lunedì 18 aprile 2016

Come una gatta nera

Lunedì è stato il giorno delle domande, delle (poche) risposte, dell'odore di ospedale, dell'ultima visita completa, della preparazione fisica e della presa di coscienza, della piacevole conoscenza della mia compagna di stanza (una donna di 38 anni, L., che col mio stesso tipo di intervento come approccio andava ad eliminare una ciste ovarica) e degli abbracci a mio figlio, che non ho rivisto fino a venerdì sera.
Martedì è stato il giorno del distacco, dell'affidamento nelle mani altrui, del sonno, del ripetersi di una prassi ormai tristemente famigliare (ho fatto i conti, in sei anni è stata la quinta volta), dei ricordi estremamente confusi.
Mercoledì il giorno del sollievo: è passata, anche questa è fatta. Era il giorno del risveglio, dello stordimento ma anche della preoccupazione che tutto fosse andato secondo prassi, senza intoppi. E' stato il giorno delle flebo, del digiuno, delle cure delle infermiere (sante subito), degli antidolorifici, delle chiacchiere con L., con la leggerezza di chi si è tolto un peso di dosso e all'improvviso vede il mondo più semplice.  E poi l'insonnia, la compagnia di tante persone che si sono fatte vive via WA e per sms, la gratitudine perchè sola non mi hanno lasciata, umanamente, mai.
Giovedì è stato, fisicamente, il giorno più pesante. Il giorno del dolore: intenso, inaspettato, regolare secondo il medico, ma lancinante e persistente. E' stato il giorno dei piedi per terra, dei primi passi, dei primi pasti leggeri, del commiato da L. che è stata dimessa, di due belle visite.
Venerdì, infine, è stato il giorno del crollo. Ho chiesto di uscire con un giorno di anticipo, vista la mia età giovane sono stata accontentata, visitata e debitamente istruita sul comportamento da tenere a casa, dal riposo totale alle iniezioni di eparina (che ormai so farmi ad occhi chiusi), dagli antidolorifici alle medicazioni, e alle precauzioni da usare da qui al controllo post intervento (il 17 maggio, quando mi daranno anche l'esito dell'istologico). Non ne potevo più. La testa ha iniziato a vagare. Mi sono resa conto di quello che ho fatto e, sola, ho pianto tanto. Non di rimorso, ma di paura, di snervo, di stanchezza. E di nsostalgia: di mio figlio, dei miei gattoni, e di casa.

Ho iniziato il periodo della convalescenza. Non ho intenzione di fare l'eroina, il rischio di complicazioni è alto. E siccome voglio andare giù dalla famiglia a maggio, devo trattarmi coi guanti. Il Gatto Alfa ha preso due settimane di licenza, e più o meno nervosamente (perchè si sta occupando, contemporaneamente, di un paio di problemi non da poco che riguardano i suoi genitori) ha preso in mano l'organizzazione della vita domestica. Devo chiudere due occhi, non uno, ma sinceramente è il minore dei miei fastidi.
E' il periodo della protezione di me stessa. Ha ragione chi dice che la malattia è un filtro rispetto ai contatti umani, e io sono anni che filtro, ma situazioni come queste danno uno sblocco più deciso ai rapporti, sia in positivo sia in negativo. Non sto guardando a chi c'è e chi non c'è. Mi pesa di più la differenza tra i vari modi di esserci delle persone. Mi fa pensare il modo in cui ti stanno vicino, dai vari modi di stare in silenzio o di parlare, e mi dispiace dirlo, ma oggi scelgo con chi stare, almeno per un po'.

Tutti mi chiedono come sto, come è andato l'intervento, se ho dolori, se mi riprendo.
Tanti mi chiedono se possono far qualcosa per me in termini logistici, ed è una cosa che apprezzo.
Diversi mi intrattengono con discorsi leggeri, parlando di tutte le cose di cui ho sempre amato parlare, usano un po' del loro tempo per farmi visita e portarmi un giornale o un dolce sapendo che i dolci mi hanno sempre tirato su di morale, mi sfidano a Ruzzle, mi inviano link a video divertenti, e di queste attenzioni sono infinitamente grata, perchè sono le cose che fanno sentire coccolata.
Qualcuno ha approfittato del fatto che stessi male perchè "tu che stai male puoi capirmi", e mi ha riversato addosso il suo sarcasmo meno di 48 ore dopo l'intervento, e a meno di 24 ancora stordita e con la flebo appesa mi scrive "tanto sei distesa, tempo ne hai, ti racconto dell'ennesimo problema che sto affrontando con la mia bambina, posso?". E io, che solitamente sono molto ben disposta ad ascoltare, ho deciso che no, adesso no. Non ce n'è per nessuno. Mi dispiace.

Quasi nessuno, infine, mi chiede come mi sento dentro. Ed è anche umano, perchè ognuno ha i suoi problemi, sempre tanti per stare a badare a quelli degli altri. Accetto quel che viene, e cara grazia che c'è. Ma ad oggi il dolore al ventre (perchè ce n'è ancora, dovrebbe andare avanti ancora per un po' dice il medico, un paio di settimane) è solo una parte del male che c'è. Bisogna passarci per capirlo, e passarci da giovani. E non è una frase fatta, mi si creda. Bisogna passarci mentre un terzo delle mamme dei compagni di tuo figlio sta sfornando bebè, a quarant'anni passati, cosa che ormai è normalissima, e tu se negli ultimi sei sapevi che a proprio volerlo a tutti i costi sarebbe bastato interrompere la cura e affidarsi agli oncologi, da oggi nemmeno più quello, perchè manca il macchinario. Come se avessi quasi sessant'anni, e pensi alla parte di sessantenni che vedi girare per il paese senza un briciolo di femminilità nel volto e nella presenza, e ti chiedi insulsamente e irrazionalmente se adesso che sessualmente gli assomigli gli assomiglierai presto anche in tutto il resto, e ti spaventi all'idea. Ridete pure, ma anche questo è passato per i sentieri dei miei neuroni. Poi ti ricordi che esistono anche delle sessantenni gnocche e più donne di tante ventenni, e tutto si ridimensiona. Perchè forse sta a me scegliere cosa essere, non ai miei ormoni. O almeno lo spero.
Bisogna capire cosa significa essere ricoverati in ginecologia e ringraziare il cielo che in camera con te non ci sono partorienti, e non ci sono nemmeno nelle camere a fianco, perchè il reparto maternità ha chiuso i battenti due settimane fa, e sapere che esserne confortate è una cattiveria immensa dato che è un problema non da poco per chi ne ha bisogno, ma non te ne può, sinceramente e vigliaccamente, importare di meno. Non lo avrei proprio retto. Perchè sta male chi non ha mai potuto averlo, ma chi sa cosa vuol dire averne, averne sempre coltivato il desiderio di averne ancora almeno uno,  e sa di doverci rinunciare per sempre, un po' presto per madre Natura e non per propria scelta, non fa certo i salti di gioia.
Sarò egoista. Sarò antipatica. Ma lo dico fuori dai denti, come viene viene: oggi penso solo a me stessa. Non mi importa una ceppa lessa dei problemi di nessuno. Odiatemi, cancellatemi dalla vostra vita, cambiate opinione su di me e dite in giro che sono falsa e voltafaccia, egoista e opportunista, mi importa quanto mi importa del filo d'erba che mio marito ha sfalciato giovedì scorso e ha portato al centro di raccolta assieme a miliardi di altri fili d'erba. Io oggi non ascolto più.
Tanta gente mi ha detto che sono forte. E io adesso sono stanca di passare per forte. Se passo per forte perchè pubblicamente ci faccio le battute sopra, ci rido, ci scherzo, rispondo che va tutto bene, parlo di cose leggere e schiaffo su FB quasi (quasi) solo foto di gatti, di lavori in corso, di piante e di passeggiate in bicicletta, lo faccio solo perchè non trovo che sia una cosa buona riversare sugli altri tutto il negativo della propria vita ad ogni piè sospinto, come chi ti chiede come stai e non ascolta nemmeno la risposta perchè ha un oceano di cose (sue) da dirti. E non bisogna nemmeno passare tutte le giornate a piangersi addosso h24, 7 giorni su 7 e 365 l'anno, e sciorinarlo sui social o pubblicizzarlo al bar, perchè così i problemi proprio non si risolvono. Si piange un po', e poi si riparte con quello che rimane. Ma questo non lo ritengo essere forte. Lo chiamo "vivere".

Forte è chi non piange mai, credo. Chi non si accartoccia mai su sè stesso. E io adesso sono accartocciata. Anzi, acciambellata, da vera gatta, e gatta nera. Acciambellata mentre mi lecco le zampe, che mi fanno male. E i gatti mentre si leccano non reagiscono a nessuno stimolo, fateci caso. Potete far rumore, chiamarli, stuzzicarli, loro diventano come esseri che transitano in una dimensione parallela, ologrammi: esistono solo per loro stessi. Finchè la toelettatura non è finita, ogni pelo non è stato ripulito e pettinato, e tornano ad essere quelli di prima.

 

10 commenti:

Livia ha detto...

Bentornata e buon riposo!

lallachetorna ha detto...

Cara mamigà, ti leggo da tantissimo tempo, in silenzio e con discrezione. Ho sorriso ed ho pianto con te in molte occasioni. Mi hai insegnato tanto, soprattutto la gioia delle piccole cose che arrivano dal quotidiano, il piacere di una tisana calda e di una casa piena. Mi hai insegnato molte altre cose, ma non so esprimerle a parole. Per cui me ne sto qui, buona buona, accanto a te, seppur virtualmente.
Negli ultimi mesi, purtroppo, ho scoperto anche io l'esigenza di acciambellarmi su me stessa e di vivere fino in fondo un dolore atroce ed insopportabile. Ho scoperto anche io, mio malgrado, che in queste circostanze l'egoismo è sopravvivenza. Pensa a te stessa, adesso. Lecca le tue ferite, vivi le tue paranoie...solo tu puoi avere la misura esatta del terremoto emotivo e fisico che stai vivendo.
Io ti abbraccio forte forte, sono qui accanto a te, e ti ringrazio per tutte le lezioni di vita, i saggi consigli, le scrollate che, inconsapevolmente, mi hai donato in questi anni.
lallachetorna

MAMMA AL QUADRATO ha detto...

Ciao Mamigà, solo un saluto e un abbraccio, che a volte non dire niente va bene lo stesso. Credo.
Ti leggo, anche se non commento.

Anonimo ha detto...

bentornata mamiga
riposa
riprendi fiato
marina da torino

Anonimo ha detto...

Ciao, Mamigà!
Penso che forte sia chi ha coraggio di guardarsi fuori e dentro e di vedersi per quello che è, senza raccontarsi frottole, senza fingere nè forze nè debolezze.
Anche i forti piangono. E il pianto dei forti è un pianto umano e vero.
Ti sono capitate tante cose, come ci hai generosamente raccontato.
Ce ne racconterai ancora altre, sicuramente. E presto ci posterai foto di corse in bicicletta: è questa la stagione migliore. Le aspetto!
Verrei a correre in bici con te, se non abitassi così lontano!

Un grande abbraccio, ad una grande donna!

Quella di Lucy...

Anonimo ha detto...

Sara....posso dire solo una cosa?....Ma CHI è forte? e soprattutto....che caspita vuol dire? Che non si soffre? che non si ha paura?....forse chi è morto è forte perchè non sente più niente!
Quanto odio questa parola!! FORTE!! E sono sempre quelli che si lagnano ogni due per tre a considerare forti gli altri per essere compatiti....
Goditi il tuo sano egoismo!!!! ;-)
Bacio

Silvia

Unknown ha detto...

Ti leggo da un pò e anch'io con discrezione, credo che un pò di sano egoismo possa fare solo bene. Occupati di te, ascoltati, coccolati e non permettere a nessuno di riversare su di te i suoi problemi.
Ti abbraccio forte!

Anonimo ha detto...

Forte è chi cade, piange, grida, tocca il fondo è poi guarda verso l'alto e comincia a risalire. Ma questo tu lo sai già ....
Ti seguo in silenzio da anni e ti voglio dire grazie e bentornata
Cinzia

raffaella ha detto...

Ti leggo anch'io da tempo e oggi per la prima volta ti scrivo per mandarti il mio abbraccio. Grazie.

raffaella ha detto...

Ti leggo anch'io da tempo e oggi per la prima volta ti scrivo per mandarti il mio abbraccio. Grazie.