Non mi piace scrivere sull'amore. Non mi piace nemmeno parlare dell'amore. Qualsiasi parola si cerchi di appioppargli è una parola in più, inutile secondo me, banale, scontata, ripetitiva, rubata ad altri e sentita infinite volte. Non parlo mai d'amore. Per me l'amore si trasmette, non si dice. Non è vergogna, non è pudore, non è mancanza di fantasia. E' la certezza che con il silenzio, con i gesti, con la musica, con una carezza, un sorriso, una notte insonne, un passo affiancato all'altro, un abbraccio (io adoro gli abbracci, quelli veri, stretti, intensi, più di qualsiasi altro gesto) o con qualsiasi altra cosa al di fuori del linguaggio verbale (e ce ne sono miliardi) l'amore si concretizza in maniera più percepibile. Le parole toccano il cuore, i gesti investono l'anima.
Adoro le poesie d'amore, ma rimangono poesie. Se non sono accompagnate da qualcos'altro, fosse anche semplicemente uno sguardo eloquente o due mani che si sfiorano, rimangono meravigliose, intense, toccanti... parole.
Questo è il mio pensiero.

Oggi sono andata a trovare la mamma, come i giorni scorsi. Sta benissimo, la tengono in ospedale ancora un paio di giorni perchè il drenaggio non è ancora pulito, ma ha avuto una ripresa fantastica. E' stufa di star lì, si annoia, ma non ci si può far molto. Quando vado diventa più logorroica del solito (e chi la conosce sa bene che non è una a cui la parola deve esser tirata fuori col forcipe), e io la lascio sfogare, rido, scherzo, cerco di esserci. Ma...
Ma oggi, mentre sorseggiavo il caffè della macchinetta in sala ristoro (cheschifooooo!!! Ho sbagliato a digitare la quantità di zucchero, e a me il caffè amaro... bleah!!!) e lei parlava e parlava, mi veniva in mente il giorno dell'intervento, le ore passate a vegliarla assieme a mio fratello e mia cognata, dandoci un po' il turno sulla sedia in attesa che l'anestesia pian piano venisse smaltita. Mia madre ha sessantadue anni, quasi sessantatrè. Quando penso a mia madre come figura fisica vado in automatico con il pensiero a quando eravamo bambini, lei portava i capelli nerissimi fino alle spalle, ogni tanto faceva la permanente che durava rigorosamente poco, altre volte portava la coda "di musso" (come diceva lei, la coda bassa). Era un filino più alta (invecchiando la gobba l'ha abbassata un po'), le gambe slanciate, il vestito da casa sempre ben stirato e le urla per farci smettere di litigare. Ha sempre dimostrato molti meno anni di quelli che aveva: la pelle bianca, la figura esile e gli occhi gioviali la rendevano, ai miei occhi, diversa dalle altre mamme. Ma per ogni bambino è così, immagino.
Martedì la guardavo. La testa ancora pelata sul cuscino, senza ciglia nè sopracciglia, immersa nel sonno. Guardavo le rughe appena accennate sul viso, la pelle macchiata e un po' cadente. E pensavo che anche la mia mamma sta invecchiando. Non è abbruttita, è sempre lei, ma sta invecchiando, e non me ne sono mai accorta finora. Il giorno dopo l'ho lavata e aiutata a vestirsi, aveva ancora il camice dell'operazione, a fatica si reggeva in piedi ma il morale era bello carico come sempre. Ma si è lasciata fare come si lasciava fare mio figlio quando era molto piccolo. Si lasciava reggere, toccare, pulire, vestire. L'ho fatto come se lo facessi da sempre, e quando ho finito il pensiero si è fermato lì. Dove?
Lì dove i ruoli cambiano, dove ti rendi conto che non sei più bambina nè ragazzina, dove non puoi più solo aspettarti qualcosa ma sei perfettamente in grado di prendere in mano la situazione e gestirla, in una sola parola... ricambiare. Senza pensarci. Perchè è così. Dove puoi, con quello che puoi, ricambiare.
Sono sincera, un po' mi dispiace essermi resa conto che gli anni passano, che anche lei ha le sue debolezze, che ha bisogno. E' segno del tempo che fa il suo lavoro inesorabilmente, senza chiedere permesso, per tutti e per te, per i genitori degli altri e per i tuoi. E' segno del tempo che cambia.
Ed è tempo di cambiare gesti, lasciando le parole d'amore tra le pagine dei libri di poesie.