi sento un po' spiazzata. Mi sento un po' persa, ho il timore che qualcosa sfugga, mi sembra così strano...  La cosa che vorrei di più in tutta franchezza è sapere se tutto questo è servito a qualcosa, fare in fretta gli esami per poter dire che si, adesso c'è solo da portare un po' di pazienza per smaltire tutte ste schifezze che mi sono bevuta, ma è finita, ed è finita bene. Perchè il cancro è spesso una malattia subdola, fa cucù da una parte mentre fa il nido vero e proprio dall'altra, e c'è poco da dire che non si deve vivere con la paura: paura nel senso di terrore no, ma un po' di timore e desiderio di sapere si. E voglio essere realista, è vero, può tornare, se torna si riaffronta, ma spero almeno di potermela godere per un po' nel frattempo se proprio deve essere, no? Ci farò i conti per tutta la vita, e allora facciamoli: vivo la mia vita con questa cosa, questo campanellino che suona a ogni piè sospinto, ma che non è detto che faccia per forza sempre quello stesso medesimo suono.

Domani farò l'ultima chemietta, che io chiamo chemietta perchè se la chiamo col suo vero nome nessuno capisce cosa è a meno che non la abbia fatta a sua volta o sia un medico. La chemietta che le infermiere ti dicono che è acqua fresca per tranquillizzarti ma quando gli dici "ne vuoi un po'?" (giuro, l'ho fatto) sbiancano, perchè anche se non è una chemio pesante come le prime che ho fatto (neanche da mettere a confronto), innocua non è. E' quella che dovrebbe diminuire altamente la probabilità di una ricaduta. La chemietta che mi sono fatta amica in questi mesi, che ho fatto un po' di fatica ad accettare perchè era tanta, tanta e tanta. Ma è finita.

E anche se sarà il tempo a dirlo, spero che sia servita a qualcosa.


Tutto bene, anche questa è andata. Certo avrebbe voglia di fare già i duecento metri di corsa, ma ho cercato di convincerla che è meglio intanto percorrere pian piano i trenta metri di corridoio di ospedale a velocità moderata, se non altro per non perdere per la strada il flacone del drenaggio...

lunedì 28 marzo 2011

In musica


Domani operano la mamma. Si, va beh, andrà tutto bene. Deve andar bene, in fondo farà il mio stesso identico intervento sul seno opposto, perciò si sa dove si va a parare. Anche se ovviamente l'incognita c'è sempre, come per ogni evento importante.
Adesso tocca a me stare in sala d'attesa. Ho deciso di portarmi un libro e un lavoro a uncinetto da iniziare, qualcosa da mangiare e come sempre il mio diario, che mi segue sempre: non sono capace di stare ad aspettare per ore guardando il soffitto, avere qualcosa tra le mani inganna l'attesa e tiene a bada la tensione, a costo di sembrare poco consapevole di quello che in realtà sta succedendo.
 
Sono contenta di esserci. Oddio, avrei preferito andare con la mamma a fare un giro al mercato, ma se il convento oggi offre questo si prende questo, ed è meglio ora che ho tempo necessario a disposizione (mio marito ha preso ferie per star dietro a nostro figlio) che non in un altro momento. E' così: "devi avere coraggio per due" mi ha detto qualcuno lo scorso ventidue settembre (non è che mi ricordi la data per questa frase, è solo coincisa con una delle tappe che fissano il mio.... cancralendario). E invece no: come per me ci sono state tante persone a darmi coraggio quando è stato il mio turno, così ora so che non devo farmi coraggio per due, ma tenere la mano di tante persone che amano la mamma e assieme affrontare questo pezzo di strada, anche se fisicamente non saranno lì. Non ho camminato da sola per la mia strada, non ha camminato da sola nemmeno la mamma. Lei usa dire "ho quattro colonne a tenermi su", riferendosi a me, mio fratello, genero e nuora. Ed è proprio così, ognuno a modo suo e con quello che può dare.

Stamattina sto immergendo le ore in un bagno di musica che ascoltavo quando studiavo: mi fa sentire a casa.  Quando per "casa" intendo quello che Jovanotti dice in una canzone: "la casa è dove posso stare in pace".  L'ho detto un paio di sere fa a mio marito: voglio andare a casa. Mi ha guardato con occhi stralunati, non ha compreso. Voglio andare a casa, quella casa che non è un luogo ma un luogo del cuore, e quando la musica mi incanta mi basta chiudere gli occhi per iniziare il mio viaggio.
E la musica è questa.


sabato 26 marzo 2011

Palle... da tennis


Grazie al cielo mio figlio oggi è tornato a scuola: protestando a note alte, col certificato medico sventolante, un look nuovo grazie al taglio di capelli fresco di rasoio (made by me, obviously), un giubbino primaverile nuovo di pacca taglia 12 anni tutto blu come piace a lui, una pila di compiti fatti per bene grazie alla tempestività di Bimbabionda, un muso duro che se gli tiravi un buffetto sulla guancia ti spaccavi una falange, e una banana nella tasca anteriore dello zaino per la ricreazione.
Banana non a caso: tre giorni fa siamo stati dal medico per la visita pre rientro a scuola (
ti è mancata la scuola Power?/ (io) No dottore, è mancata alla mamma...), e il caro dottor Gigi gli ha bellamente tirato le orecchie perchè (e in effetti non ha tutti i torti) inizia ad esserci un po' di sproporzione tra altezza (cm 130) e peso (39 chili). Non è grasso, rientra ancora nella fascia dei normopeso, ma vista l'ossatura è meglio giocare di anticipo e dare man forte alla mamma autorizzandola a usare la frase LO-HA-DETTO-IL DOTTORE come una palettata sul sedere, davanti ai dinieghi per mangiare frutta e verdura, le cui quantità vanno decisamente aumentate.
Gigi ha avuto una idea simpatica: gli ha detto di mangiare cinque porzioni tra frutta e verdura al giorno, distribuendole un po' come vuole, dando come riferimento di porzione la dimensione di una palla da tennis. E così da tre giorni io e mio figlio giochiamo a palle da tennis: la regola è due di frutta come merende, una di verdura a pranzo e due a cena. Se una salta, si recupera al pasto successivo. Una palla da tennis è un'arancia, una mela, una banana con un po' di fantasia, un paio di clementini, insomma, si gioca sul pressappoco e ovviamente al rialzo. E rigorosamente palle da TENNIS, non palle da ping-pong come ha prontamente suggerito il Power ieri  quando si è trovato nel piatto il mix broccoli-cavolfiori (buonissimo). Però ha mandato giù. E sapete perchè? Mica perchè d'un tratto la verdura gli è venuta a piacere, noooo... troppo facile...


Perchè come per tutti i bambini, di oggi come di trent'anni fa (presente!), è caduto sul classico: se una cosa la dice la mamma è la solita rottura di marshmallows, ma se lo dice il dottore o la maestra... ah, se lo dicono loro...
Ps. non mi autoilludo, voglio vedere quanto dura. Ma intanto cavalco l'onda

venerdì 25 marzo 2011

Se porti la cinquantasei...


Se porti la cinquantasei fai una fatica bestia a trovare qualcosa che ti stia bene addosso e non ti faccia sembrare una boa, o una vecchia bacucca, o un salame legato male.


Se porti la cinquantasei ed entri in una catena ics o ipsilon di abbigliamento, ti accorgi che i capi esposti sono di manifattura cinese perchè laddove ti illudi di aver trovato che so, una camicia, su cui è riportato il cartellino della tua taglia (ed esulti dentro di te per il raro ritrovamento!), ti rendi conto in camerino che in realtà se è qualcosa di simile a una taglia small è tanto, e la sensazione di presa per il c...o è forte.
Se porti la cinquantasei e ti lamenti, i più ti dicono "dimagrisci", senza immaginare che non è sempre vero che "tonda" deriva da "ipergolosa", ma a volte (e sono più di quello che si pensa) chi è oversize lo è perchè assume dei medicinali che danno una ritenzione idrica simile a quella di una spugna, e in questi casi hai poco da stare a dieta, finchè non smetti di assumerli peso non ne perdi, se continui ad assumerli è perchè evidentemente ne hai bisogno, e siccome ne hai bisogno non vedi dove stia scritto che durante la malattia ci si deve vestire come dei sacchi.
Se porti la cinquantasei prenderesti a schiaffi l'amica-conoscente-parente che si lamenta con te  perchè ha un po' di cellulite sui fianchi, perchè non entra più nei suoi jeans pre-parto, e lo fa per sentirsi dire da te "di cosa ti lamenti, guarda me", e sentirsi immediatamente meglio.
Se porti la cinquantasei copriresti di insulti i giornalisti che scrivono articoli di moda sulle riviste femminili, ma anche su alcuni programmi televisivi, proclamando che "finalmente gli stilisti pensano a vestire anche le taglie più", sottolineando poi il fatto che le ultime collezioni firmate sono state confezionate PERFINO in taglia 44-46, cose mai viste prima. Se 44-46 sono taglie più, la cinquantasei cosa è? Cioè, esiste???
Se porti la cinquantasei non è matematicamente detto che tu abbia un seno di settima misura, esistono delle cinquantasei con fianchi abbondantemente abbondanti ma con seni che per essere notati necessitano come minimo di un pusciapp. Esistono, ve lo assicuro. Ne vedo uno tutti i giorni. Ma chi confeziona abiti oversize evidentemente non lo sa, e standardizza la produzione proporzionando la larghezza con l'ampiezza della scollatura (e se c'è poco con cui riempirla? Arriva all'ombelico cadendo rovinosamente, lasciando piazza aperta su... no, meglio non provarle nemmeno certe cose). Le braccia però no: fianchi larghi, torace largo, ma maniche da salame cacciatorino. Io però mi ritrovo con qualcosa di simile a due soppresse. Buone, sottolineiamolo.
Se porti la cinquantasei e devi acquistare un vestito-camicia-pantaloni e via dicendo ti chiedi se qualcuno si sia accorto che le cinquantasei in giro per il mondo sono tante, tantissime, e non tutte hanno un portafoglio gonfio da poter acquistare in una boutique o per passare direttamente dalla sarta.

Oggi ho girato in cerca di due camicie per la mezza stagione e, maledetta questa moda dei vestiti aderenti, sono tornata a casa scazzatissima.

Ps. guai al primo che mi dice "grasso è bello". Grasso è bello se accetti di esserlo e ci stai bene, io non sono grassa, sono gonfia, e rivoglio il corpo che avevo prima, se non proprio uguale che almeno ci si avvicini, perchè a me quei sessanta chili piacevano e anche tanto.  Ecco.

giovedì 24 marzo 2011

Non sono mica morta...


...non ancora perlomeno. Sono solo sepolta sotto il peso (trentanove chili) di mio figlio, recluso per la varicella, che fa fare anche a me la vita da reclusa, giocoforza. Sabato torna a scuola per fortuna, ieri il medico l'ha visitato e ha sentenziato che ci vogliono ancora due giorni di pacchia per rinforzare il sistema immunitario (glielo rinforzerei volentieri io alla mia maniera, in certi momenti, vabbè). Oggi però ha dovuto mettere la testa fuori per forza, l'ho portato dalla nonna per un paio d'ore perchè mi hanno anticipato la visita col dottor Mai Lov, il medico del mio cuore,  ad oggi anzichè martedì prossimo. Il cardiologo, che non si pensi male...
Oggi abbiamo (ho, vabbè) anche fatto il primo taglio dell'erba in giardino, e come ogni anno mi sembra quasi un rito che segna l'apertura della bella stagione (quest'anno ho aggiunto alla cerimonia la recita delle Litanie dei Santi: quelle che mi sono venute in bocca per tirar fuori il tosaerba elettrico da sotto la montagna di ciarpame dove  lo scorso autunno, dopo l'ultimo uso, l'aveva sepolto indovinate chi?).


E sarà il tamox, sarà la reclusione, sarà lo stress da prolungata insistente esposizione alla logorrea di mio figlio (orario continuato 7-21),  sarà l'ansia per l'operazione della mamma (martedì prossimo), sarà la primavera, sarà il raffreddore da chilo (a proposito, i raffreddori sono gli effetti collaterali più comuni della menopausa indotta, per chi non lo sapesse e a chi interessasse... spogliati-rivestiti-spogliati venti volte al giorno e anche di notte, ti ammali anche se non vuoi), mettiamoci dentro un po' di nervosismo per altre tre o quattro cose mie, di fatto sono precipitevolissimevolmente crollata su me stessa. E di parlare non mi va decisamente più. Anche perchè faccio proprio fatica fisicamente, mi fanno proprio male i polmoni,  trascorro buona parte delle notti a tossire e faccio fatica anche a mangiare. Come si dice, se quello che hai da dire non è più bello del silenzio, taci. E mi sa che lo sto prendendo in parola.
O forse ho solo l'anima incredibilmente, profondamente, inspiegabilmente sfinita, talmente sfinita che ho rinunciato ufficialmente perfino a sgridare mio figlio quando meriterebbe una strigliata: mi sono limitata a minacciarlo (con prova pratica, mica solo a parole, altrimenti non serve a  niente) di andarmene  (leggi uscire a farmi un giro) a ogni accenno di capriccio con urla di un tot sopra i decibel consentiti. Finora sembra che funzioni.
Ma di andarmene lontano, giuro, in questi giorni ho voglia davvero. Con tutto il cuore.
Ma si possono scrivere cose di questo genere senza correre il rischio di farlo apposta per sembrare patetici?

sabato 19 marzo 2011

Un classico di ogni anno...


...ma mi piace troppo.

Piccole pratoline bianche, fiorellini di campo, narcisi bianchi e gialli e profumatissima liquirizia. Il blu del rosmarino, il porpora delle violette, il viola dei muscari e il lilla del crocus e di una piccola solitaria scilla. Ma anche un germoglio di rosa.
In fondo al vialetto è tornata la primavera.



venerdì 18 marzo 2011

Un post un po' lungo- chi non vuole sentir parlare di morte si fermi al titolo


Anna se n'è andata da poco più di un mese, e da settimane penso spesso alla morte. Penso a lei, ma soprattutto penso alla morte e alla sofferenza.
Non si creda che ci rimugini solo per starci male. Forse i primi giorni si, lo ammetto, ci ho sofferto sbattendoci il naso contro, perchè prima d'ora ho avuto la fortuna di averci a che fare solo indirettamente e di non averla mai vista da vicino. Ci ho sofferto perchè la vita che mi ha sempre risparmiato di incontrarla (permettendomi il lusso di poter fare a meno di pensarci fino a questa età, e non sono più una ragazzina) in poco tempo mi ha messo davanti all'evidenza: si muore. Si muore per mille motivi, ma si muore, e non muoiono sempre gli altri o gli amici degli altri o i genitori degli altri: muoiono anche le persone a cui vuoi bene, le persone che condividono un pezzo della tua strada. Muoiono le persone che ami. E prima di morire, soffrono. E puoi rischiare di morire anche tu: una tegola in testa non te la aspetti, ma la malattia, questa malattia, ti da il tempo di pensarci e di fartici anche le dovute seghe mentali.

 Fin prima di avere mio figlio la sofferenza non solo mi spaventava, mi faceva schifo. Non tolleravo sentire l'odore del vomito, il sangue mi faceva impressione (anche quello del ciclo, ahimè...), non parliamo di pannolini sporchi di neonati che non ne ho cambiato uno prima del sei gennaio 2004: solo l'idea mi faceva ribrezzo.
Poi è nato il Power, e ogni mamma può testimoniarlo, quando diventi mamma accidenti se cambi. Cambi perchè devi cambiare, punto. Perchè se certe cose non le fai tu non c'è nessuno che le faccia al posto tuo. Perchè non puoi lasciare tuo figlio immerso nel vomito (i rigurgiti di latte sono solo il principio... e già quelli... quando escono dal naso poi...), perchè non puoi ricorrere al prontosoccorso per ogni piccola eruzione cutanea o per un livido, non parliamo delle escoriazioni alle ginocchia che sono i segni di guerra di chi impara ad andare in bicicletta. Impari che se gli cola il sangue dal naso perchè ha preso una botta invece di urlare di spavento è più saggio correre in bagno e bagnargli la faccia con l'acqua fresca, testa all'indietro e asciugamani a portata di zampe a stringergli le narici, e poi a scena finita tutto vien via con l'acqua fredda. Scopri che non si muore per un virus intestinale in più, non si rimane paralizzati per aver preso la scarlattina da grandi, una otite non rende invalidi se ci si rivolge al medico anzichè fare di testa propria e non è la fine del mondo se divertirsi sulla neve costringe poi a stare in casa per tre giorni con un forte raffreddore, perchè ne valeva pure la pena. E in tutto  questo ci sei tu mamma, ma anche tu papà eh, che non solo sei lì vicino e DEVI esserlo perchè i guai i bambini non li possono risolvere da soli (non quelli almeno), ma ti informi su come puoi fare meglio: hai il medico di famiglia a cui chiedere consiglio, hai internet per cercare informazioni diverse, hai le mamme dei compagni di scuola di tuo figlio con cui confrontarti, e via dicendo. Tempo per rimanere paralizzati dalla paura non ce n'è, o meglio, posticipi a quando poi lui dorme tranquillo e allora ti rendi conto del rischio che ha corso, grande o piccolo che sia, e ti lasci prendere dal coccolone. Che comunque poi passa. E passano anche lo schifo e il ribrezzo. Passano perchè dietro alla sofferenza ci vedi la persona, e la persona viene prima di tutto il resto.
Non puoi delegare. Non puoi scappare. Ma sinceramente, non te ne viene neanche voglia, perchè è la tua creatura, e al di là dei doveri che la legge ti impone sulla carne della tua carne c'è anche una consapevolezza troppo grande: se di fronte a un bisogno non ti dai da fare tu che sei sano e sei in grado di fare qualcosa, chi deve farlo?

Quando ho visto Anna quel giovedì, non ho potuto rimanere molto con lei: la mamma aveva appena finito l'ultima infusione ed era stravolta, voleva andare a casa, ed è stata fin troppo brava a fare lo sforzo di venire con me giù da lei per un quarto d'ora prima che la riaccompagnassi a casa. Ricordo come fosse successo dieci minuti fa i suoi occhioni spalancati sui miei, mentre uscivo dalla porta della sua stanza, e lei che mi parlava con un filo di voce e continuava a parlarmi anche mentre uscivo, come se non volesse rimanere da sola. Avrei dato chissà cosa per rimanere lì ancora, e non potevo. Due giorni dopo l'ho rivista, e ancora non ho potuto star lì molto: c'erano i suoi parenti e non mi sembrava giusto togliere loro quello che gli spettava, stare con lei le ultime ore, in una intimità legittima e necessaria.

C'è chi davanti alla sofferenza fugge. Durante l'ultimo anno ho dovuto con rammarico tagliare i ponti con alcune persone, che quando hanno saputo del mio male mi hanno fatto capire che non sono in grado di accettarlo, e si sono dileguate. Non gliene faccio una colpa, ognuno ha il suo modo per vivere o sopravvivere, ma da malata la cosa più brutta che io abbia sperimentato è la fuga di alcune persone a cui volevo bene. Fa un male incredibile: tu hai bisogno di sentirle vicine come non mai, loro ti evitano come la peste, o evitano di chiederti come stai per non sentir parlare di cancro. E così ho imparato a mentire, e so mentire bene: dico sempre che sto bene, perchè non è giusto spiattellare la verità e la paura a chi magari non è in grado di accoglierla o a chi averla tra le mani rende la vita più amara del necessario. Non ne ho il diritto.

Oggi mia madre mi ha detto una cosa che ritengo profondamente vera, perchè la sperimento nella concretezza di tutti i giorni: a me le sofferenze più grosse rafforzano il carattere anzichè annientarmi. Col tempo, con tanti fazzoletti bagnati, ma lo rafforzano. Ed è il lato più positivo della faccenda.
Penso ad Anna, penso alla sua sofferenza, ma penso anche alla mia mamma, penso a mio figlio quando sta male, penso che... Penso che star vicino a una persona che soffre, lo rifarei un milione di volte,  per non lasciarla sola, perchè per quanto difficile sia mi fa sentire viva, da un senso a quello che ho di buono, una risposta a quello che mi chiedo da sempre.
Lo rifarei un milione di volte se fosse necessario.
Lo rifarei...

Il Power e la varicella


Le pustole aumentano di giorno in giorno, ma tutto sommato il Power se la sta cavando con poco: credo sia una varicella in forma leggera, mio figlio ha gli anticorpi formato bulldozer e ogni malattia che il nostro medico prospetta guaribile in tot tempo poi in realtà si risolve con la metà del tempo previsto. Però è buffo, a stento mi trattengo dal prenderlo in giro perchè lui un po' si vergogna ma è sensazionale, con quella faccia piena di brufoli quasi come un adolescente. La verve però non gli manca quanto l'appetito, quindi tutto sommato non sta malaccio dai.


Sono cose da bambini, e se penso che erano quattro anni che aspettavo che la prendesse mi vien da dire solo "era ora". Ci annoieremo un po', ma pazienza. L'unica fortuna, ed è la cosa che mi salva il sistema nervoso, è che la mamma viene ogni giorno per un'oretta a intrattenerlo, così da permettermi di uscire a fare due spese e respirare un po' di aria, visto che mio marito lavora ormai da mattina a sera ogni giorno o quasi, e stare una settimana tappata in casa non è proprio una cosa fantastica.
E poi Bimbabionda è felice: oggi sono passata a scuola a chiedere come fare per i compiti, la maestra ha detto che S. si è già offerta per portarglieli. Come sempre. Ha la scusa per guardarselo in tutta tranquillità al riparo dagli sguardi di tutta la classe, quale migliore occasione?

giovedì 17 marzo 2011

Il mio portalavoro è MIO!


Che per me bricolare sia una necessità dell'anima almeno quanto scrivere è noto... Ma...



... a volte è decisamente imbarazzante dover contendere il materiale necessario (in questo caso il portalavoro in uso) con qualcuno che ha deciso di darvi una diversa destinazione e non ha la minima intenzione di rivedere la sua idea.

Festa? Mah...


Cerimonie ufficiali, parate militari, bandiere spiegate, cortei, sceneggiati sul risorgimento italiano, effigi di Garibaldi esposte, negozi chiusi (e mio marito lavora, vabbè) e via dicendo.


Ma oggi non è la festa dell'orgoglio di essere italiani, è la festa dell' unità d'Italia.  Che è un'altra cosa.

E che secondo me è solo una bella idea. In uno Stato dove tra nord e sud c'è un divario astronomico in qualità di istruzione, servizi, sanità, lavoro, strade, rispetto per l'ambiente e via dicendo (e non ho detto, si badi bene, è meglio qui o là perchè non è vero), non c'è uno Stato unito. Laddove anche culturalmente ci si scanna tra calabresi e lombardi, ci si appioppa appellativi come "terroni" e "polentoni" per farsi reciproco sfregio, e anche in una unica regione come Il Friuli Venezia Giulia c'è sempre chi puntualizza seccato "non sono friulano, sono Triestino, e Trieste è nella Venezia Giulia" (ma succede anche da noi, in Veneto, guai a scambiare un padovano per un veneziano), mi  chiedo se davvero siamo una Nazione unica e siamo coscienti di questo.

Secondo me non c'è molto da festeggiare: c'è solo  ancora tanto da lavorare.
Ma è solo il mio pensiero.

mercoledì 16 marzo 2011

Ed ecco a voi...

...Lucy!



E' nata ieri da qualche zampata data al cesto magico, tempo di cucirla e fotografarla che è già partita verso la sua nuova casa (in poche parole, l'ho regalata a una gattomaniaca quanto me). Non è dolcissima???


Oggi finalmente ho accompagnato la mamma alla visita oncologica. Lei era agitatissima, e d'altra parte in queste situazioni non c'è cosa più normale. La mamma mi fa tante domande, io le do le risposte che cerca e lei dopo due giorni (ma anche meno) mi rifà le stesse identiche domande. Non se ne accorge mica. Ha paura. E io da parte mia sono contenta che riesca a dirlo, e se ripetere mille volte le stesse cose la aiuta a scaricare la tensione ben venga che le ripeta mille volte, e anche duemila. Parlarne le fa tornare il sorriso, come se si scaricasse un peso di dosso, e allora parliamone. Parliamo di questa cosa tanto truce che fa tanta paura ma cui non abbiamo intenzione di lasciare vita facile. Parliamo di quanto detestiamo essere compatite e di quanto ci faccia ridere ricordare che qualsiasi cosa era un problema fino a poco tempo fa, adesso ci sembra una cosa su cui scherzare. Parliamo dei suoi capelli che lei insiste a dire che non ci sono e non vuole ammettere che invece stanno ricrescendo, eccome se stanno ricrescendo, ma lei è sempre uguale a sè stessa, finchè non ha l'evidenza davanti agli occhi non vuole illudersi. Parliamo di chi ci affianca in questi mesi di cure, di chi ci fa ridere e chi ci fa incavolare, di chi eviteremmo più della peste e di chi ha avuto tanta pazienza e ha risposto a mille domande senza batter ciglio (almeno davanti a noi). Parliamo di quanto male fa. Parliamo di quanto avremmo voluto evitarlo. Parliamo del fatto che, come dice mio figlio (si, dall'alto dei suoi sette anni) quando il male viene viene, non ci si può fare niente. Parliamo di giornate di sole primaverile che sicuramente scalderà l'anima e renderà tutto più leggero.


Comunque, l'oncolessa (che bisogna dirlo, è di una dolcezza disarmante) ha avviato la prassi per l'intervento, quindi aspettiamo la chiamata della chirurgia per la visita entro breve. Tra tre settimane o giù di lì dovrebbe essere già tutto finito, e io spero che vada bene almeno quanto è andata bene per me, che tutto sommato posso solo essere contenta. Nel mentre mi sto arrovellando per capire perchè ogni volta che attendo nella apposita saletta del reparto ci sia sempre il genio di turno che si lamenta per i tempi di attesa (che effettivamente sono sempre lunghi, ma cosa ci si può fare? Tanto vale approfittarne per leggere qualcosa in pace) e quando gli chiedi a che ora aveva appuntamento scopri che è arrivato con un'ora di anticipo. "Sa, per non perdere il turno"...

Ah, stamattina ho anche perso Lucy, è scappata.
Come??? Chi è Lucy?
Lucy è nata da due o tre zampate che ho dato al cesto delle stoffe ieri pomeriggio...


Ma credo che abbia già trovato casa, la birbantella. Meno male che prima che fuggisse sono riuscita a scattarle una foto.

E anche al Power...


Trallallerollerollella



è arrivata la... VARICELLA!

martedì 15 marzo 2011

Un ricamo al caffè

Chi si ricorda il mio esperimento di colorazione al caffè?
Ci ho ricamato finalmente un samplerino di Blue Ribbon Design, è un po' (tanto) natalizio ma fa tanto... boh, fa tanto che mi piace il risultato. Peccato che non sono riuscita a trovare la luce giusta per fotografarlo, in modo che si veda la sfumatura di colore della tela: ha proprio il colore del caffè diluitissimo, la stessa calda tonalità nocciola.





Vorrei ricoprirci il coperchio di una scatola di latta, come ho visto fare in diversi blog creativi, ma dovrei trovare prima un pezzetto di stoffa adatto da abbinarci per foderare l'esterno del contenitore.


Chi si ricorda il mio esperimento di colorazione al caffè?


Ci ho ricamato finalmente un samplerino di Blue Ribbon Design, è un po' (tanto) natalizio ma fa tanto... boh, fa tanto che mi piace il risultato. Peccato che non sono riuscita a trovare la luce giusta per fotografarlo, in modo che si veda la sfumatura di colore della tela: ha proprio il colore del caffè diluitissimo, la stessa calda tonalità nocciola.



Vorrei ricoprirci il coperchio di una scatola di latta, come ho visto fare in diversi blog creativi, ma dovrei trovare prima un pezzetto di stoffa adatto da abbinarci per foderare l'esterno del contenitore.
Per chi ha voglia di darci un'occhiata, ho sbloggato questo lavoro anche sul
blog creativo (assieme a qualcosa d'altro che ho terminato in questi giorni).

Portatovaglioli- quasi un tutorial

Buongiorno! Anche se piove bisogna augurarsi che sia un buon giorno, e il mio lo sarà di sicuro perchè finalmente in casa c'è silenzio, visto che la ciurma è uscita in blocco XD Almeno per qualche ora c'è pace.
Dunque, cimentiamoci nel primo mini tutorial (ufficiale, perchè di ufficiosi ne ho già sfornato qualcuno, mai pubblicato... vabbè). In questi giorni ho fatto dei portatovaglioli, mi servivano visto che in casa spariscono sempre (sono giochini gettonatissimi da gatti e bimbo...). Ma quelli di plastica del supermercato mi sembrano proprio... blaaaa...
Ho fatto così.
Mi sono procurata degli anelli da tenda in legno, delle matassine di cotone lanato avanzate da vecchi lavori a mezzopunto e un uncinetto numero 2.5, e un gatto che scelga i colori (optional).

Ho tolto dagli anelli in legno gli anellini di metallo che normalmente servono ad agganciare la tenda (basta svitarli).

In seguito ho iniziato a ricoprire gli anelli con il cotone lanato, usando l'uncinetto e lavorando tutto un giro di maglie basse, prendendo il cotone passando sotto all'anello ogni volta che iniziavo una maglia. Questo lavoro va fatto abbastanza fitto, in modo da ricoprire man mano tutto il cerchio di legno.

Infine ho cambiato colore e fatto un secondo giro di maglie alte tutt'attorno.

Un po' di gioco coi colori, e voilà, i portatovaglioli sono finiti. Sono velocissimi da fare, li ho fatti tutti e cinque in metà pomeriggio. Questi non rotolano e non fanno un bel rumore quando cadono, perciò spero che siano risparmiati dalla curiosità giocosa di felineria e prole varia... :)))
Buona giornata!

lunedì 14 marzo 2011

Metafora giusta al momento giusto


Oggi nel riordinare i cassetti del soggiorno ho dedicato una buona mezz'ora allo smaltimento e riaccatastamento della pila di manuali d'uso e garanzie (molte delle quali scadute e buttate) dei vari apparecchi di casa (ammazza quanti sono, e io che mi limito a considerare tali solo lavatrice e frigorifero...).


Nel buttare l'occhio (chissà perchè poi) sul foglietto illustrativo della macchina per il caffè espresso ho scoperto, udite udite, che è dotata di scaldatazzine.
Embè? No, è che io di solito sulla parte superiore della macchina riponevo il dosatore, il pressino e i due filtri in acciaio, assieme ovviamente al coso, come si chiama, il portafiltro. Ci volevano sette anni di uso per fare la grandiosa scoperta.

Come dire, non è mai troppo tardi. Ma mica solo per il caffè...