Lo so, non mi faccio viva da un po'. Il motivo e solo un problema tecnico: da quando siamo in emergenza virus il PC è ad uso praticamente esclusivo del Power, che al mattino lo usa per fare videolezione da tre a quattro ore, e il pomeriggio per studiare, fare i compiti e consegnare il materiale agli insegnanti via email o collegamento web.
Adesso sto scrivendo da cellulare, ma è scomodissimo. Un post dei miei soliti mi è impossibile scriverlo. Non so nemmeno come verra formattato dal sistema. Portate pazienza. Torno appena posso. Velocemente, sto proseguendo la cura con Eribulina, tollero bene ma non sta filando proprio tutto liscio, perché l'emergenza virus sta mettendo i bastoni tra le ruote anche ai pazienti oncologici. Vi racconterò.
Un abbraccio virtuale a chi mi aspetta.
-:- -:- -:- A casa di Mamigà -:- -:- -:-
Una finestra sul mio piccolo, imperfetto angolo di mondo.
lunedì 30 marzo 2020
sabato 8 febbraio 2020
Dieci anni di te
Non so come mi sento. Da una parte accuso ancora stanchezza dalla chemio di martedì (ce l'ho fatta, analisi a posto, talmente a posto che udite udite, dopo DUE anni da neutropenica cronica ho rivisto finalmente sul foglio il vuoto accanto al valore dei globuli bianchi, niente <, da non crederci).
Dall'altra il calendario mi dice che oggi è l'8 febbraio. E niente, non riesco a passarci sopra come niente fosse. Saranno paranoie, non lo so. Certe cose mi si tatuano in testa a fuoco, non posso farci niente.
E poi oggi è proprio il decimo 8 febbraio.
La faccio patetica? Forse. Ma mentre inizio a scrivere è mezzogiorno. Dieci anni fa esatti, a mezzogiorno, mi trovavo per la prima volta in sala d'attesa del reparto di oncologia, con mio marito. Che manco sapevo fosse oncologia, volete ridere? Il reparto ha due ingressi: uno "ufficiale" che arriva da un pianerottolo anonimissimo sul quale c'è solo un vano scale ed un ascensore, nessun altro portone in quel pianerottolo se non quello con a fianco scritto "ONCOLOGIA"; l'altro, esattamente sul lato opposto del lungo corridoio del reparto, oltre il quale si prolunga un altro troncone di corridoio (al quale si accede dal vano scale principale dell'ospedale) pieno di porte e di ambulatori dediti a vari altri tipi di visite e specialisti, ingresso da cui teoricamente può transitare solo il personale sanitario. Sul quella porta che divide i due tronconi di corridoio non c'è nessuna indicazione se non un divieto di accesso (a cui nessuno fa mai caso perchè la porta è praticamente sempre aperta). Insomma, quel giorno sono entrata da lì perchè mi sono persa: tre giorni prima mi aveva contattata al telefono l'impiegata di radiologia dicendomi "può ritirare il referto del suo agoaspirato in ambulatorio di SENOLOGIA lunedì otto febbraio alle dodici". E vai a sapere dov'è "senologia" tu... Prima di allora avevo messo piede in quell'ospedale credo tre volte, e mai sono salita oltre il primo piano. Oncologia è al quarto. Non sapevo manco che esistesse un vano scale alternativo a quello principale io, perciò quello ho preso, e ho chiesto al primo medico che mi è capitato a tiro dove dovessi recarmi. Fu così gentile che mi ci accompagnò, e se lo ricorda ancora. Mi ha messo le mani addosso (professionalmente parlando eh!) diverse volte in seguito quel medico, che poi è un chirurgo.
Ecco, dopo due minuti mi trovavo in sala d'attesa di oncologia senza nemmeno saperlo, e vi dirò, anche in tutta tranquillità (apposta, mica sapevo dov'ero), perchè prontissima a sostenere un colloquio identico a quello di una quindicina di anni prima quando mi fu refertato un fibroadenoma al seno destro.
Quando sei giovane (e forse anche molto incosciente) a certe cose non ci pensi. E io per mia natura non ero una che pensava sempre al peggio in prima battuta, tutt'altro. Ricordo che al corso preparto le altre future mamme si scambiavano opinioni sull'opportunità di poter partorire in uno dei Big Hospitals della regione per il solo fatto che dispongono di un reparto di neonatologia, con quella che "non si sa mai", e io senza piegarmi un capello pensavo tra me e me sentendo questi discorsi "perchè cavolo dovrebbe andare male qualcosa poi...", e decisi di partorire in un piccolo ospedale più vicino a casa, sprovvisto di reparto di neonatologia, per pura comodità. Ecco, quella ero io fino a quel giorno. Fino a mezzogiorno di quell'8 febbraio del 2010.
Sto scrivendo qui. E' mezzogiorno e venti. Ero in ambulatorio davanti al primario, che manco questo sapevo, che fosse il primario. E l'infermiera. E la psicologa. E parlavano. E mi parlavano con gentilezza. E si scambiavano occhiate. E venivo visitata. E il mio referto stava lì, sulla scrivania quasi sgombra, perfettamente ordinata e pulita, referto che prima che mi venisse letto ha visto attorno a sè persone e giri di parole atti (ne ho avuto il sospetto in seguito, se non quasi la certezza) a farmi intuire da sola quello che riportava scritto. Tanto che a un certo punto, stufa di tanti preamboli che quindici anni prima non ci sono stati, tra visita e giri di parole e occhiate e domande sulle mie abitudini alimentari e sul mio parto e allattamento, l'ho buttata io fuori la mia impazienza: "Dottore, insomma, mi vuole dire cosa c'è scritto in quel foglio?". Sottotitolato in linguaggio del volgo: "CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?".
Il resto è storia. Raccontata in parte qui, in parte nei miei diari cartacei, in parte condivisa con qualcuno, e il grosso tenuto per me.
Chissà perchè diamo tanta importanza ai numeri, a certi perlomeno. Quest'anno festeggio il mio ventesimo anniversario di matrimonio, il mio 48esimo compleanno, il 16esimo da mamma; ricordo il 17esimo dall'inizio della mia gravidanza, il 19esimo anno dal trasloco in questa casa, il 23esimo da che ho conosciuto mio marito, il 34esimo da quando si sono separati i miei genitori, il decimo da che è mancata la mia Gioiuta (la mia prima gatta, dalla quale il pensiero non si è ancora mai slegato), il 29esimo dalla morte del nonno, il 14esimo dall'apertura di questo blog, e tanti altri "esimi" che man mano che passano i giorni mi saltano alla mente. Sarà una psicosi anche questa, non lo so.
Questo "esimo" però mi scombussola. Vorrei smetterla di pensarci, ma è più forte di me. Non voglio fare bilanci di questi ultimi dieci anni, sono viva, è un totale a fine operazione che parla da solo, no? E poi a che servirebbe? Non riesco a crogiolarmi in quello che c'è stato, in quello che ho vissuto, perchè la malattia non è la mia persona, è solo parte di essa in mezzo a tutto il resto. Forse la malattia mi ha anche cambiata in un certo senso, a tratti in negativo, a tratti in positivo, ma non ho mai voglia di soffermarmici più di tanto: non ne ho voglia. Non serve a nulla. Ho l'avanti a cui pensare. CON la malattia.
CON nel senso che in questi ultimi due anni, visto che non posso liberarmene, ho deciso di usarla. Ho avuto un momento di rabbia stamattina, complice la debolezza post infusione sicuramente, poi è passato perchè tanto, a ragion veduta, ci sono cose della vita che non si possono cambiare nemmeno se si potesse disporre della macchina del tempo, e la malattia - quella che non ci si cerca - è una di queste. E volente o nolente, una volta digerita, una volta capito che il nostro modus vivendi deve cambiare come deve cambiare la nostra concezione di equilibrio (e accettare la sua perenne ma irreversibile instabilità, per quanto doloroso sia) sta a noi decidere cosa mettere dentro al calderone dove ci ha fatto precipitare.
Si, la mia malattia, il mio cancro, io lo uso. Nei social, nel sostegno e nella vicinanza a chi inizia, nell'ascolto, come ha fatto con me la cara Anna (no, non conoscete "questa" Anna, nessuna Anna blogger, tra chi mi legge qui sul blog questa "Anna" l'ha conosciuta solo e soltanto una persona) che in questi anni mi ha sempre dato forza col ricordo di lei, del suo modo di affrontarla. "Non puoi batterlo, fattelo amico" dice un vecchio detto. Prima di riammalarmi il mio desiderio più grande era fare la volontaria in un hospice. Mi ero attivata per prepararmi con corsi sulla comunicazione e sull'ascolto, ho preso informazioni. Pronta a fare un passo decisivo ed è arrivata la diagnosi di recidiva, e addio progetto. Ma nel mio chiedermi "e adesso che me ne faccio?" la risposta si è fatta strada da sè assieme alle occasioni.
Parlo. Parlo e scrivo.
Parlo della mia malattia, dico che è impossibile amarla, ma è possibile infilarci vita dentro.
Dico che oggi di tumore al seno muoiono sempre meno donne, perchè è la verità.
Dico che se a me sta andando così, col quarto stadio, con le metastasi, con l'aspettativa di vita ridotta e in mano ai farmaci e alla famosa botta di culo, non è vero che andrà così per tutte.
Dico che il panico dei primi tempi è la cosa più normale di questo mondo, che ci vogliono spesso anni per tornare a sorridere, ma che più spesso di quanto si creda si può.
Dico che nessuna donna che si ammala di tumore dovrebbe essere lasciata sola, ma va ascoltata, sostenuta, abbracciata. Soprattutto abbracciata.
No, soprattutto ascoltata.
Dieci anni di te, maledetto. I nostri primi dieci anni. Mi hai portato via tante cose. CI hai portato via tante cose, a me e a chi mi ama. Ma non ti lascio portarmi via tutto. Che a me stessa, al profondo di me, a quello che mi tiene a galla, rimango attaccata con le unghie e con i denti costi quello che costi.
Dall'altra il calendario mi dice che oggi è l'8 febbraio. E niente, non riesco a passarci sopra come niente fosse. Saranno paranoie, non lo so. Certe cose mi si tatuano in testa a fuoco, non posso farci niente.
E poi oggi è proprio il decimo 8 febbraio.
La faccio patetica? Forse. Ma mentre inizio a scrivere è mezzogiorno. Dieci anni fa esatti, a mezzogiorno, mi trovavo per la prima volta in sala d'attesa del reparto di oncologia, con mio marito. Che manco sapevo fosse oncologia, volete ridere? Il reparto ha due ingressi: uno "ufficiale" che arriva da un pianerottolo anonimissimo sul quale c'è solo un vano scale ed un ascensore, nessun altro portone in quel pianerottolo se non quello con a fianco scritto "ONCOLOGIA"; l'altro, esattamente sul lato opposto del lungo corridoio del reparto, oltre il quale si prolunga un altro troncone di corridoio (al quale si accede dal vano scale principale dell'ospedale) pieno di porte e di ambulatori dediti a vari altri tipi di visite e specialisti, ingresso da cui teoricamente può transitare solo il personale sanitario. Sul quella porta che divide i due tronconi di corridoio non c'è nessuna indicazione se non un divieto di accesso (a cui nessuno fa mai caso perchè la porta è praticamente sempre aperta). Insomma, quel giorno sono entrata da lì perchè mi sono persa: tre giorni prima mi aveva contattata al telefono l'impiegata di radiologia dicendomi "può ritirare il referto del suo agoaspirato in ambulatorio di SENOLOGIA lunedì otto febbraio alle dodici". E vai a sapere dov'è "senologia" tu... Prima di allora avevo messo piede in quell'ospedale credo tre volte, e mai sono salita oltre il primo piano. Oncologia è al quarto. Non sapevo manco che esistesse un vano scale alternativo a quello principale io, perciò quello ho preso, e ho chiesto al primo medico che mi è capitato a tiro dove dovessi recarmi. Fu così gentile che mi ci accompagnò, e se lo ricorda ancora. Mi ha messo le mani addosso (professionalmente parlando eh!) diverse volte in seguito quel medico, che poi è un chirurgo.
Ecco, dopo due minuti mi trovavo in sala d'attesa di oncologia senza nemmeno saperlo, e vi dirò, anche in tutta tranquillità (apposta, mica sapevo dov'ero), perchè prontissima a sostenere un colloquio identico a quello di una quindicina di anni prima quando mi fu refertato un fibroadenoma al seno destro.
Quando sei giovane (e forse anche molto incosciente) a certe cose non ci pensi. E io per mia natura non ero una che pensava sempre al peggio in prima battuta, tutt'altro. Ricordo che al corso preparto le altre future mamme si scambiavano opinioni sull'opportunità di poter partorire in uno dei Big Hospitals della regione per il solo fatto che dispongono di un reparto di neonatologia, con quella che "non si sa mai", e io senza piegarmi un capello pensavo tra me e me sentendo questi discorsi "perchè cavolo dovrebbe andare male qualcosa poi...", e decisi di partorire in un piccolo ospedale più vicino a casa, sprovvisto di reparto di neonatologia, per pura comodità. Ecco, quella ero io fino a quel giorno. Fino a mezzogiorno di quell'8 febbraio del 2010.
Sto scrivendo qui. E' mezzogiorno e venti. Ero in ambulatorio davanti al primario, che manco questo sapevo, che fosse il primario. E l'infermiera. E la psicologa. E parlavano. E mi parlavano con gentilezza. E si scambiavano occhiate. E venivo visitata. E il mio referto stava lì, sulla scrivania quasi sgombra, perfettamente ordinata e pulita, referto che prima che mi venisse letto ha visto attorno a sè persone e giri di parole atti (ne ho avuto il sospetto in seguito, se non quasi la certezza) a farmi intuire da sola quello che riportava scritto. Tanto che a un certo punto, stufa di tanti preamboli che quindici anni prima non ci sono stati, tra visita e giri di parole e occhiate e domande sulle mie abitudini alimentari e sul mio parto e allattamento, l'ho buttata io fuori la mia impazienza: "Dottore, insomma, mi vuole dire cosa c'è scritto in quel foglio?". Sottotitolato in linguaggio del volgo: "CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?".
Il resto è storia. Raccontata in parte qui, in parte nei miei diari cartacei, in parte condivisa con qualcuno, e il grosso tenuto per me.
Chissà perchè diamo tanta importanza ai numeri, a certi perlomeno. Quest'anno festeggio il mio ventesimo anniversario di matrimonio, il mio 48esimo compleanno, il 16esimo da mamma; ricordo il 17esimo dall'inizio della mia gravidanza, il 19esimo anno dal trasloco in questa casa, il 23esimo da che ho conosciuto mio marito, il 34esimo da quando si sono separati i miei genitori, il decimo da che è mancata la mia Gioiuta (la mia prima gatta, dalla quale il pensiero non si è ancora mai slegato), il 29esimo dalla morte del nonno, il 14esimo dall'apertura di questo blog, e tanti altri "esimi" che man mano che passano i giorni mi saltano alla mente. Sarà una psicosi anche questa, non lo so.
Questo "esimo" però mi scombussola. Vorrei smetterla di pensarci, ma è più forte di me. Non voglio fare bilanci di questi ultimi dieci anni, sono viva, è un totale a fine operazione che parla da solo, no? E poi a che servirebbe? Non riesco a crogiolarmi in quello che c'è stato, in quello che ho vissuto, perchè la malattia non è la mia persona, è solo parte di essa in mezzo a tutto il resto. Forse la malattia mi ha anche cambiata in un certo senso, a tratti in negativo, a tratti in positivo, ma non ho mai voglia di soffermarmici più di tanto: non ne ho voglia. Non serve a nulla. Ho l'avanti a cui pensare. CON la malattia.
CON nel senso che in questi ultimi due anni, visto che non posso liberarmene, ho deciso di usarla. Ho avuto un momento di rabbia stamattina, complice la debolezza post infusione sicuramente, poi è passato perchè tanto, a ragion veduta, ci sono cose della vita che non si possono cambiare nemmeno se si potesse disporre della macchina del tempo, e la malattia - quella che non ci si cerca - è una di queste. E volente o nolente, una volta digerita, una volta capito che il nostro modus vivendi deve cambiare come deve cambiare la nostra concezione di equilibrio (e accettare la sua perenne ma irreversibile instabilità, per quanto doloroso sia) sta a noi decidere cosa mettere dentro al calderone dove ci ha fatto precipitare.
Si, la mia malattia, il mio cancro, io lo uso. Nei social, nel sostegno e nella vicinanza a chi inizia, nell'ascolto, come ha fatto con me la cara Anna (no, non conoscete "questa" Anna, nessuna Anna blogger, tra chi mi legge qui sul blog questa "Anna" l'ha conosciuta solo e soltanto una persona) che in questi anni mi ha sempre dato forza col ricordo di lei, del suo modo di affrontarla. "Non puoi batterlo, fattelo amico" dice un vecchio detto. Prima di riammalarmi il mio desiderio più grande era fare la volontaria in un hospice. Mi ero attivata per prepararmi con corsi sulla comunicazione e sull'ascolto, ho preso informazioni. Pronta a fare un passo decisivo ed è arrivata la diagnosi di recidiva, e addio progetto. Ma nel mio chiedermi "e adesso che me ne faccio?" la risposta si è fatta strada da sè assieme alle occasioni.
Parlo. Parlo e scrivo.
Parlo della mia malattia, dico che è impossibile amarla, ma è possibile infilarci vita dentro.
Dico che oggi di tumore al seno muoiono sempre meno donne, perchè è la verità.
Dico che se a me sta andando così, col quarto stadio, con le metastasi, con l'aspettativa di vita ridotta e in mano ai farmaci e alla famosa botta di culo, non è vero che andrà così per tutte.
Dico che il panico dei primi tempi è la cosa più normale di questo mondo, che ci vogliono spesso anni per tornare a sorridere, ma che più spesso di quanto si creda si può.
Dico che nessuna donna che si ammala di tumore dovrebbe essere lasciata sola, ma va ascoltata, sostenuta, abbracciata. Soprattutto abbracciata.
No, soprattutto ascoltata.
Dieci anni di te, maledetto. I nostri primi dieci anni. Mi hai portato via tante cose. CI hai portato via tante cose, a me e a chi mi ama. Ma non ti lascio portarmi via tutto. Che a me stessa, al profondo di me, a quello che mi tiene a galla, rimango attaccata con le unghie e con i denti costi quello che costi.
Parlando di
il lato buono della faccenda,
La Bestia Bis,
Metastatimamigà
mercoledì 29 gennaio 2020
Doppio salto con caduta libera
Saltata anche ieri la chemioterapia.
Sono influenzata, ho raffreddore e tosse da mercoledì scorso, e ho avuto anche febbre alta per una notte. L'oncologa mi ha detto che avrei potuto benissimo telefonare invece di uscire di casa, se avessi telefonato mi avrebbe detto di farmi dare direttamente un antibiotico dal mio medico di ba (hahahaha) se, perchè in queste condizioni il midollo non reggerebbe una chemioterapia, andrebbe in tracollo. Ma ho preferito così.
Primo perchè volevo vedere le analisi di lunedì, ero in paranoia per il fegato, e per fortuna tra Tationil e dieta è tornato tutto in regola. Ero in pensiero anche per il midollo, perchè dalla chemio del 2018 non ho mai più avuto i valori dell'emocromo a posto, e infatti persiste una lieve neutropenia. Non così grave da impedire una chemioterapia, ma nemmeno così lieve da farmi gestire dei sintomi influenzali senza un aiuto chimico (coi bianchi a 2300 fresca di chemio e tosse produttiva da sei giorni, raffreddore e temperatura ballerina non vado molto lontano in autonomia).
Secondo, nell'ambulatorio del mio dolcissimo (senza sarcasmo, giuro, è davvero una persona splendida) medico di ba(hahaha)se si alternano sostituti da un anno e mezzo in quanto lui ha accettato un incarico dirigenziale (è diventato un bossssss), c'è un caos, l'ultima sostituta (da dicembre) ha cambiato orari e modalità di accesso, bisogna prendere appuntamento due giorni prima come minimo, per i casi urgenti rimanda alla guardia medica; la gggggente litiga nella sala d'attesa come se fosse in mezzo alla piazza del paese per i posti a sedere, per la modalità di ritiro delle ricette, perchè "non è giusto che vengano a portarci via i posti quelli del paese vicino che dovrebbero prendersi il medico attaccato a casa loro e non da noi, che se perdiamo tempo è tutta colpa loro" (e siamo un unico comune da anni, chiariamo, e sono gli stessi che anzichè usare il metodo della cassettina dove riporre la richiesta di ripetizione ricette per poi ritirarle il giorno dopo preferiscono fare due ore di coda per guardare il medico in faccia mentre gliele fa, perchè "che mica mi fiderò mai di una cassettina eh?"), la sostituta precedente (povera, tutta la mia stima per la pazienza che ha avuto per un intero anno) credo abbia evitato per un pelo di finire in neuro, salvata solo dall'offerta di un incarico fisso nel suo paese di residenza, insomma, ce n'è per farci pensare seriamente di cambiare medico di riferimento. Farmi dare un antibiotico dal mio medico di base? Ci fosse stato lui sarebbe bastata una telefonata per come mi conosceva e per come era fatto, teneva al loro posto tutti quanti con un aplomb che avrebbe potuto dar lezioni di sopravvivenza in un ambulatorio medico a colleghi e pazienti, ma lui non c'è, e fare domanda in carta bollata con code infinite in un contesto del genere (anzi, ormai degenere) e il malessere che avevo... evitiamo. Gna fo proprio.
Terzo, cosa più importante, avrei dovuto comunque recarmi in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati in scadenza, perciò tanto valeva. L'oncologa mi ha visitato, ha appurato che i polmoni sono ancora liberi, mi ha prescritto l'antibiotico, mi ha spedito di là a fare l'iniezione, ha segnato l'appuntamento per il prelievo di lunedì prossimo e la chemio di martedì, ha redatto il referto, abbiamo riso un quarto d'ora tra una cosa e l'altra, e sono tornata a casa.
E poi è successo che...
Niente. Nel pomeriggio è successo qualcosa. Come mi sento lo dice l'immagine. In tutti i sensi.
Sono influenzata, ho raffreddore e tosse da mercoledì scorso, e ho avuto anche febbre alta per una notte. L'oncologa mi ha detto che avrei potuto benissimo telefonare invece di uscire di casa, se avessi telefonato mi avrebbe detto di farmi dare direttamente un antibiotico dal mio medico di ba (hahahaha) se, perchè in queste condizioni il midollo non reggerebbe una chemioterapia, andrebbe in tracollo. Ma ho preferito così.
Primo perchè volevo vedere le analisi di lunedì, ero in paranoia per il fegato, e per fortuna tra Tationil e dieta è tornato tutto in regola. Ero in pensiero anche per il midollo, perchè dalla chemio del 2018 non ho mai più avuto i valori dell'emocromo a posto, e infatti persiste una lieve neutropenia. Non così grave da impedire una chemioterapia, ma nemmeno così lieve da farmi gestire dei sintomi influenzali senza un aiuto chimico (coi bianchi a 2300 fresca di chemio e tosse produttiva da sei giorni, raffreddore e temperatura ballerina non vado molto lontano in autonomia).
Secondo, nell'ambulatorio del mio dolcissimo (senza sarcasmo, giuro, è davvero una persona splendida) medico di ba(hahaha)se si alternano sostituti da un anno e mezzo in quanto lui ha accettato un incarico dirigenziale (è diventato un bossssss), c'è un caos, l'ultima sostituta (da dicembre) ha cambiato orari e modalità di accesso, bisogna prendere appuntamento due giorni prima come minimo, per i casi urgenti rimanda alla guardia medica; la gggggente litiga nella sala d'attesa come se fosse in mezzo alla piazza del paese per i posti a sedere, per la modalità di ritiro delle ricette, perchè "non è giusto che vengano a portarci via i posti quelli del paese vicino che dovrebbero prendersi il medico attaccato a casa loro e non da noi, che se perdiamo tempo è tutta colpa loro" (e siamo un unico comune da anni, chiariamo, e sono gli stessi che anzichè usare il metodo della cassettina dove riporre la richiesta di ripetizione ricette per poi ritirarle il giorno dopo preferiscono fare due ore di coda per guardare il medico in faccia mentre gliele fa, perchè "che mica mi fiderò mai di una cassettina eh?"), la sostituta precedente (povera, tutta la mia stima per la pazienza che ha avuto per un intero anno) credo abbia evitato per un pelo di finire in neuro, salvata solo dall'offerta di un incarico fisso nel suo paese di residenza, insomma, ce n'è per farci pensare seriamente di cambiare medico di riferimento. Farmi dare un antibiotico dal mio medico di base? Ci fosse stato lui sarebbe bastata una telefonata per come mi conosceva e per come era fatto, teneva al loro posto tutti quanti con un aplomb che avrebbe potuto dar lezioni di sopravvivenza in un ambulatorio medico a colleghi e pazienti, ma lui non c'è, e fare domanda in carta bollata con code infinite in un contesto del genere (anzi, ormai degenere) e il malessere che avevo... evitiamo. Gna fo proprio.
Terzo, cosa più importante, avrei dovuto comunque recarmi in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati in scadenza, perciò tanto valeva. L'oncologa mi ha visitato, ha appurato che i polmoni sono ancora liberi, mi ha prescritto l'antibiotico, mi ha spedito di là a fare l'iniezione, ha segnato l'appuntamento per il prelievo di lunedì prossimo e la chemio di martedì, ha redatto il referto, abbiamo riso un quarto d'ora tra una cosa e l'altra, e sono tornata a casa.
Niente. Nel pomeriggio è successo qualcosa. Come mi sento lo dice l'immagine. In tutti i sensi.
sabato 25 gennaio 2020
Eribulina first impact. E un po' di altro.
Finalmente riesco a reimpossessarmi del PC di casa, l'unico strumento dal quale riesco a postare sul blog. Da settembre ormai è ad uso quasi esclusivo di mio figlio ogni pomeriggio, per studiare. Parte dei compiti e materiali di studio gli insegnanti li caricano sul portale di classe, e alcune esercitazioni di geometria e fisica deve farle con dei programmi appositi e inviarle agli insegnanti via email. Mi sa che andando avanti toccherà fare l'acquisto di un PC nuovo e lasciargli questo (che già va a carbonella comunque, ma per l'uso che deve farne lui può andare ancora bene).
Finalmente una mattina per me, in silenzio, senza doveri a cui sottostare che se non li compio creano scompensi a qualcuno. Ho un raffreddore da chilo, e il mio scenario è questo: stufa accesa, cinque gatti attorno, scorta di kleenex e tisana calda di semi di finocchio a disposizione. Ed eccomi a scrivere.
Aggiornamento su come stanno andando le cose. Dunque.
Il 9 di questo mese ho fatto la TAC, con il solito procedimento standard e senza intoppi. Entrata alle nove e un quarto dopo essere stata in oncologia a farmi mettere l'attacco al Port per fare il mezzo di contrasto, uscita alle nove e quarantacinque, uscita dall'ospedale dopo tre quarti d'ora per l'attesa in oncologia della rimozione dell'attacco al Port. I giorni seguenti, come si può immaginare, sono stati notevolmente pesanti. Ma non importa, ormai è andata.
Lunedì 13 gennaio ho fatto il prelievo consueto pre-infusione.
Martedì 14 ho avuto l'esito della TAC, ed è quello che si sperava: progressione ossea SI, anche se modesta, e gli altri organi tutti puliti.
Cioè, puliti! Fegato, polmoni, pancreas, encefalo, reni, tutti senza cancro! Sono entrata in oncologia che tremavo come un fuscello per l'ansia, sono uscita dall'ambulatorio dell'oncologa camminando a due centimetri da terra per recarmi in sala chemio! Sempre per il discorso di qualche post fa: cambiano i parametri di riferimento per cui dire "posso essere contenta".Come se mi avessero tolto un'incudine dallo stomaco. Ho il cancro, ho lo scheletro pieno di metastasi, sono al quarto stadio, ma signorimiei, ho ancora tempo!
Ho riempito l'oncologa di domande sulla terapia che andavo ad iniziare, come sempre, per essere pronta ad affrontarne gli effetti collaterali il più possibile in autonomia senza stressare il reparto. Mi hanno detto che è una terapia molto ben tollerata, che è una passeggiata rispetto a quelle fatte in passato. E quindi Eribulina sia. Lo schema è quello di Abraxane e Carboplatino dell'anno scorso: due martedì si e uno no. Qui non si molla un caxxo. 💪
Un'ora scarsa di infusione tra chemioterapico e premedicazione senza però antistaminici, e via a casa. Se le infusioni sono davvero così, dalla prossima posso andare a farle da sola visto che non ho l'intontimento da Trimeton.
Fegato in sofferenza. Transaminasi alle stelle. Bilirubina meglio non guardarla, che è fragile di nervi.
"Eh si, Eribulina nel 7 per cento dei casi dà epato-tossicità. Ti sei sentita particolarmente stanca in questi giorni?".
"Nooooo.... Mi ero solo fatta un quadro avvilente del prossimo futuro a vivacchiare anzichè vivere, mica altro eh. Quello che mi ci voleva proprio. "
Quindi niente chemioterapia, ma terapia di supporto con il glutatione in flebo che conosco dall'anno scorso per il carboplatino (e che come l'anno scorso ho dovuto pagarmi di tasca mia, sissignori). Dieta, riposo, punto croce, film in tv, partite a Wood Block, disegni da colorare, e da ieri anche fazzoletti di carta e ibuprofene. La stanchezza è andata pian piano svanendo, ieri mattina stavo finalmente bene, escludendo i sintomi influenzali in cavalcata libera. Ma questi ultimi si risolvono con poco.
Lunedì prossimo (dopodomani) ripeto il prelievo, se il problema si è risolto riprendo Eribulina con premedicazione aggiuntiva di Tationil e chemioterapico ridotto al 70%. Se non basta, la settimana successiva valutano un ulteriore cambio di terapia. E questo mi terrorizza.
Non è vero che ci sono tanti farmaci a disposizione per la cronicizzazione delle metastasi da tumore al seno. Non fatevi questa convinzione perchè seguite i servizi in televisione o i video su Youtube o gli articoli delle riviste, è con un oncologo faccia a faccia che bisogna parlare per farsi una conoscenza su queste cose. I tumori al seno non sono tutti uguali, e le metastasi di conseguenza.
Per i triplo negativo è esclusa tutta la gamma delle terapie ormonali, e tutta la fascia di anticorpi monoclonali, l'immunoterapia. E ogni farmaco che si va ad escludere è un bicchiere di cristallo che cade dallo scaffale dove era stato riposto in fila con gli altri bicchieri, come un soldatino di legno colpito da una pallina di piombo, frantumandosi irreparabilmente. Bicchieri di un servizio che non è infinito.
Per entrare in una qualsiasi sperimentazione ci vuole del tempo per fare determinati test, durante il quale non si deve assumere altri chemioterapici, tempo che un metastatico non sempre ha. Bisogna che le metastasi abbiano determinate caratteristiche. E non bisogna essere stati sottoposti ad alcuni trattamenti in passato. Non è così semplice la questione. E questo pensiero, anche se non è il centro delle mie giornate per fortuna, mi spaventa.
Però una cosa alla volta. Sto cercando di concentrarmi su una cosa alla volta, o non ne esco. Intanto devo cercare di riprendermi bene in questi due giorni, perciò tutto quello che può farmi stare bene me lo prendo. Una cosa che ho ripreso a fare da qualche settimana, e di cui ho riscoperto la validità come antiansia, è il ricamo a punto croce. Poco prima di Natale ho fatto un acquisto che non facevo da anni, cioè un taglio di tela Aida, color grigio polvere. Non ne acquistavo da anni perchè oltre ad essermi dedicata tantissimo ad altre tecniche di lavori manuali, ho ancora un po' di tela da ricamo in una delle mie scatole magiche e speravo di smaltirle. Ma per questo progetto serviva un taglio nuovo, in misura che non avevo. E volevo fare proprio questo, non un altro. E' uno schema originale che mi mandò Maria Elena diversi anni fa per Natale, messo da parte tra i "farò".
Volevo fare proprio questo perchè un altro pensiero ha fatto compagnia agli altri durante le festività.
E' l'assenza di Maria Elena.
Natale era un periodo in cui condividevamo tanto: i pacchi con i regali che si incrociavano, sempre regali pensati ad personam, e spesso contenuti nella stessa scatola viaggiante riciclata dall'anno prima solo rifoderata con carta da pacchi nuova. C' era una scatola che, non esagero, da me a lei e da lei a me ha fatto qualcosa come sette od otto viaggi, finchè non ha ceduto e si è autolanciata nella stufa. Lei era solita mandare sempre un libro a mio figlio per Natale, libro che immancabilmente aveva già letto lei, perchè lei e Gabriele nonostante l'enorme differenza di età si capivano. Condividevano i gusti nelle letture, voleva essere sicura che gli piacesse, non ha mai sbagliato. Mio figlio ha diversi libri di Meg nella sua libreria, guai a chi glieli tocca, e l'unico mio rammarico è che l'ultima volta che l'ha vista di persona era piccolo e non se la ricorda più. Condividevamo la preparazione degli addobbi in casa, si chiacchierava via messenger e per telefono all'inizio e via facebook e whatsapp poi su come e cosa tiravamo fuori dagli scatoloni, le rispettive battaglie con i gatti nel compiere l'impresa. Si parlava di tisane calde, di ricami natalizi. Si parlava di biscotti speziati, di ricette. Una volta ricevetti per Natale una scatola piena di omini di pan di zenzero fatti da lei, durati, manco a dirlo, il tempo di un "amen". La scatola è ancora lì però, nell'armadio, a contenere altro.
Iniziare un ricamo che ha pensato per me (azzeccando i miei gusti, come sempre, in questo caso l'amore per l'inverno e per la neve) me la sta facendo sentire in qualche modo vicina. Tanto quanto me l'ha fatta sentire vicina l'unico addobbo rosso che quest'anno ho appeso al mio albero tutto bianco ed oro (vedi il video del post precedente), un cuscinetto fatto da lei: lasciarlo nella scatola tra gli addobbi "scartati" per il Mamigalbero 2019 è stato impossibile.
E forse in un certo senso vicina lo è davvero.
Finalmente una mattina per me, in silenzio, senza doveri a cui sottostare che se non li compio creano scompensi a qualcuno. Ho un raffreddore da chilo, e il mio scenario è questo: stufa accesa, cinque gatti attorno, scorta di kleenex e tisana calda di semi di finocchio a disposizione. Ed eccomi a scrivere.
Aggiornamento su come stanno andando le cose. Dunque.
Il 9 di questo mese ho fatto la TAC, con il solito procedimento standard e senza intoppi. Entrata alle nove e un quarto dopo essere stata in oncologia a farmi mettere l'attacco al Port per fare il mezzo di contrasto, uscita alle nove e quarantacinque, uscita dall'ospedale dopo tre quarti d'ora per l'attesa in oncologia della rimozione dell'attacco al Port. I giorni seguenti, come si può immaginare, sono stati notevolmente pesanti. Ma non importa, ormai è andata.
Lunedì 13 gennaio ho fatto il prelievo consueto pre-infusione.
Martedì 14 ho avuto l'esito della TAC, ed è quello che si sperava: progressione ossea SI, anche se modesta, e gli altri organi tutti puliti.
Cioè, puliti! Fegato, polmoni, pancreas, encefalo, reni, tutti senza cancro! Sono entrata in oncologia che tremavo come un fuscello per l'ansia, sono uscita dall'ambulatorio dell'oncologa camminando a due centimetri da terra per recarmi in sala chemio! Sempre per il discorso di qualche post fa: cambiano i parametri di riferimento per cui dire "posso essere contenta".Come se mi avessero tolto un'incudine dallo stomaco. Ho il cancro, ho lo scheletro pieno di metastasi, sono al quarto stadio, ma signorimiei, ho ancora tempo!
Ho riempito l'oncologa di domande sulla terapia che andavo ad iniziare, come sempre, per essere pronta ad affrontarne gli effetti collaterali il più possibile in autonomia senza stressare il reparto. Mi hanno detto che è una terapia molto ben tollerata, che è una passeggiata rispetto a quelle fatte in passato. E quindi Eribulina sia. Lo schema è quello di Abraxane e Carboplatino dell'anno scorso: due martedì si e uno no. Qui non si molla un caxxo. 💪
- Mercoledì: il giorno della nausea e la bocca schifida da cortisone dose bomba.
- Giovedì: tutto tranquillo.
- Venerdì: tracollo. Ma non mi avevano detto che gli effetti collaterali, caduta dei capelli a parte, sarebbero stati trascurabili? Non mi sono spaventata, ho solo pensato che forse sono ancora satura dalle chemioterapie dell'anno scorso, sono ancora provata, l'ho presa con filosofia e mi sono presa il giusto riposo.
- Sabato: mi alzo dal letto, entro nel box doccia, inizio a lavarmi la testa, il box inizia a girare. Eh no, c'è qualcosa che non va. Interrompo la doccia a metà, esco, mi siedo sullo sgabellino a fianco, e mentre mi asciugo mi sento scivolare verso il pavimento. Eh no cazzo. Sono sola in casa. Mi trascino in camera da letto e mi stendo, nel giro di qualche minuto torno in qua, nel frattempo torna mio marito dal supermercato dove lo avevo spedito. Mi porta su subito qualcosa da mangiare, due crackers con formaggio e una fettina di speck. "Ok Sara, non tutti reagiscono allo stesso modo ai farmaci, gli effetti collaterali sono soggettivi, si vede che a te deve andare così. Ma porca paletta, mesi così devo farmi? Sono sfinita, non sto in piedi. Piango. Non è giusto, porca tombola non è giusto!".
- Domenica: ancora stanchissima, saporaccio in bocca, ventre gonfio. Per fortuna mio marito era ancora in licenza, stanco anche lui per altre vicende successe con i suoi, e abbiamo passato la giornata in quasi totale ozio. Ma cenni di ripresa da parte mia zero.
- Lunedì: mi faccio accompagnare a fare il prelievo per la chemio del giorno dopo, da sola non me la sono sentita di andare. Sul tardi sono riuscita ad andare dalla psicologa in qualche modo, avevo preso appuntamento un paio di settimane prima. Se avessi seguito i messaggi che mi mandava il mio corpo sarei rimasta a casa, ma ho iniziato davvero a pensare che parte di tutto quel malessere fosse psicosomatico: se mi hanno messo la terapia dopo sette giorni, pensavo, il sesto dovrei essere al top delle forze secondo la tabella di marcia che ho stracollaudato in tutti questi anni." Che stia rifiutando dentro la mia testa la cura? Se non vado dalla psicologa non ho modo di farmi una giusta autoanalisi per capirlo e risolverlo. Al massimo mi appoggio sulle mie compagne stampelle e si, trovo il modo di farcela".
- Martedì: arrivo in oncologia accompagnata, in sala d'attesa non c'è nessuno (credevo stesse per nevicare), l'oncologo (lui stavolta) mi stava aspettando con la risposta a tutto sto malessere sproporzionato rispetto a quello che avrebbe dovuto essere il post-Eribulina.
Fegato in sofferenza. Transaminasi alle stelle. Bilirubina meglio non guardarla, che è fragile di nervi.
"Eh si, Eribulina nel 7 per cento dei casi dà epato-tossicità. Ti sei sentita particolarmente stanca in questi giorni?".
"Nooooo.... Mi ero solo fatta un quadro avvilente del prossimo futuro a vivacchiare anzichè vivere, mica altro eh. Quello che mi ci voleva proprio. "
Quindi niente chemioterapia, ma terapia di supporto con il glutatione in flebo che conosco dall'anno scorso per il carboplatino (e che come l'anno scorso ho dovuto pagarmi di tasca mia, sissignori). Dieta, riposo, punto croce, film in tv, partite a Wood Block, disegni da colorare, e da ieri anche fazzoletti di carta e ibuprofene. La stanchezza è andata pian piano svanendo, ieri mattina stavo finalmente bene, escludendo i sintomi influenzali in cavalcata libera. Ma questi ultimi si risolvono con poco.
Lunedì prossimo (dopodomani) ripeto il prelievo, se il problema si è risolto riprendo Eribulina con premedicazione aggiuntiva di Tationil e chemioterapico ridotto al 70%. Se non basta, la settimana successiva valutano un ulteriore cambio di terapia. E questo mi terrorizza.
Non è vero che ci sono tanti farmaci a disposizione per la cronicizzazione delle metastasi da tumore al seno. Non fatevi questa convinzione perchè seguite i servizi in televisione o i video su Youtube o gli articoli delle riviste, è con un oncologo faccia a faccia che bisogna parlare per farsi una conoscenza su queste cose. I tumori al seno non sono tutti uguali, e le metastasi di conseguenza.
Per i triplo negativo è esclusa tutta la gamma delle terapie ormonali, e tutta la fascia di anticorpi monoclonali, l'immunoterapia. E ogni farmaco che si va ad escludere è un bicchiere di cristallo che cade dallo scaffale dove era stato riposto in fila con gli altri bicchieri, come un soldatino di legno colpito da una pallina di piombo, frantumandosi irreparabilmente. Bicchieri di un servizio che non è infinito.
Per entrare in una qualsiasi sperimentazione ci vuole del tempo per fare determinati test, durante il quale non si deve assumere altri chemioterapici, tempo che un metastatico non sempre ha. Bisogna che le metastasi abbiano determinate caratteristiche. E non bisogna essere stati sottoposti ad alcuni trattamenti in passato. Non è così semplice la questione. E questo pensiero, anche se non è il centro delle mie giornate per fortuna, mi spaventa.
Però una cosa alla volta. Sto cercando di concentrarmi su una cosa alla volta, o non ne esco. Intanto devo cercare di riprendermi bene in questi due giorni, perciò tutto quello che può farmi stare bene me lo prendo. Una cosa che ho ripreso a fare da qualche settimana, e di cui ho riscoperto la validità come antiansia, è il ricamo a punto croce. Poco prima di Natale ho fatto un acquisto che non facevo da anni, cioè un taglio di tela Aida, color grigio polvere. Non ne acquistavo da anni perchè oltre ad essermi dedicata tantissimo ad altre tecniche di lavori manuali, ho ancora un po' di tela da ricamo in una delle mie scatole magiche e speravo di smaltirle. Ma per questo progetto serviva un taglio nuovo, in misura che non avevo. E volevo fare proprio questo, non un altro. E' uno schema originale che mi mandò Maria Elena diversi anni fa per Natale, messo da parte tra i "farò".
Volevo fare proprio questo perchè un altro pensiero ha fatto compagnia agli altri durante le festività.
E' l'assenza di Maria Elena.
Natale era un periodo in cui condividevamo tanto: i pacchi con i regali che si incrociavano, sempre regali pensati ad personam, e spesso contenuti nella stessa scatola viaggiante riciclata dall'anno prima solo rifoderata con carta da pacchi nuova. C' era una scatola che, non esagero, da me a lei e da lei a me ha fatto qualcosa come sette od otto viaggi, finchè non ha ceduto e si è autolanciata nella stufa. Lei era solita mandare sempre un libro a mio figlio per Natale, libro che immancabilmente aveva già letto lei, perchè lei e Gabriele nonostante l'enorme differenza di età si capivano. Condividevano i gusti nelle letture, voleva essere sicura che gli piacesse, non ha mai sbagliato. Mio figlio ha diversi libri di Meg nella sua libreria, guai a chi glieli tocca, e l'unico mio rammarico è che l'ultima volta che l'ha vista di persona era piccolo e non se la ricorda più. Condividevamo la preparazione degli addobbi in casa, si chiacchierava via messenger e per telefono all'inizio e via facebook e whatsapp poi su come e cosa tiravamo fuori dagli scatoloni, le rispettive battaglie con i gatti nel compiere l'impresa. Si parlava di tisane calde, di ricami natalizi. Si parlava di biscotti speziati, di ricette. Una volta ricevetti per Natale una scatola piena di omini di pan di zenzero fatti da lei, durati, manco a dirlo, il tempo di un "amen". La scatola è ancora lì però, nell'armadio, a contenere altro.
Iniziare un ricamo che ha pensato per me (azzeccando i miei gusti, come sempre, in questo caso l'amore per l'inverno e per la neve) me la sta facendo sentire in qualche modo vicina. Tanto quanto me l'ha fatta sentire vicina l'unico addobbo rosso che quest'anno ho appeso al mio albero tutto bianco ed oro (vedi il video del post precedente), un cuscinetto fatto da lei: lasciarlo nella scatola tra gli addobbi "scartati" per il Mamigalbero 2019 è stato impossibile.
E forse in un certo senso vicina lo è davvero.
sabato 21 dicembre 2019
Di nuovo l'abisso
Abbiamo fatto l'albero di Natale e decorato casa.
Ho preparato pacchetti e pacchettini, cercando di ricordarmi di più persone possibili. Perchè si, perchè me la sono sentita e basta.
E oggi non faccio che piangere. Piango da ventiquattro ore ormai. Alterno dormite a pianti.
Perchè tre giorni fa ho fatto una risonanza di controllo, ieri ho ricevuto l'esito, e l'esito è che la malattia è in progressione. Capecitabina e Navelbine non sono servite a niente. Il cancro è lì, vivo, di nuovo sveglio, ha ripreso strada sulle mie ossa, e Dio solo per ora sa dove altro. Non ho il cancro, ho la merda delle merde dei tumori al seno.
Il 9 gennaio farò una TAC di ristadiazione per controllare gli altri organi, e il 14 torno in sala chemio per un tentativo con Eribulina. Tre mesi di Eribulina, e a seguire si riprendono Abraxane e Carboplatino.
Ancora tortura. Tornare a soffrire. A perdere i capelli. A passare ore a letto. A sperare e pregare di poter guadagnare vita.
Sono dilaniata, disintegrata, distrutta. Non riesco a trovare un motivo valido per fare qualcosa, sto passando ore in quasi totale apatia. Ho perso forza, ho perso fiducia, ho perso il fiato. L'unica cosa che vorrei è rimanere abbracciata stretta a mio marito, sentirmi portata in braccio, non stare da sola. Mi mancano le gambe.
Ieri pomeriggio mi è successa una cosa strana. Mi sono addormentata in poltrona in una posizione assurda, con la testa piegata sul lato destro, appoggiata su uno dei cuscini ricoperti all'uncinetto, appoggiato a sua volta sulla parte bassa del mobile del soggiorno. Non so quanto ho dormito, forse un'ora, ma a fondo. So che quando ho aperto gli occhi non capivo dov'ero. Mi aspettavo di veder arrivare mia madre portarmi la merenda, avevo la certezza di essere una bambina che si era svegliata da un brutto sogno, faticavo a mettere a fuoco con gli occhi la stufa accesa. Ho sentito arrivare da un'altra stanza una voce di uomo e mi sono spaventata. Ci ho messo un po' per tornare in qua: no, non sono bambina e questa è casa mia, sono sposata e ho un figlio grande, ho 47 anni.
Non so se questo si chiami "essere sotto choc". Ma so che piangere mi impedisce di lasciarmi andare agli attacchi di ansia e di panico, e questa forse è una fortuna adesso. Riuscire a buttare fuori. Riuscire a dire "ho paura di morire".
Cancro maledetto.
E oggi non faccio che piangere. Piango da ventiquattro ore ormai. Alterno dormite a pianti.
Perchè tre giorni fa ho fatto una risonanza di controllo, ieri ho ricevuto l'esito, e l'esito è che la malattia è in progressione. Capecitabina e Navelbine non sono servite a niente. Il cancro è lì, vivo, di nuovo sveglio, ha ripreso strada sulle mie ossa, e Dio solo per ora sa dove altro. Non ho il cancro, ho la merda delle merde dei tumori al seno.
Il 9 gennaio farò una TAC di ristadiazione per controllare gli altri organi, e il 14 torno in sala chemio per un tentativo con Eribulina. Tre mesi di Eribulina, e a seguire si riprendono Abraxane e Carboplatino.
Ancora tortura. Tornare a soffrire. A perdere i capelli. A passare ore a letto. A sperare e pregare di poter guadagnare vita.
Sono dilaniata, disintegrata, distrutta. Non riesco a trovare un motivo valido per fare qualcosa, sto passando ore in quasi totale apatia. Ho perso forza, ho perso fiducia, ho perso il fiato. L'unica cosa che vorrei è rimanere abbracciata stretta a mio marito, sentirmi portata in braccio, non stare da sola. Mi mancano le gambe.
Ieri pomeriggio mi è successa una cosa strana. Mi sono addormentata in poltrona in una posizione assurda, con la testa piegata sul lato destro, appoggiata su uno dei cuscini ricoperti all'uncinetto, appoggiato a sua volta sulla parte bassa del mobile del soggiorno. Non so quanto ho dormito, forse un'ora, ma a fondo. So che quando ho aperto gli occhi non capivo dov'ero. Mi aspettavo di veder arrivare mia madre portarmi la merenda, avevo la certezza di essere una bambina che si era svegliata da un brutto sogno, faticavo a mettere a fuoco con gli occhi la stufa accesa. Ho sentito arrivare da un'altra stanza una voce di uomo e mi sono spaventata. Ci ho messo un po' per tornare in qua: no, non sono bambina e questa è casa mia, sono sposata e ho un figlio grande, ho 47 anni.
Non so se questo si chiami "essere sotto choc". Ma so che piangere mi impedisce di lasciarmi andare agli attacchi di ansia e di panico, e questa forse è una fortuna adesso. Riuscire a buttare fuori. Riuscire a dire "ho paura di morire".
Cancro maledetto.
giovedì 28 novembre 2019
Un po' di respiro
L'altro ieri è arrivato il verbale della revisione di invalidità. Definitivo. Nel senso che solitamente dopo una decina di giorni dalla visita arrivava il provvisorio, il definitivo invece dopo un paio di mesi. Stavolta hanno abbreviato i tempi, credo perchè c'era poco da valutare con calma davanti alle mie carte. La differenza tra avere il verbale provvisorio ed averlo definitivo è per mio marito, per poter mantenere la 104 deve avere il definitivo. In ogni modo è arrivato, ed è stato il solito tonfo al cuore di ogni volta che arriva il verbale. Ogni volta apro la busta in fretta e furia, in una sorta di ansia ingiustificata. Non è piacevole, mai. Chiunque ne farebbe a meno, ma quando non si può si spera almeno di non venire prese in giro, come quella volta che a revisione il medico mi fece la manovra di Lasègue sbagliata per dimostrare che non avevo due ernie al disco e il referto della risonanza che ho portato era una farfulla, così come il referto della visita neurochirurgica che mi metteva in lista d'attesa per l'intervento alla schiena (che feci puntualmente circa un mese dopo). Forse perchè mi sono presentata a visita da sola e ho sorriso con dignità alla commissione anzichè fare la parte della prostrata, chissà. Mi ha fatto sentire umiliata. Manco ci si divertisse ad andare in commissione medica.
Ora, non è che con metastasi ossee diffuse da K mammario certificate e stracertificate si possa fantasticare tanto, o mettere in dubbio che una si presenta con le stampelle per fare scena. Ma se ne sentono talmente tante che non do più niente per scontato ormai.
Senza aver chiesto aggravamento, me lo hanno comunque riconosciuto. Cento per cento. Revisione a tre anni stavolta, non uno. L'ho preso come un buon augurio, una scaramanzia. Tipo "oh, pensano che tra tre anni io sia ancora qui, non è un buon segno?". Si, ridete pure, so che è una mera questione burocratica, ma lasciatemici fantasticare un po' sopra dai. Intanto domani vado a farmi le fototessera per richiedere il tanto desiderato tesserino per i parcheggi, che mi potrà essere di aiuto in non poche situazioni che finora mi hanno creato discrete difficoltà.
.
Anche se spero di doverlo usare il minimo possibile, perchè anche quando l'avevo nove anni fa durante la prima malattia lo usavo solo quando non potevo proprio farne a meno, cioè nei giorni "proprio no". Non ho mai voluto approfittarne: obiettivamente c'è chi sta messo peggio di me, e se posso lascio libero.
Sto meglio. Fisicamente sto un po' meglio. Non so di cosa mi abbiano bombato venerdì scorso in vena, ma il dolore lancinante si è trasformato in fastidio in meno di 24 ore, tanto che ieri e oggi mi sono mossa senza stampelle, ieri per negozi e oggi in lungo e in largo per l'ospedale. A brevi tratti, si intende, ma comunque a due zampe e non a quattro.
Stamattina sono dovuta tornare in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati, venerdì scorso non era disponibile e ho dovuto rinviare il buco ad oggi. Parlando con l'infermiera si constatava il fatto che noi donne difficilmente ci arrendiamo a chiedere supporto antalgico lì dentro, forse perchè siamo allenate, o educate, a dover tollerare soglie del dolore più alte del necessario. A chiedere aiuto pare sempre di stare a disturbare, al pari dei vecchietti che vanno dal medico per passare un po' di tempo. E lo so che non è la stessa cosa, che ho un problema serio e non fisime, ma stiamo vivendo in famiglia una situazione che non posso raccontare, ma che sta facendo sbarellare tutti quanti (e non sto esagerando) e mi porta a ragionare così. Mio marito direbbe "alla stupidovia".
Mi ha detto di non aspettare più, di non arrivare più a certi livelli, di chiedere terapia di supporto senza che debba essere l'oncologo a dovermici spedire durante la visita mensile. E non ha mica torto. E mi sa anche che seguirò questo consiglio.
Perchè? Perchè eliminare gran parte del dolore, anche se si tratta di una cura palliativa, mi ha fatto passare le giornate molto più serenamente. Sapete cosa vuol dire abituarsi al dolore? Significa che diventi acida ed astiosa ma non te ne accorgi, se ne accorge chi ti sta vicino, e chi ti sta vicino ti infastidisce, dai la colpa del tuo mal-stare alla loro presenza e invece sei tu che hai i nervi sottili come fili di nylon, perchè sono impegnati costantemente a tenere per le corna un toro che preme per spingerti a terra. Sei intollerante all'aria che respiri, ma fai l'eroina e pensi "sono cazzuta a mille". Insomma, ti convinci di avere un periodo in cui tutti ti stanno sulle palle, mentre invece ti stai sulle palle da sola.
Tolti tre quarti del dolore, tolto il novanta per cento dell'ansia.
E le conseguenze sono state:
-un intero pomeriggio, quello di sabato, trascorso con una cugina e i suoi bambini che non vedevo da più di tre anni, senza dovermi chiedere prima di dirle di sì "lo reggo o non lo reggo un pomeriggio intero con una visita in casa?". E' stato piacevolissimo.
-L'intera domenica mattina passata ai fornelli a cucinare verdura per riempirci il frigo.
-l'inizio del giro dei colloqui con i professori, lunedì mattina ho inaugurato il tour del primo quadrimestre con l'insegnante di ginnastica senza dovermi chiedere prima di partire "e se mi viene l'attacco d'ansia mentre aspetto?".
-Tre brevi giri per negozi ieri mattina, a spendere soldi per il mangiare per i gatti e per gli ultimi acquisti dei pensieri natalizi da spedire alla parte di famiglia che è rimasta a Venezia, come faccio ogni anno da ormai diciannove anni, senza dovermi chiedere prima di partire "e se trovo coda alle casse e mi sento mancare la gamba sinistra?".
-Il ritorno dalla parrucchiera dopo nove mesi, ieri pomeriggio, per sistemare la zazzera ricresciuta alla porcospino-andante, senza dovermi chiedere prima di andare "e se mi sale l'ansia mentre sta tagliando, o mi prende il crampo all'anca, che fo?".
E sono ansie mica da poco, sapete. Chi soffre di ansia sa quanto poco scontato sia il non doverci necessariamente fare i conti, è quasi una sorpresa di cui ci si rende conto solo a posteriori.
Insomma, un altro vivere, che spero duri il più possibile. Mi sembra quasi di aver ritrovato un quadratino di normalità, o meglio, di una quotidianità che mi piace. Quella quotidianità in cui anche la guerra di nervi con mio figlio quindicenne, per quanto feroce e costante, mi dice che posso fare finta che sia tutto a posto, perchè comunque ho un pezzo di problema in meno.
Che poi oggi io sia comunque fuori con i sentimenti e con lo stomaco stretto perchè il cucciolo di muflone/bollitore di testosterone mi abbia per l'ennesima volta fatto vedere i sorci verdi e prendere seriamente in considerazione l'uso alternativo del manico della scopa (giuro, ci è mancato tanto così /-/, fa parte della coreografia.
Ora, non è che con metastasi ossee diffuse da K mammario certificate e stracertificate si possa fantasticare tanto, o mettere in dubbio che una si presenta con le stampelle per fare scena. Ma se ne sentono talmente tante che non do più niente per scontato ormai.
Senza aver chiesto aggravamento, me lo hanno comunque riconosciuto. Cento per cento. Revisione a tre anni stavolta, non uno. L'ho preso come un buon augurio, una scaramanzia. Tipo "oh, pensano che tra tre anni io sia ancora qui, non è un buon segno?". Si, ridete pure, so che è una mera questione burocratica, ma lasciatemici fantasticare un po' sopra dai. Intanto domani vado a farmi le fototessera per richiedere il tanto desiderato tesserino per i parcheggi, che mi potrà essere di aiuto in non poche situazioni che finora mi hanno creato discrete difficoltà.
.
Anche se spero di doverlo usare il minimo possibile, perchè anche quando l'avevo nove anni fa durante la prima malattia lo usavo solo quando non potevo proprio farne a meno, cioè nei giorni "proprio no". Non ho mai voluto approfittarne: obiettivamente c'è chi sta messo peggio di me, e se posso lascio libero.
Sto meglio. Fisicamente sto un po' meglio. Non so di cosa mi abbiano bombato venerdì scorso in vena, ma il dolore lancinante si è trasformato in fastidio in meno di 24 ore, tanto che ieri e oggi mi sono mossa senza stampelle, ieri per negozi e oggi in lungo e in largo per l'ospedale. A brevi tratti, si intende, ma comunque a due zampe e non a quattro.
Stamattina sono dovuta tornare in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati, venerdì scorso non era disponibile e ho dovuto rinviare il buco ad oggi. Parlando con l'infermiera si constatava il fatto che noi donne difficilmente ci arrendiamo a chiedere supporto antalgico lì dentro, forse perchè siamo allenate, o educate, a dover tollerare soglie del dolore più alte del necessario. A chiedere aiuto pare sempre di stare a disturbare, al pari dei vecchietti che vanno dal medico per passare un po' di tempo. E lo so che non è la stessa cosa, che ho un problema serio e non fisime, ma stiamo vivendo in famiglia una situazione che non posso raccontare, ma che sta facendo sbarellare tutti quanti (e non sto esagerando) e mi porta a ragionare così. Mio marito direbbe "alla stupidovia".
Mi ha detto di non aspettare più, di non arrivare più a certi livelli, di chiedere terapia di supporto senza che debba essere l'oncologo a dovermici spedire durante la visita mensile. E non ha mica torto. E mi sa anche che seguirò questo consiglio.
Perchè? Perchè eliminare gran parte del dolore, anche se si tratta di una cura palliativa, mi ha fatto passare le giornate molto più serenamente. Sapete cosa vuol dire abituarsi al dolore? Significa che diventi acida ed astiosa ma non te ne accorgi, se ne accorge chi ti sta vicino, e chi ti sta vicino ti infastidisce, dai la colpa del tuo mal-stare alla loro presenza e invece sei tu che hai i nervi sottili come fili di nylon, perchè sono impegnati costantemente a tenere per le corna un toro che preme per spingerti a terra. Sei intollerante all'aria che respiri, ma fai l'eroina e pensi "sono cazzuta a mille". Insomma, ti convinci di avere un periodo in cui tutti ti stanno sulle palle, mentre invece ti stai sulle palle da sola.
Tolti tre quarti del dolore, tolto il novanta per cento dell'ansia.
E le conseguenze sono state:
-un intero pomeriggio, quello di sabato, trascorso con una cugina e i suoi bambini che non vedevo da più di tre anni, senza dovermi chiedere prima di dirle di sì "lo reggo o non lo reggo un pomeriggio intero con una visita in casa?". E' stato piacevolissimo.
-L'intera domenica mattina passata ai fornelli a cucinare verdura per riempirci il frigo.
-l'inizio del giro dei colloqui con i professori, lunedì mattina ho inaugurato il tour del primo quadrimestre con l'insegnante di ginnastica senza dovermi chiedere prima di partire "e se mi viene l'attacco d'ansia mentre aspetto?".
-Tre brevi giri per negozi ieri mattina, a spendere soldi per il mangiare per i gatti e per gli ultimi acquisti dei pensieri natalizi da spedire alla parte di famiglia che è rimasta a Venezia, come faccio ogni anno da ormai diciannove anni, senza dovermi chiedere prima di partire "e se trovo coda alle casse e mi sento mancare la gamba sinistra?".
-Il ritorno dalla parrucchiera dopo nove mesi, ieri pomeriggio, per sistemare la zazzera ricresciuta alla porcospino-andante, senza dovermi chiedere prima di andare "e se mi sale l'ansia mentre sta tagliando, o mi prende il crampo all'anca, che fo?".
E sono ansie mica da poco, sapete. Chi soffre di ansia sa quanto poco scontato sia il non doverci necessariamente fare i conti, è quasi una sorpresa di cui ci si rende conto solo a posteriori.
Insomma, un altro vivere, che spero duri il più possibile. Mi sembra quasi di aver ritrovato un quadratino di normalità, o meglio, di una quotidianità che mi piace. Quella quotidianità in cui anche la guerra di nervi con mio figlio quindicenne, per quanto feroce e costante, mi dice che posso fare finta che sia tutto a posto, perchè comunque ho un pezzo di problema in meno.
Che poi oggi io sia comunque fuori con i sentimenti e con lo stomaco stretto perchè il cucciolo di muflone/bollitore di testosterone mi abbia per l'ennesima volta fatto vedere i sorci verdi e prendere seriamente in considerazione l'uso alternativo del manico della scopa (giuro, ci è mancato tanto così /-/, fa parte della coreografia.
venerdì 22 novembre 2019
Probabilità, imprevisti e segnalino a damigiana
Ieri mattina sono stata a fare il prelievo mensile, e stamattina come da prassi sono stata a visita oncologica. All'ordine del giorno c'erano solo:
-visione dell'esito del prelievo
-consegna del referto e prenotazione della prossima visita (20 dicembre)
-consegna della terapia per le prossime quattro settimane
-iniezione di denosumab.
-filata a casa felice e contenta e ripresa dei miei lavori domestici, possibilmente previo un breve giro da Tigotà per cavolatine varie che so che sono in sconto e io sono tanto ma tanto golosa di cavolatine 😀 (La scusa del consolatorio regge sempre bene, è la parte pheega dell' avere una malattia importante).
E invece è andata così.
Ho trovato parcheggio un po' lontano dall'ingresso dell'ospedale (appena mi arriva il verbale della revisione di invalidità fatta la settimana scorsa faccio richiesta del talloncino per il parcheggio per i disabili, visto che in commissione mi hanno già detto che devo assolutamente averlo), perchè sta diventando davvero difficile. Sicchè sono salita con le stampelle. Ora, va detto che il mio oncologo è solo la seconda volta che mi vede camminare con le stampelle. E' vero che me le ha prescritte l'ortopedico assieme al busto, ma è altrettanto vero che se trovo parcheggio a una distanza minima dall'ingresso dell'ospedale non sto a zompettare a quattro gambe: sopporto un po', tanto poi la maggior parte del tempo lì dentro la passo seduta. E comunque non sono tipo da lamentarsi facilmente del dolore, per un meccanismo un po' contorto della mia assurda psiche: più mi lamento e più mi si para davanti la causa del mio dolore, più mi ricordo perchè sto male e più mi deprimo, perciò per quanto possibile evito il primo passaggio così anche gli altri non seguono a ruota. E poi soffro di dolori articolari da ormai dieci anni, vai a sapere quali sono da metastasi e quali da artrite... Io parto positiva (nel contesto, si capisce) e penso all'artrite, all'umidità e avanti su questa linea. Infine, dato da non trascurare, non sono un maschio. Capite ammè.
Comunque andiamo avanti.
Il mio oncologo mi vede, fa la faccia perplessa, e se ne esce con "non sono abituato a vederti così. Sta cosa non mi piace".
E se non piace a lui, a me piace ancora meno.
Mi visita a fondo, cosa che non fa quasi mai (perchè finchè gli dico che va tutto quasi bene... logico). Linfonodi del collo e sotto le spalle, polmoni, fegato, milza, parete mastectomizzata, palpazione seno superstite e relativi linfonodi ascellari. Mi tocca il lato sinistro del bacino ed escono due lacrimoni formato damigiana. Cazzo se fa male.
Gli ho chiesto se può essere l'artrite che cavalca, non ho avuto il coraggio di chiedergli il peggio. Mi ha risposto che si, ci sta, visto che ultimamente ho dolore anche alle piccole articolazioni soprattutto al mattino, ma una visita reumatologica sarebbe perfettamente inutile visto che qualsiasi farmaco antireumatico andrebbe a cozzare con la chemioterapia, e visto che l'unico farmaco che la reumatologa sarebbe in grado di darmi è il cortisone, tanto vale che me lo dia lui e risparmio una corsa al Big Hospital.
Morale: mi ha trattenuto un'ora e mezzo in sala chemio, in poltrona, a fare flebo di non so cosa (quattro bussolotti tra cortisone, lavaggio e due sostanze il cui nome non mi è dato sapere).
Sapete cosa adoro del mio oncologo? Che con lui le cose le posso discutere, spiegazioni me ne dà sempre, ma in dieci anni di conoscenza reciproca lui deve aver imparato che io sono sempre propensa al "farmaco in meno se si può", perciò quando sa che "proprio non si può" mi dà l'ordine col sorriso, ma perentorio. Questo lo specifico perchè ho chiesto se potessi evitare la terapia di supporto e farla a casa per un sacco di ovvii motivi, e lui col suo solito tenero sorriso mi ha calato il suo secco NO-TU-VAI-DI-LA'.
Non ho preso bene questa cosa. Non ho preso bene il dover tornare in sala chemio anche se solo per la terapia antalgica, non ho preso bene il dovermi far forare di nuovo il port per una terapia anzichè per un lavaggio, non ho preso bene il dover stare lì un'ora e mezzo fuori programma, non ho preso bene il dover raccontare l'ennesima balla a mio figlio per spiegargli che non mi avrebbe trovato a casa alle due perchè "sono a fare una visita e ritardo perchè è pieno di gente, apriti con le chiavi di scorta e fatti due toast, non andare dalla nonna perchè prima delle tre deve uscire che ha un impegno". Non ho preso bene il fare i conti senza filtri con la consapevolezza che tra le due o tre possibili cause del dolore che mi sveglia di notte da settimane ci sia anche il peggioramento dello schifo. Sedermi in sala chemio con altre quattro donne che stavano lì per lo stesso motivo (il venerdì in vena fanno solo terapie di supporto, non chemio) me lo ha sbattuto in faccia di nuovo. E poi odio quella stanza, ho preso in odio quelle poltrone così comode e così pregne di ricordi, odio quella saracinesca sempre a metà altezza perchè ci batte il sole contro tutta la mattina, odio l'odore di farmaci e disinfettanti che c'è lì dentro, odio quel televisore sempre acceso, odio il momento in cui arriva l'infermiera con le braccia cariche di bussolotti col tuo nome scritto sopra e li appoggia sulla mensola sotto al televisore tutti in fila come soldatini pronti a marciare. Mi sento un po' come quando odoro il latte caldo e mi sale la nauesa solo perchè da piccola mi faceva venire il mal di pancia, da quasi quarant'anni il latte caldo non lo bevo più (perchè a un certo punto la mia mamma, latte-addicted, si è dovuta arrendere all'evidenza: non erano capricci, stavo proprio male), ma la connessione tra latte caldo e malessere non si è mai schiodata dai miei neuroni. Così in quell'ora e mezzo di bevuta alternativa ho lasciato cadere in silenzio le lacrime che dovevano cadere, ho chiacchierato un po' con le ragazze del mio gruppo, e me la sono fatta passare.
Del resto sono diventata davvero brava a dimenticarmene per 26 giorni su 28. Mi dico brava da sola.
In ogni modo, stavolta ho vinto (oltre al rifornimento di capecitabina e vinorelbine fino al 20 dicembre) una iniezione al mese di cortisone a lento rilascio (da iniziare la prossima settimana, perchè quasiasi sia il cocktail che ho bevuto oggi mi copre per un po'), e l'anticipo di un mese degli esami di stadiazione. Mi prenotano una risonanza magnetica completa da fare entro metà dicembre, lunedì dovrebbe chiamarmi la radiologia per darmi la data. Vuole andare a fondo e alla svelta, per fortuna.
Però guardiamo il lato positivo. L'emocromo di ieri dice che il midollo si sta riprendendo. Bianchi e rossi non sono ancora nei range, ma solo per poco: i bianchi da 2300 e rotti che erano due settimane fa, sono saliti a 3700 nonostante la terapia. I rossi sono sotto per pochi punti. La chemio precedente sta mollando. Il mio corpo reagisce.
E io ho ringraziato con tutto il cuore e un sorriso a tutti denti il mio oncologo per avermi permesso di festeggiare, due giorni fa, il mio 47esimo compleanno.
-visione dell'esito del prelievo
-consegna del referto e prenotazione della prossima visita (20 dicembre)
-consegna della terapia per le prossime quattro settimane
-iniezione di denosumab.
-filata a casa felice e contenta e ripresa dei miei lavori domestici, possibilmente previo un breve giro da Tigotà per cavolatine varie che so che sono in sconto e io sono tanto ma tanto golosa di cavolatine 😀 (La scusa del consolatorio regge sempre bene, è la parte pheega dell' avere una malattia importante).
E invece è andata così.
Ho trovato parcheggio un po' lontano dall'ingresso dell'ospedale (appena mi arriva il verbale della revisione di invalidità fatta la settimana scorsa faccio richiesta del talloncino per il parcheggio per i disabili, visto che in commissione mi hanno già detto che devo assolutamente averlo), perchè sta diventando davvero difficile. Sicchè sono salita con le stampelle. Ora, va detto che il mio oncologo è solo la seconda volta che mi vede camminare con le stampelle. E' vero che me le ha prescritte l'ortopedico assieme al busto, ma è altrettanto vero che se trovo parcheggio a una distanza minima dall'ingresso dell'ospedale non sto a zompettare a quattro gambe: sopporto un po', tanto poi la maggior parte del tempo lì dentro la passo seduta. E comunque non sono tipo da lamentarsi facilmente del dolore, per un meccanismo un po' contorto della mia assurda psiche: più mi lamento e più mi si para davanti la causa del mio dolore, più mi ricordo perchè sto male e più mi deprimo, perciò per quanto possibile evito il primo passaggio così anche gli altri non seguono a ruota. E poi soffro di dolori articolari da ormai dieci anni, vai a sapere quali sono da metastasi e quali da artrite... Io parto positiva (nel contesto, si capisce) e penso all'artrite, all'umidità e avanti su questa linea. Infine, dato da non trascurare, non sono un maschio. Capite ammè.
Comunque andiamo avanti.
Il mio oncologo mi vede, fa la faccia perplessa, e se ne esce con "non sono abituato a vederti così. Sta cosa non mi piace".
E se non piace a lui, a me piace ancora meno.
Mi visita a fondo, cosa che non fa quasi mai (perchè finchè gli dico che va tutto quasi bene... logico). Linfonodi del collo e sotto le spalle, polmoni, fegato, milza, parete mastectomizzata, palpazione seno superstite e relativi linfonodi ascellari. Mi tocca il lato sinistro del bacino ed escono due lacrimoni formato damigiana. Cazzo se fa male.
Gli ho chiesto se può essere l'artrite che cavalca, non ho avuto il coraggio di chiedergli il peggio. Mi ha risposto che si, ci sta, visto che ultimamente ho dolore anche alle piccole articolazioni soprattutto al mattino, ma una visita reumatologica sarebbe perfettamente inutile visto che qualsiasi farmaco antireumatico andrebbe a cozzare con la chemioterapia, e visto che l'unico farmaco che la reumatologa sarebbe in grado di darmi è il cortisone, tanto vale che me lo dia lui e risparmio una corsa al Big Hospital.
Morale: mi ha trattenuto un'ora e mezzo in sala chemio, in poltrona, a fare flebo di non so cosa (quattro bussolotti tra cortisone, lavaggio e due sostanze il cui nome non mi è dato sapere).
Non ho preso bene questa cosa. Non ho preso bene il dover tornare in sala chemio anche se solo per la terapia antalgica, non ho preso bene il dovermi far forare di nuovo il port per una terapia anzichè per un lavaggio, non ho preso bene il dover stare lì un'ora e mezzo fuori programma, non ho preso bene il dover raccontare l'ennesima balla a mio figlio per spiegargli che non mi avrebbe trovato a casa alle due perchè "sono a fare una visita e ritardo perchè è pieno di gente, apriti con le chiavi di scorta e fatti due toast, non andare dalla nonna perchè prima delle tre deve uscire che ha un impegno". Non ho preso bene il fare i conti senza filtri con la consapevolezza che tra le due o tre possibili cause del dolore che mi sveglia di notte da settimane ci sia anche il peggioramento dello schifo. Sedermi in sala chemio con altre quattro donne che stavano lì per lo stesso motivo (il venerdì in vena fanno solo terapie di supporto, non chemio) me lo ha sbattuto in faccia di nuovo. E poi odio quella stanza, ho preso in odio quelle poltrone così comode e così pregne di ricordi, odio quella saracinesca sempre a metà altezza perchè ci batte il sole contro tutta la mattina, odio l'odore di farmaci e disinfettanti che c'è lì dentro, odio quel televisore sempre acceso, odio il momento in cui arriva l'infermiera con le braccia cariche di bussolotti col tuo nome scritto sopra e li appoggia sulla mensola sotto al televisore tutti in fila come soldatini pronti a marciare. Mi sento un po' come quando odoro il latte caldo e mi sale la nauesa solo perchè da piccola mi faceva venire il mal di pancia, da quasi quarant'anni il latte caldo non lo bevo più (perchè a un certo punto la mia mamma, latte-addicted, si è dovuta arrendere all'evidenza: non erano capricci, stavo proprio male), ma la connessione tra latte caldo e malessere non si è mai schiodata dai miei neuroni. Così in quell'ora e mezzo di bevuta alternativa ho lasciato cadere in silenzio le lacrime che dovevano cadere, ho chiacchierato un po' con le ragazze del mio gruppo, e me la sono fatta passare.
Del resto sono diventata davvero brava a dimenticarmene per 26 giorni su 28. Mi dico brava da sola.
In ogni modo, stavolta ho vinto (oltre al rifornimento di capecitabina e vinorelbine fino al 20 dicembre) una iniezione al mese di cortisone a lento rilascio (da iniziare la prossima settimana, perchè quasiasi sia il cocktail che ho bevuto oggi mi copre per un po'), e l'anticipo di un mese degli esami di stadiazione. Mi prenotano una risonanza magnetica completa da fare entro metà dicembre, lunedì dovrebbe chiamarmi la radiologia per darmi la data. Vuole andare a fondo e alla svelta, per fortuna.
Però guardiamo il lato positivo. L'emocromo di ieri dice che il midollo si sta riprendendo. Bianchi e rossi non sono ancora nei range, ma solo per poco: i bianchi da 2300 e rotti che erano due settimane fa, sono saliti a 3700 nonostante la terapia. I rossi sono sotto per pochi punti. La chemio precedente sta mollando. Il mio corpo reagisce.
E io ho ringraziato con tutto il cuore e un sorriso a tutti denti il mio oncologo per avermi permesso di festeggiare, due giorni fa, il mio 47esimo compleanno.
Iscriviti a:
Post (Atom)