giovedì 9 novembre 2017

Ricostruire

Sono a casa da circa dieci giorni.
Mi hanno dimesso dopo sette giorni di degenza, con un drenaggio, ben fasciata, ingabbiata nel mio reggiseno post-operatorio, con un seno in meno e un milione di punti di domanda in più. Cioè, non è che non abbia chiesto al chirurgo che mi ha operato quello che mi passava per la testa di chiedere, ma una volta a casa, col passare dei giorni, mi sono resa conto di quante cose non mi sono state dette. E sono cose che penso che i medici sappiano fino ad un certo punto.
La degenza è stata lunga. Più lunga di quanto mi era stato prospettato. Ma va bene così, in fin dei conti una settimana non è un mese. Ero in una stanza singola, terzo piano, senza televisore (cioè, c'era, ma mancava il telecomando, "socializzato" da un paziente che in quella stanza ha soggiornato prima di me. Si, in ospedale succede anche questo. Ma tant'è, con lo smarfono e la connessione wi-fi gratuita del Little Hospital non mi è mancato il modo di svagarmi). Le finestre davano sul parcheggio retrostante l'edificio, e sulla stradina di accesso dal lato del prontosoccorso. In lontananza, nelle poche ore di cielo sereno di quella settimana, le montagne.
Non mi è pesata la solitudine. Ed è stata tanta, tantissima. Ho ricevuto tante visite, manco a dirlo mio marito era lì due volte al giorno quasi tutti i giorni, un po' meno spesso mio figlio, ho visto diverse amicizie, parte della famiglia, e tante, tantissime persone si sono fatte presenti via whatsapp. In pratica pur essendo sola avevo spesso la sensazione che la stanza fosse affollata. Non mi sono mai, mai sentita abbandinata un momento, fin dal mattino presto. Tenevo il telefono con la sola vibrazione accesa, ma bastava buttarci l'occhio in qualsiasi istante per sapere che qualcuno stava pensando a me. C'è sempre stato qualcuno che, sveglio evidentemente all'alba pure lui/lei, si premurava di mandarmi un "ehilà, non si sono ancora stufati di te? Dai che ti scarcerano presto!". Mi sono sentita circondata da affetto, portata in braccio, coccolata. Persino il mio coro mi ha mandato un pensiero, anzi due: uno che si tocca (un cuore imbottito in stile shabby che ho appeso all'ingresso di casa), e un piccolissimo video di saluto collettivo girato durante una delle prove, che mi ha fatto scendere i lacrimoni. La gratitudine mi ha gonfiato il cuore.

Eppure ho apprezzato molto le ore di silenzio. Quelle ore interminabili in cui semiseduta o semisdraiata nel letto fissavo fuori dalla finestra il cielo, perchè lasciavo costantemente di giorno le veneziane alzate, spesso contando gli uccelli che passavano a dividere a metà il quadro. Quelle ore interminabili di notte, quando gli unici rumori arrivavano dalla guardiola delle infermiere diversi metri più in là, rumori ovattati. Si sa com'è un reparto di degenza durante la notte. Una notte è stata più movimentata delle altre perchè è sopraggiunta una paziente spedita dal prontosoccorso, giusto nella stanza antistante la mia. Per il resto, silenzio. E ne avevo bisogno.
In quel silenzio mi sono lasciata andare ai pensieri peggiori, al pianto soffocato trattenuto da settimane, al senso di smarrimento, alle crisi di ansia, alle domande, ai sensi di colpa. Alla preghiera. Anche a quella.
E poi pian piano alla consapevolezza che un passo è stato fatto, che in fin dei conti la Tac è andata bene altrimenti non mi avrebbero operato, che la convalescenza sarebbe stata una opportunità per mettere mano ore ed ore a un milione di progetti natalizi che solitamente gli anni scorsi dovevo ridurre per mancanza di tempo.
Mi sono guardata indietro, ho visto tutte le energie che ho sprecato in particolare in questi due ultimi anni nel soffrire amaramente per qualcosa che non merita più un'ora della mia attenzione. Mi sono data della sciocca, ma mi sono anche perdonata, perchè ci sono stati d'animo e pulsioni che non sempre si possono controllare, non sempre si scelgono, l'unica cosa è dare loro lo spazio che chiedono, finchè la loro strada non si compie. E subito dopo mi sono sentita più leggera, e ho ricominciato a fare piccoli progetti. Sarà una banalità, ma avere progetti cambia eccome il modo con cui si vive il tempo. Progetti piccoli, appunto, perchè adesso devo vedermela con la malattia, con il percorso lungo che è solo all'inizio, ma progetti. Sciocchezze. Ma che mi strappano un sorriso ogni volta che ci penso.
Il silenzio, in quella settimana, è stato come un percorso lungo un sentiero. 

Ora sono a casa, appunto. Teoricamente a riposo. Praticamente trovo sempre qualcosa da fare anche da seduta, perchè sono così e basta. I cerotti legano, l'espansore preme, le ferite non sono ancora chiuse, da ieri la pelle evidentemente si sta asciugando e ad ogni movimento sento sta cosa dentro che si muove e si adatta. E' una sensazione stranissima. Sono imbragata in questo reggiseno che non è un reggiseno, ma uno strumento di tortura diurno e notturno, che io ho sempre avuto la passione per tutto quello che è la moda dell'otttocento, ma inizio a ricredermi sul fatto che le povere donne ottocentesche fossero così liete di portare cose del genere per tutta la vita. Il drenaggio dà giù ancora molto, non credo che me ne libererò tanto presto, ma in ospedale mi hanno insegnato a cambiarlo da sola e mi hanno lasciato una piccola scorta di bussolotti nel caso perdessero il vuoto prima della medicazione successiva (vado in ambulatorio due volte a settimana), ormai sto facendo talmente amicizia con la mia borsina che penso che anche dopo tolto il tubo me la porterò dietro vuota per giorni, per forza di inerzia. Il passo successivo, dicono, è la neuro :-D
Il braccio mi dà ai nervi. I primi giorni ho fatto la fighetta e ho messo in atto la fisioterapia non nella dose consigliata, ma il triplo. "Cacchio vuoi che sia, due o tre volte per esercizio lo fanno le vecchiette che hanno paura di sentir male, mica io". Appunto. Da tre giorni ho un dolore al nervo dall'ascella al gomito che mi impedisce di alzare il braccio tenendolo dritto. Non va su. Non risponde se non a metà. Non riesco a tenere alzato nemmeno un bicchiere pieno d'acqua o a grattarmi la testa. E sta cosa mi urta e spesso mi avvilisce. Due giorni fa una febbre alta, dolori atroci alle parti operate e una nausea da manuale mi hanno messo in crisi d'ansia, placata dal chirurgo (ferite a posto, signora) e dal mio medico di base (virus intestinale in giro, normale che le parti più deboli risentano di più, prenda questo e quello e in 48 ore starà meglio).

Durante la medicazione di martedì (oggi è giovedì) non sono stata coperta con garze bianche prima del cerotto trasparente. Mi è stato applicato solo il secondo.
Così, una volta tornata a casa, ho affrontato per la prima volta il mio corpo nuovo.
Ci avevo provato durante la prima medicazione dopo l'intervento, la dottoressa che mi medicava mi ha detto prima di togliere le fasciature che non sarebbe stato opportuno che vedessi così presto, io ho voluto fare l'eroina e con la coda dell'occhio ho visto una cosa che mi ha ribaltato l'anima. Piansi, e mi ripromisi di non guardarmi mai più. Fantasie di una appena scesa dal cavallo della morfina (che viaggiiiiiii!!!).
Insomma, mi sono guardata due giorni fa. Non è lo scempio che pensavo. Le cicatrici si stanno asciugando, c'è un cordone di punti che non si riescono nemmeno a contare.
Non ho più un seno. Ho un sacchetto informe.
Non ho più un seno, e non lo riavrò mai più. Avrò qualcosa che gli assomiglia, tra qualche tempo. Ma non riesco a dispiacermene al punto da rimpiangere quello che ho fatto. Guardo quella cosa che è adesso, e mi chiedo se non fosse stato meglio se non me lo avessero rimosso direttamente sette anni fa, invece di rattoppare. C'è che il futuro, questo futuro, non poteva prevederlo nessuno, e sono convinta che per me è stato fatto quanto di meglio si poteva fare finora. Penso a quello che c'era, alla malattia che lo ha coinvolto due volte e che per due volte mi ha stravolto l'esistenza, ma anche al tempo in cui mi ha permesso di allattare mio figlio e farlo crescere sano come un cinghialotto, e penso che alla fine questo dono grande va a compensare la sofferenza che mi sta causando. Ho avuto questa fortuna. C'è chi non potrà dirlo mai.
Non ho più un seno, ma il chirurgo che mi ha dimesso mi ha assicurato che la tac del prericovero è negativa, perciò non ho più nemmeno la malattia. Passati i fastidi e le tante limitazioni fisiche di queste settimane, rimane solo da ricostruire. Ricostruire la libertà dal cancro con la chemioterapia, ricostruire un petto che mi faccia sentire a mio agio, ricostruire la mia immagine dopo la chemio, ricostruire la vita. E ci vorrà tutta la fatica di cui sarò capace.

Ma se l'ho già fatto una volta, posso farlo di nuovo.







12 commenti:

Anonimo ha detto...

Una lettrice silenziosa, felice di leggere che stai ricomponendo i pezzi e anche se a piccoli passi, guardando al futuro. Sarà un percorso faticoso ma come hai detto tu, se ce l'hai fatta una volta ce la farai anche ora!! Un abbraccio. Barbara

Silvia ha detto...

Oh sì che lo puoi fare di nuovo. Noi da qui la vediamo già sai? Vuoi sapere cosa? La vita che re-inizia.
I tuoi mici ti hanno coccolata?

Un caro saluto da Torino. Silvia

la gabibba ha detto...

ce la farai, ci vorrà tempo ma ce la farai, ti ammiro tantissimo e ti mando un abbraccio virtuale , ma col cuore

Vishnu ha detto...

Sì, l'espansore dà fastidio, ma si sopporta. Non bisogna fare sforzi con il braccio, che poi nel giro di un annetto torna di nuovo come prima. R

Lorena ha detto...

Un forte, fortissimo abbraccio virtuale e tanti pensieri positivi per te.

Ilaria de Blasio ha detto...

Sei una donna eccezionale! E non è un modo di dire per circostanza te lo assicuro. Io posso solo immaginare il tuo dolore fisico,la tua sofferenza morale ed ancora sono lontana dalla verità. Ma spero le preghiere di tutte noi ti possano sostenere sempre. Un abbraccio e sogna,fa progetti,spera.

Isabella ha detto...

Ben tornata Sara, pensavo già che fossi una GRANDE, ora ne ho la certezza. Un enorme abbraccio.

Elisabetta ha detto...

Sono contenta di saperti a casa e "in viaggio". Ti abbraccio piano piano e tifo per te fortissimo :)

Anonimo ha detto...

Sei grande, si.
Un abbraccio anche da parte mia,
Michela dalla Svizzera

Anonimo ha detto...

Bentornata a casa! Un forte abbraccio dalla Brianza. Cristina

Dany ha detto...

sei grande Sara ! Un abbraccio forte
Dany

Anonimo ha detto...

Lacrime e coraggio. Questo mi dai quando ti leggo. Un abbraccio. Cinzia