venerdì 29 aprile 2016

Alla fine della fiera

E insomma, sono ancora qui. Passano i giorni, il dolore è andato via via scemando come da protocollo, ho ricominciato a mangiare quasi normalmente. Sono ancora a riposo come da ordini superiori, e me lo prendo tutto, anche se un po' a fatica. Nel senso che "lasciar fare" spesso è più difficile di "fare", perchè la mia casa è il mio luogo di lavoro, di cui sono estremamente gelosa e rigorosamente padrona, dove sono abituata a gestire tempi e incombenze in modo perfettamente (secondo le mie aspettative e le mie capacità) efficiente ed efficace. Chiaramente mio marito (che ha preso due settimane di licenza appositamente per questo) ha tempi e modi suoi, e organizzazione quasi zero per carattere (e per genere, si sa, loro più di una cosa alla volta non riescono a fare), perciò a volte per non farmi ingrossare la bile devo chiudermi in camera e fingere di non sentire nè vedere. Ma va anche bene così, l'intolleranza è un problema mio, e in fin dei conti sono anche fortunata ad avere chi si prende cura di quello che lascio indietro. E di me.

Comunque, me la sto un po' anche godendo, siamo sinceri. Mi sento perfettamente in forze, mi tradisce solo l'addome perchè dopo una manciata di minuti passati in piedi o dopo anche aver solo rifatto il letto mi prendono fitte e crampi, in fin dei conti sono passate solo due settimane, perciò devo tornarmene buona buonina a cuccia. E a cuccia faccio ugualmente tante cose, volano aghi e fili, e le dita sullo smarfono, e la biro sul diario. Leggo poco, ecco, questo si, leggere non mi attira, perchè come inizio a leggere qualsiasi cosa la mente vaga per conto suo, tira fuori idee, e ciao libro.  Ho usato il mio tempo (finalmente!) per sistemare il mio vecchio pc, per riordinare un paio di cassetti, per tante chiacchiere al telefono, cose che in giorni "normali" non trovo mai il tempo di fare, tempo che questi giorni di riposo forzato invece mi regalano. Certo, era meglio un periodo di ferie per farle, senza farsi tagliare la panza, ma bisogna fare di necessità virtù.

Qualche giorno fa sono stata dal medico a portare un po' di esami, perchè nel frattempo sono stata anche a visita oncologica giovedì scorso (annunciazione annunciazione, sono ufficialmente finiti i controlli di gennaio eh... ). Ha dovuto togliermi i punti, uno stava addirittura facendo infezione. E' la seconda volta che mi capita: in ospedale dicono che non vanno tolti perchè cadranno da sè, poi passano i giorni, le zone si arrossano, esce del siero e devo correre a farmi spuntare le suture dal medico. E la sutura infettata fa male quando viene toccata, e va medicata per giorni. Ma si può?

Il morale... il morale va bene. Dopo lo sfogo di dieci giorni fa, sono stata meglio. Non ho più pensato al "pezzo" che non c'è più, alcuni discorsi ancora non riesco a starli ad ascoltare, un po' sulle mie sono ancora, più che sulle mie sto sulle difensive. Forse è normale, forse no, non lo so.
Un paio di giorni fa è successa una cosa un po' particolare. Durante la notte ho fatto un sogno, di quei sogni che quando ti svegli non riesci a toglierti dalla testa per ore: percorrevo un sentiero dietro casa, attraversando un boschetto, per andare a trovare una persona. Lungo il sentiero perdevo tanti piccoli oggetti dalle mani e dalle tasche: mollette, ciondoli, perle, cose del genere. Di tanto in tanto mi fermavo, mi giravo per raccoglierli, ma non mi stavano tutti in mano, perciò una parte rimanevano lì a bordo strada, ma la cosa non mi dispiaceva. Mi sono svegliata, erano le tre di notte, e non sono più riuscita a riprender sonno.
Durante il giorno, poi, assolutamente senza ragionarci più di tanto, ho preso in mano il mio vecchio pc: non lo accendevo da mesi e mesi, mi ero ripromessa di dargli una sistemata proprio in questo periodo dato che tempo ne avrei avuto in abbondanza. Ho iniziato a pulire: in una mattinata ho buttato migliaia di files inutili, da foto e immagini già passate su DVD tempo fa ad appunti vecchi e perfettamente inutili, di quelli che "prima o poi capita l'occasione di usarlo" e poi l'occasione non torna mai. Come le copie delle copie delle foto dei miei gatti e dei fiori del mio giardino nelle estati dal 2004 in poi, centinaia di foto, che occupavano giga per niente. Tenute una cinquantina di foto solo dei gatti e i loro (pochi, prima dei Mayaletti)video, il resto via.
Arrivata alle email, mi sono arenata. Ne avevo più o meno duemila, tra ricevute, inviate e spam mai aperte. La spam l'ho cestinata senza aprirla. E le altre... decine e decine le ho aperte una ad una. Tante. Alcune proprio belle profonde, scritte col cuore, e nel leggerle ho fatto un salto all'indietro nel tempo. E il salto non sempre è stato piacevole. Intanto mi sono sentita un po' a disagio leggendoMI, perchè a stento riuscivo a riconoscere me stessa nel modo in cui scrivevo. Evidentemente devo essere proprio cambiata, ai miei occhi. Non so spiegare come. E' una sensazione imbarazzante.
E poi ho trovato tante mail scambiate con persone con cui al tempo (parlo di quattro o cinque anni fa, anche un po' di più) c'era un rapporto che oggi non c'è più, rapporti finiti a volte per il decorso naturale delle cose (perchè evidentemente non c'era, di fondo, davvero niente), o perchè ci sono state incomprensioni, o noia, o per tutti i più vari motivi per cui un rapporto finisce. Mail che a leggerle o non mi dicono più niente, o mi fanno addirittura male. Non so perchè le avessi tenute, forse perchè le ho sempre assimilate a una cosa che a pensarci non ha nulla a che vedere con la mail, che è la lettera cartacea. E le lettere cartacee (non le cartoline o i biglietti di auguri) io non le butto mai.
Insomma, ho iniziato a cestinare. Così, di istinto, senza pensarci, via. Come se mi stessi lavando via di dosso qualcosa di inutile, via. Come se stessi cercando di selezionare i ricordi, che quelli belli non servono le mail per tenerli vivi dato che li leggo nei visi delle persone che nella mia vita ci sono ancora, e quelli brutti non hanno bisogno di essere rivangati in questo modo perchè non hanno nessuna utilità. Le mail che mi creavano imbarazzo meritano di essere eliminate solo per l'imbarazzo stesso, non ha senso portarsi dentro una sensazione sgradevole vita natural durante se si può farne a meno, no? Le mail davvero importanti le avevo salvate su supporto esterno tempo fa. E le persone con cui ho contatti solo virtualmente non devo tenerle legate nella mia testa con dei dati a pc: ci sono e basta. Via, di getto, senza nessun rimpianto dopo, più leggero il pc (e così più veloce), e stranamente più leggera io.
Ieri, invece è stata la volta dei cassetti del mio comodino: vecchie buste, vecchi biglietti, vecchi appunti, vecchi numeri di telefono, tutto nel bidone della carta. Ho tenuto solo i francobolli per la mia collezione, e alcuni biglietti particolari per il contenuto o il mittente. Decine e decine di pezzi di carta sono volati. Questa cosa mi ha lasciato addosso, al termine, un senso di pace inaspettato.

E accorgermi, dopo un po', che non erano le mail, non erano i biglietti, non erano i segni lasciati dalle persone che volevo eliminare dal mio bagaglio. Era qualcosa di più. Il taglio lo volevo fare con qualcosa di me che non mi appartiene più, che sentivo come un peso, qualcosa di ormai inutile e della taglia sbagliata, che occupava spazio ora disponibile per altro. Difficile da spiegare. Forse ho solo colto l'occasione per ricominciare.

Finito il lavoro mi è tornato in mente il sogno, e mi sono detta "cavolo, non sono proprio brava a tenere le cose nascoste a me stessa".  

Adesso evidentemente ho solo voglia, ma proprio tanta, di andare avanti con quello che c'è. Ho voglia di progetti nuovi. Forse è davvero arrivato il periodo del "taglio", non solo chirurgico. E qualcosa mi inventerò di sicuro. Perchè il tempo dell'avvilizione per l'intervento, pur con tutti i suoi perchè e il suo peso, può anche finire qui.
Che se mi guardo il ventre vedo solo dei segni rossastri con le loro crostine, se leggo le carte dell'ospedale so che non ho più nè utero nè ovaie ("menopausa chirurgica precoce", ha scritto il medico), se ascolto il mio corpo è palese che da qualche giorno le vampate di calore (che già avevo con la menopausa indotta) sono aumentate in maniera spropositata.

Ma se mi guardo attorno, ci penso un attimo, e poi mi guardo allo specchio, forse forse con il corpo di Mamigà ci ho fatto anche pace: concretamente "alla fine della fiera" (per usare una espressione di mio marito) di quello che sono fisicamente non è cambiato assolutamente niente.

lunedì 18 aprile 2016

Come una gatta nera

Lunedì è stato il giorno delle domande, delle (poche) risposte, dell'odore di ospedale, dell'ultima visita completa, della preparazione fisica e della presa di coscienza, della piacevole conoscenza della mia compagna di stanza (una donna di 38 anni, L., che col mio stesso tipo di intervento come approccio andava ad eliminare una ciste ovarica) e degli abbracci a mio figlio, che non ho rivisto fino a venerdì sera.
Martedì è stato il giorno del distacco, dell'affidamento nelle mani altrui, del sonno, del ripetersi di una prassi ormai tristemente famigliare (ho fatto i conti, in sei anni è stata la quinta volta), dei ricordi estremamente confusi.
Mercoledì il giorno del sollievo: è passata, anche questa è fatta. Era il giorno del risveglio, dello stordimento ma anche della preoccupazione che tutto fosse andato secondo prassi, senza intoppi. E' stato il giorno delle flebo, del digiuno, delle cure delle infermiere (sante subito), degli antidolorifici, delle chiacchiere con L., con la leggerezza di chi si è tolto un peso di dosso e all'improvviso vede il mondo più semplice.  E poi l'insonnia, la compagnia di tante persone che si sono fatte vive via WA e per sms, la gratitudine perchè sola non mi hanno lasciata, umanamente, mai.
Giovedì è stato, fisicamente, il giorno più pesante. Il giorno del dolore: intenso, inaspettato, regolare secondo il medico, ma lancinante e persistente. E' stato il giorno dei piedi per terra, dei primi passi, dei primi pasti leggeri, del commiato da L. che è stata dimessa, di due belle visite.
Venerdì, infine, è stato il giorno del crollo. Ho chiesto di uscire con un giorno di anticipo, vista la mia età giovane sono stata accontentata, visitata e debitamente istruita sul comportamento da tenere a casa, dal riposo totale alle iniezioni di eparina (che ormai so farmi ad occhi chiusi), dagli antidolorifici alle medicazioni, e alle precauzioni da usare da qui al controllo post intervento (il 17 maggio, quando mi daranno anche l'esito dell'istologico). Non ne potevo più. La testa ha iniziato a vagare. Mi sono resa conto di quello che ho fatto e, sola, ho pianto tanto. Non di rimorso, ma di paura, di snervo, di stanchezza. E di nsostalgia: di mio figlio, dei miei gattoni, e di casa.

Ho iniziato il periodo della convalescenza. Non ho intenzione di fare l'eroina, il rischio di complicazioni è alto. E siccome voglio andare giù dalla famiglia a maggio, devo trattarmi coi guanti. Il Gatto Alfa ha preso due settimane di licenza, e più o meno nervosamente (perchè si sta occupando, contemporaneamente, di un paio di problemi non da poco che riguardano i suoi genitori) ha preso in mano l'organizzazione della vita domestica. Devo chiudere due occhi, non uno, ma sinceramente è il minore dei miei fastidi.
E' il periodo della protezione di me stessa. Ha ragione chi dice che la malattia è un filtro rispetto ai contatti umani, e io sono anni che filtro, ma situazioni come queste danno uno sblocco più deciso ai rapporti, sia in positivo sia in negativo. Non sto guardando a chi c'è e chi non c'è. Mi pesa di più la differenza tra i vari modi di esserci delle persone. Mi fa pensare il modo in cui ti stanno vicino, dai vari modi di stare in silenzio o di parlare, e mi dispiace dirlo, ma oggi scelgo con chi stare, almeno per un po'.

Tutti mi chiedono come sto, come è andato l'intervento, se ho dolori, se mi riprendo.
Tanti mi chiedono se possono far qualcosa per me in termini logistici, ed è una cosa che apprezzo.
Diversi mi intrattengono con discorsi leggeri, parlando di tutte le cose di cui ho sempre amato parlare, usano un po' del loro tempo per farmi visita e portarmi un giornale o un dolce sapendo che i dolci mi hanno sempre tirato su di morale, mi sfidano a Ruzzle, mi inviano link a video divertenti, e di queste attenzioni sono infinitamente grata, perchè sono le cose che fanno sentire coccolata.
Qualcuno ha approfittato del fatto che stessi male perchè "tu che stai male puoi capirmi", e mi ha riversato addosso il suo sarcasmo meno di 48 ore dopo l'intervento, e a meno di 24 ancora stordita e con la flebo appesa mi scrive "tanto sei distesa, tempo ne hai, ti racconto dell'ennesimo problema che sto affrontando con la mia bambina, posso?". E io, che solitamente sono molto ben disposta ad ascoltare, ho deciso che no, adesso no. Non ce n'è per nessuno. Mi dispiace.

Quasi nessuno, infine, mi chiede come mi sento dentro. Ed è anche umano, perchè ognuno ha i suoi problemi, sempre tanti per stare a badare a quelli degli altri. Accetto quel che viene, e cara grazia che c'è. Ma ad oggi il dolore al ventre (perchè ce n'è ancora, dovrebbe andare avanti ancora per un po' dice il medico, un paio di settimane) è solo una parte del male che c'è. Bisogna passarci per capirlo, e passarci da giovani. E non è una frase fatta, mi si creda. Bisogna passarci mentre un terzo delle mamme dei compagni di tuo figlio sta sfornando bebè, a quarant'anni passati, cosa che ormai è normalissima, e tu se negli ultimi sei sapevi che a proprio volerlo a tutti i costi sarebbe bastato interrompere la cura e affidarsi agli oncologi, da oggi nemmeno più quello, perchè manca il macchinario. Come se avessi quasi sessant'anni, e pensi alla parte di sessantenni che vedi girare per il paese senza un briciolo di femminilità nel volto e nella presenza, e ti chiedi insulsamente e irrazionalmente se adesso che sessualmente gli assomigli gli assomiglierai presto anche in tutto il resto, e ti spaventi all'idea. Ridete pure, ma anche questo è passato per i sentieri dei miei neuroni. Poi ti ricordi che esistono anche delle sessantenni gnocche e più donne di tante ventenni, e tutto si ridimensiona. Perchè forse sta a me scegliere cosa essere, non ai miei ormoni. O almeno lo spero.
Bisogna capire cosa significa essere ricoverati in ginecologia e ringraziare il cielo che in camera con te non ci sono partorienti, e non ci sono nemmeno nelle camere a fianco, perchè il reparto maternità ha chiuso i battenti due settimane fa, e sapere che esserne confortate è una cattiveria immensa dato che è un problema non da poco per chi ne ha bisogno, ma non te ne può, sinceramente e vigliaccamente, importare di meno. Non lo avrei proprio retto. Perchè sta male chi non ha mai potuto averlo, ma chi sa cosa vuol dire averne, averne sempre coltivato il desiderio di averne ancora almeno uno,  e sa di doverci rinunciare per sempre, un po' presto per madre Natura e non per propria scelta, non fa certo i salti di gioia.
Sarò egoista. Sarò antipatica. Ma lo dico fuori dai denti, come viene viene: oggi penso solo a me stessa. Non mi importa una ceppa lessa dei problemi di nessuno. Odiatemi, cancellatemi dalla vostra vita, cambiate opinione su di me e dite in giro che sono falsa e voltafaccia, egoista e opportunista, mi importa quanto mi importa del filo d'erba che mio marito ha sfalciato giovedì scorso e ha portato al centro di raccolta assieme a miliardi di altri fili d'erba. Io oggi non ascolto più.
Tanta gente mi ha detto che sono forte. E io adesso sono stanca di passare per forte. Se passo per forte perchè pubblicamente ci faccio le battute sopra, ci rido, ci scherzo, rispondo che va tutto bene, parlo di cose leggere e schiaffo su FB quasi (quasi) solo foto di gatti, di lavori in corso, di piante e di passeggiate in bicicletta, lo faccio solo perchè non trovo che sia una cosa buona riversare sugli altri tutto il negativo della propria vita ad ogni piè sospinto, come chi ti chiede come stai e non ascolta nemmeno la risposta perchè ha un oceano di cose (sue) da dirti. E non bisogna nemmeno passare tutte le giornate a piangersi addosso h24, 7 giorni su 7 e 365 l'anno, e sciorinarlo sui social o pubblicizzarlo al bar, perchè così i problemi proprio non si risolvono. Si piange un po', e poi si riparte con quello che rimane. Ma questo non lo ritengo essere forte. Lo chiamo "vivere".

Forte è chi non piange mai, credo. Chi non si accartoccia mai su sè stesso. E io adesso sono accartocciata. Anzi, acciambellata, da vera gatta, e gatta nera. Acciambellata mentre mi lecco le zampe, che mi fanno male. E i gatti mentre si leccano non reagiscono a nessuno stimolo, fateci caso. Potete far rumore, chiamarli, stuzzicarli, loro diventano come esseri che transitano in una dimensione parallela, ologrammi: esistono solo per loro stessi. Finchè la toelettatura non è finita, ogni pelo non è stato ripulito e pettinato, e tornano ad essere quelli di prima.

 

sabato 2 aprile 2016

Andiamo

E dunque, ho una data: 12 aprile. Con il ricovero il giorno precedente. Tra meno di dieci giorni.
Ho la lista del necessario da mettere in valigia, pronta da tempo.
Ho la valigia.
Ho il necessario.
La paura non ce l'ho più. E' rimasta la voglia che sta cosa vada avanti, per togliermela di torno. O meglio, oggi la vedo così, poi sai mai che lunedì prossimo arrivo in ospedale e mi ricordo all'improvviso cosa vado a fare, e cambia tutto. Mah.
Ho però la sorpresina: niente laparoscopia. Il medico ha disposto il taglio. Non mi hanno detto il perchè al telefono, lo saprò lunedì prossimo. Ma ormai non fa differenza. La sostanza rimane quella che è.