Dopo essere passata dal "LOOOOOOSER" con le dita a "L" sulla fronte per sfottere qualcuno che ha appena detto una scemenza catatonica, al "TI HO SPENTO" (o anche "che spenta") quando si riesce a controbattere qualcuno dimostrandogli di prendersi l'ultima parola senza possibilità di replica, dal "MI SONO SPAUNATO A SCUOLA" a significare "mi sono fiondato a scuola col teletrasporto" (...) al "I GATTI SI RISPAUNANO CONTINUAMENTE" (i gatti hanno nove vite), ieri ne ho imparata un'altra, anzi, un'altro paio.
Ai miei tempi (eh... mi pare di avere ottant'anni quando mi esprimo così... sopprimetemi, sto parlando come mia madre!) si diceva "CHE FIGO" e "CHE SFIGATO" per etichettare qualcuno, oggi sostituiti (mi sono rotolata nell'apprenderlo) da "CHE PRO" e "CHE NABBO".
Non so se si è capito, ma sto stilando un vocabolario nuovo, che si implementa non solo ogni volta che mio figlio torna a casa con la novità del giorno, ma anche con il contributo di altre adole-madri, come una specie di Wikipedia. Che oh, bisogna rimanere aggiornate se si vuole capire qualcosa quando i polli parlano, e il più delle volte a chiedere traduzioni ai diretti interessati si fa davvero una magra figura, rischiando di essere liquidati nella migliore delle ipotesi con uno sguardo di sufficienza con tanto di roteamento all'indietro degli occhi e mani alzate ("ommioddio, allora avevo ragione, sono PLANATO nel pianeta sbagliato"). E a dispetto delle facce schifate che faceva mia madre, figlia di fine anni quaranta e adolescente nei sessanta, quando sentiva il linguaggio di noi ragazzini degli anni '80 (vi ricordate "che tooooogo" e "i miei sono dei matusa"?), a dispetto dicevo delle sue facce schifate, a me l'adole-slag "generazione Power" piace un sacco. Anzi, un "CUBO".
Vado a CLEANARE il pavimento. Buona giornata, e GACE per l'attenzione.
ROTFLOL...
sabato 4 marzo 2017
Di teatrini e di ospiti indesiderati
Domenica scorsa, durante una chiacchierata, mia madre mi ha detto con gli occhi lucidi una frase che mi ha dato molto da pensare in questi giorni:
"Ti ea me vita tia vivi, ti ghe ze e ti vedi tante robe, cussì no devo domandarte quasi gnente parchè ti rivi, ti fa queo che me serve e ti me sparagni de doverme sbassar. Parchè ze diffissie accettar de aver bisogno, sa, aea me età. Cussì invense ze più facile".
Ecco, io auguro a ogni figlia di potersi sentir dire queste parole da sua madre, prima o poi. Perchè a me hanno gonfiato di orgoglio, sapete. Proprio perchè non mi sembra mai di fare abbastanza.
Chiedere non è mai facile per nessuno. Un regalo stesso, è più facile farlo che riceverlo. Chiedere mette in imbarazzo, perchè non si è mai certi della reazione che può arrivare dall'altra parte. Ci mette nella condizione di trovarci dalla parte del bisogno. Richiede di mettere da parte il nostro orgoglio. A volte il chiedere umilia. Anche quando non se ne può letteralmente fare a meno.
Quello che mi ha detto mia madre in quella occasione, ha confermato un pensiero che faccio ormai da qualche tempo. Mia madre non chiede quasi mai, non perchè non abbia bisogno: non chiede per non mettere in difficoltà altre persone. Da quando me ne sono accorta, ho smesso quasi del tutto di dirle una frase che di solito si dice quasi in automatico: "se hai bisogno, chiama". Perchè lei non chiama mai per chiedere, se non se c'è una urgenza per cui non può proprio evitarlo o ha bisogno per spostamenti in auto. Nemmeno in questi giorni, in cui le sue necessità si sono moltiplicate al quadrato: per cambiare le lenzuola, tagliarle le unghie, lavarle la testa, infilarle le calze, stenderle la biancheria, cucinarle un piatto di pasta, e tante altre cose che anche una persona giovane e sana con una mano sola farebbe fatica a fare, tanto più per lei che ha la schiena piegata a novanta senza bastone e un sacco di altri problemi. Ho capito che lei non chiederà mai. Perchè ha il suo (giusto) orgoglio, ammettere a sè stessa di avere bisogno di cure anzichè curare come è naturale per una madre, deve essere difficile. E a me il pensiero che lei si senta così in difficoltà nel dover chiedere aiuto fa stare proprio male, mi dispiace da morire. Non si può chiedere a una persona di quasi settant'anni di cambiare, di adeguarsi a quello che ci aspettiamo da lei, cioè che "se ha bisogno, chieda", se per lei è un passo difficile. O almeno, io la vedo così. Così ho preso le mie iniziative: ogni mattina entro a casa sua e dopo i saluti di rito fingendo di chiacchierare e basta mi guardo attorno, apro il frigorifero (mamma, hai mica un po' di limone/una cipolla/del grana grattugiato/un uovo, che sono senza?), controllo ogni cosa o quasi, la guardo come guardo mio figlio prima che esca di casa la mattina, scanso le sue proteste e faccio quello che devo ma lo faccio il più possibile a modo suo, perchè dopotutto è pur sempre casa sua, e io conosco bene il modo di condurre la casa che ha lei (che non è il mio), come so cosa può mangiare e cosa no. Poi la obbligo ad offrirmi il caffè (che ovviamente mi preparo io ora che ha il gesso), glielo faccio passare come "ricompensa" così si quieta, mi ci affianca i biscotti anche se poi non li mangio quasi mai (ma le fa tanto piacere guardarmi dietro il vaso di latta aperto...) e mi chiede con gli occhi lucidi a che ora passo il giorno successivo.
Questa cosa mi sta stancando molto. Lo dico fuori dai denti. Ma è mia madre, ha bisogno, ed è sola. Fino a quando non le rimuoveranno l'ingessatura non può nemmeno uscire a piedi, perchè appunto a spezzarsi è stato il polso destro, lei col destro tiene il bastone, e senza bastone non esce. E finchè durerà sta cosa del braccio fuori servizio, questo tran tran/sorta di tacito accordo si replica come un teatrino: lei recita la parte della refrattaria, io quella della rompiscatole invadente, calmiamo gli animi col calumet del caffè, le apparenze sono salve (davanti a chi, poi, non si capisce bene... il suo gatto forse), il suo orgoglio intatto, e l'appunto di due cose da farsi per il giorno dopo (che però ufficialmente è una lista di "mah... se puoi... quando puoi... sarebbe da...ma senza fretta... però... vedi tu...) già pronta ma solo da passarsi sottobanco sottovoce con nonchalance (io-non-ti-ho-detto-niente), per non tradire la verità a voce alta. E va bene, va benissimo così. Perchè il risultato è quello che sta all'inizio del post.
Mio marito mi ha detto, un po' di tempo fa, che una cosa è aiutare una persona, e un'altra sostituirsi a lei. Mi sono chiesta tante volte se io non mi stia sostituendo a mia madre, in questi ultimi mesi.
La risposta l'ho avuta un paio di settimane fa circa. L'ho accompagnata alla visita oncologica numero "ics". Prima di entrare in ambulatorio, proprio perchè mi stavo facendo questa specie di esame di coscienza (chiamiamolo così), mi sono imposta di intervenire il meno possibile durante la visita, nel limite di quando il medico si fosse rivolto a me anzichè a lei (come accade diverse volte, perchè la mamma non sempre afferra tutto e non sempre riesce a spiegarsi bene, è anche sorda da un orecchio, per questo mi vuole con sè, al di là del servizio taxi). Tre quarti d'ora di visita e colloquio. Nell'uscire dall'ambulatorio, prima ancora che l'oncologo chiudesse la porta dietro di noi, mi dice sottovoce "senti, adesso mi rispieghi bene tutto", e ghignando "perchè non mi ricordo già più niente e ho capito metà di quello che devo fare!". Mi sono messa a ridere, e a voce alta le ho risposto "tutto quello che vuoi, ma davanti a caffè e brioss a scrocco, o non ti dico una parola!". E ha iniziato a ridere anche lei. Evidentemente il caffè è il testimonial per eccellenza.
Ho iniziato da quel giorno a fare pace con me stessa, in questo senso. C'è un limite sottile tra il sostituirsi alla persona e lo starle a fianco: penso che sia il limite della esigenza reale. E non sempre mi è facile capire quale sia questa esigenza, se non sto un momentino più zitta e non mi metto un momentino più in ascolto. Se parto in quarta e mi paro davanti, rischio di umiliare chi si sente già umile di suo. Però se faccio da secondo paio di orecchi, secondo paio di occhi, da amplificatore vocale, da hard disc di riserva, o da bastone di riserva, allora si, nel caso di mia madre ho guadagnato la sua fiducia. Assolvo al mio compito. Ora ne sono più che certa. Anche quando mi chiedo se non stia facendo l'elefante in una cristalleria cercando di anticipare i suoi bisogni inscenando un teatrino degno di una commedia veneziana (che si conclude sempre a caffè e biscotti, anzi, scatola dei biscotti aperta), che a lei piace perchè, dice, "mi riempi la casa".
Se mi guardo bene dentro (e lei lo sa), il mio intento finale non è semplicemente quello di risolvere le sue noie domestiche al posto suo finchè è invalidata, ma cercare di evitarle l'imbarazzo di sentirsi un peso più di quanto non si senta un peso già di suo, e gliene darei invece conferma se usassi gesti di riguardo e frasi di compassione, o mattoni di silenzio come "chiama se hai bisogno" con conseguente sparizione dalla scena in attesa di eventuale chiamata come farebbe un estraneo e non la figlia che ha cresciuto e che le moine non le ha fatte mai. Perchè alla fine non è sempre così difficile capire come sapere di cosa ha bisogno una persona a cui vuoi davvero bene (se non è tuo figlio adolescente, perchè lì apriamo una parentesi non quadra, graffa). E spero di riuscirci. Come ci riesce quasi (quasi) sempre mio marito (mio figlio... aurgh... un po', anzi, decisamente meno) quando ad essere il "mezzo fuori servizio" sono io.
Quella di oggi (ieri ormai, scrivendo scrivendo è passata la mezzanotte da che ho iniziato questo post) è stata una mattinata particolarmente difficile.
L'altro ieri, verso metà giornata, ho iniziato ad accusare un dolore molto forte sulla spalla destra. Nel giro di un paio d'ore è passato dal dolore della normale intensità di queste settimane a una cosa da farmi piangere, e farmi mancare la sensibilità di mezza mano. Sono andata dal medico quando mi sono resa conto che l'antidolorifico dopo due ore non faceva ancora effetto, fortunatamente ero al limite dell'orario di ambulatorio ma ancora in tempo per essere visitata: mi si sono infiammati un muscolo e un tendine, probabilmente dopo uno sforzo fatto in mattinata. Ero (e sono, anche se oggi già meno) gonfia e rigida. Ghiaccio, paracetamolo, spalla da tenere più ferma possibile. Bella impresa.
Lunedì scorso la mamma avrebbe dovuto fare la TAC di centratura per la radio. Senonchè il tecnico radioterapista ha voluto rinviare la cosa a dopo la visita ortopedica di controllo, quella di ieri, e le radiografie, sempre di ieri (sto pubblicando di sabato): avendo la mamma una frattura scomposta trattata solo con la manovra di trazione e l'ingessatura (per evitare altro ha detto l'ortopedico il giorno dell'incidente, in vista della radio appunto), se non stesse rinsaldandosi correttamente sarebbe dovuta essere sottoposta ad intervento chirurgico, con conseguente rinvio della radioterapia. Se la radio dovesse essere stata rinviata di oltre 20 settimane dall'intervento, così ci ha spiegato il medico, diverrebbe inutile, e si sarebbe probabilmente dovuto ricorrere ad altro. E qui mi fermo. Capitemi.
Contemporaneamente in mattinata io mi sono sottoposta al controllo oncologico per eccellenza, per noi: mammografia ed ecografia al seno annuali. Appositamente lo stesso giorno, per fare una corsa unica, visto che i tempi lo hanno consentito.
Si può immaginare con che spirito io e la mamma ieri mattina ci siamo recate in ospedale. Ma anche come abbiamo dormito la notte precedente tutte e due.
In sostanza: la frattura della mamma sta risolvendosi regolarmente, perciò lunedì prendo un altro appuntamento per la centratura e si va avanti con la pratica.
Per me c'è invece un piccolo ospite inatteso: un altro nodulo dall'aspetto di un fibroadenoma sul seno opposto rispetto a quello del tumore, un po' più in sotto rispetto a quello che mi tolsero ormai quasi vent'anni fa. La dottoressa che mi ha esaminato dice di essere tranquilla, ma mi rivaluta tra sei mesi.
Certo, non si può e non si deve sempre pensare al peggio, o ci si rovina la vita. E giuro, dal secondo anno di follow-up mi sono imposta di lasciarmi andare al nervosismo non prima dei tre giorni che anticipano i controlli, e con non poca sorpresa ci sono sempre riuscita stupendomi di me stessa, facendo in questi anni anche tantissime cose fantastiche che con la malattia non hanno nulla a che vedere, ma sono state solo vita e basta. Chi mi conosce, lo sa.
Ma per quanto siano anni che cerco di pensare positivo, credo di avere avuto sufficienti prove che in certi momenti avere un po' di strizza non è essere patetici o fare castelli in aria, ma un sacrosanto diritto. E per quanto io sia forte, e non è mancanza di modestia la mia perchè so di esserlo, questo diritto adesso me lo prendo senza dovermi giustificare con nessuno.
"Ti ea me vita tia vivi, ti ghe ze e ti vedi tante robe, cussì no devo domandarte quasi gnente parchè ti rivi, ti fa queo che me serve e ti me sparagni de doverme sbassar. Parchè ze diffissie accettar de aver bisogno, sa, aea me età. Cussì invense ze più facile".
Ecco, io auguro a ogni figlia di potersi sentir dire queste parole da sua madre, prima o poi. Perchè a me hanno gonfiato di orgoglio, sapete. Proprio perchè non mi sembra mai di fare abbastanza.
Chiedere non è mai facile per nessuno. Un regalo stesso, è più facile farlo che riceverlo. Chiedere mette in imbarazzo, perchè non si è mai certi della reazione che può arrivare dall'altra parte. Ci mette nella condizione di trovarci dalla parte del bisogno. Richiede di mettere da parte il nostro orgoglio. A volte il chiedere umilia. Anche quando non se ne può letteralmente fare a meno.
Quello che mi ha detto mia madre in quella occasione, ha confermato un pensiero che faccio ormai da qualche tempo. Mia madre non chiede quasi mai, non perchè non abbia bisogno: non chiede per non mettere in difficoltà altre persone. Da quando me ne sono accorta, ho smesso quasi del tutto di dirle una frase che di solito si dice quasi in automatico: "se hai bisogno, chiama". Perchè lei non chiama mai per chiedere, se non se c'è una urgenza per cui non può proprio evitarlo o ha bisogno per spostamenti in auto. Nemmeno in questi giorni, in cui le sue necessità si sono moltiplicate al quadrato: per cambiare le lenzuola, tagliarle le unghie, lavarle la testa, infilarle le calze, stenderle la biancheria, cucinarle un piatto di pasta, e tante altre cose che anche una persona giovane e sana con una mano sola farebbe fatica a fare, tanto più per lei che ha la schiena piegata a novanta senza bastone e un sacco di altri problemi. Ho capito che lei non chiederà mai. Perchè ha il suo (giusto) orgoglio, ammettere a sè stessa di avere bisogno di cure anzichè curare come è naturale per una madre, deve essere difficile. E a me il pensiero che lei si senta così in difficoltà nel dover chiedere aiuto fa stare proprio male, mi dispiace da morire. Non si può chiedere a una persona di quasi settant'anni di cambiare, di adeguarsi a quello che ci aspettiamo da lei, cioè che "se ha bisogno, chieda", se per lei è un passo difficile. O almeno, io la vedo così. Così ho preso le mie iniziative: ogni mattina entro a casa sua e dopo i saluti di rito fingendo di chiacchierare e basta mi guardo attorno, apro il frigorifero (mamma, hai mica un po' di limone/una cipolla/del grana grattugiato/un uovo, che sono senza?), controllo ogni cosa o quasi, la guardo come guardo mio figlio prima che esca di casa la mattina, scanso le sue proteste e faccio quello che devo ma lo faccio il più possibile a modo suo, perchè dopotutto è pur sempre casa sua, e io conosco bene il modo di condurre la casa che ha lei (che non è il mio), come so cosa può mangiare e cosa no. Poi la obbligo ad offrirmi il caffè (che ovviamente mi preparo io ora che ha il gesso), glielo faccio passare come "ricompensa" così si quieta, mi ci affianca i biscotti anche se poi non li mangio quasi mai (ma le fa tanto piacere guardarmi dietro il vaso di latta aperto...) e mi chiede con gli occhi lucidi a che ora passo il giorno successivo.
Questa cosa mi sta stancando molto. Lo dico fuori dai denti. Ma è mia madre, ha bisogno, ed è sola. Fino a quando non le rimuoveranno l'ingessatura non può nemmeno uscire a piedi, perchè appunto a spezzarsi è stato il polso destro, lei col destro tiene il bastone, e senza bastone non esce. E finchè durerà sta cosa del braccio fuori servizio, questo tran tran/sorta di tacito accordo si replica come un teatrino: lei recita la parte della refrattaria, io quella della rompiscatole invadente, calmiamo gli animi col calumet del caffè, le apparenze sono salve (davanti a chi, poi, non si capisce bene... il suo gatto forse), il suo orgoglio intatto, e l'appunto di due cose da farsi per il giorno dopo (che però ufficialmente è una lista di "mah... se puoi... quando puoi... sarebbe da...ma senza fretta... però... vedi tu...) già pronta ma solo da passarsi sottobanco sottovoce con nonchalance (io-non-ti-ho-detto-niente), per non tradire la verità a voce alta. E va bene, va benissimo così. Perchè il risultato è quello che sta all'inizio del post.
Mio marito mi ha detto, un po' di tempo fa, che una cosa è aiutare una persona, e un'altra sostituirsi a lei. Mi sono chiesta tante volte se io non mi stia sostituendo a mia madre, in questi ultimi mesi.
La risposta l'ho avuta un paio di settimane fa circa. L'ho accompagnata alla visita oncologica numero "ics". Prima di entrare in ambulatorio, proprio perchè mi stavo facendo questa specie di esame di coscienza (chiamiamolo così), mi sono imposta di intervenire il meno possibile durante la visita, nel limite di quando il medico si fosse rivolto a me anzichè a lei (come accade diverse volte, perchè la mamma non sempre afferra tutto e non sempre riesce a spiegarsi bene, è anche sorda da un orecchio, per questo mi vuole con sè, al di là del servizio taxi). Tre quarti d'ora di visita e colloquio. Nell'uscire dall'ambulatorio, prima ancora che l'oncologo chiudesse la porta dietro di noi, mi dice sottovoce "senti, adesso mi rispieghi bene tutto", e ghignando "perchè non mi ricordo già più niente e ho capito metà di quello che devo fare!". Mi sono messa a ridere, e a voce alta le ho risposto "tutto quello che vuoi, ma davanti a caffè e brioss a scrocco, o non ti dico una parola!". E ha iniziato a ridere anche lei. Evidentemente il caffè è il testimonial per eccellenza.
Ho iniziato da quel giorno a fare pace con me stessa, in questo senso. C'è un limite sottile tra il sostituirsi alla persona e lo starle a fianco: penso che sia il limite della esigenza reale. E non sempre mi è facile capire quale sia questa esigenza, se non sto un momentino più zitta e non mi metto un momentino più in ascolto. Se parto in quarta e mi paro davanti, rischio di umiliare chi si sente già umile di suo. Però se faccio da secondo paio di orecchi, secondo paio di occhi, da amplificatore vocale, da hard disc di riserva, o da bastone di riserva, allora si, nel caso di mia madre ho guadagnato la sua fiducia. Assolvo al mio compito. Ora ne sono più che certa. Anche quando mi chiedo se non stia facendo l'elefante in una cristalleria cercando di anticipare i suoi bisogni inscenando un teatrino degno di una commedia veneziana (che si conclude sempre a caffè e biscotti, anzi, scatola dei biscotti aperta), che a lei piace perchè, dice, "mi riempi la casa".
Se mi guardo bene dentro (e lei lo sa), il mio intento finale non è semplicemente quello di risolvere le sue noie domestiche al posto suo finchè è invalidata, ma cercare di evitarle l'imbarazzo di sentirsi un peso più di quanto non si senta un peso già di suo, e gliene darei invece conferma se usassi gesti di riguardo e frasi di compassione, o mattoni di silenzio come "chiama se hai bisogno" con conseguente sparizione dalla scena in attesa di eventuale chiamata come farebbe un estraneo e non la figlia che ha cresciuto e che le moine non le ha fatte mai. Perchè alla fine non è sempre così difficile capire come sapere di cosa ha bisogno una persona a cui vuoi davvero bene (se non è tuo figlio adolescente, perchè lì apriamo una parentesi non quadra, graffa). E spero di riuscirci. Come ci riesce quasi (quasi) sempre mio marito (mio figlio... aurgh... un po', anzi, decisamente meno) quando ad essere il "mezzo fuori servizio" sono io.
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Quella di oggi (ieri ormai, scrivendo scrivendo è passata la mezzanotte da che ho iniziato questo post) è stata una mattinata particolarmente difficile.
L'altro ieri, verso metà giornata, ho iniziato ad accusare un dolore molto forte sulla spalla destra. Nel giro di un paio d'ore è passato dal dolore della normale intensità di queste settimane a una cosa da farmi piangere, e farmi mancare la sensibilità di mezza mano. Sono andata dal medico quando mi sono resa conto che l'antidolorifico dopo due ore non faceva ancora effetto, fortunatamente ero al limite dell'orario di ambulatorio ma ancora in tempo per essere visitata: mi si sono infiammati un muscolo e un tendine, probabilmente dopo uno sforzo fatto in mattinata. Ero (e sono, anche se oggi già meno) gonfia e rigida. Ghiaccio, paracetamolo, spalla da tenere più ferma possibile. Bella impresa.
Lunedì scorso la mamma avrebbe dovuto fare la TAC di centratura per la radio. Senonchè il tecnico radioterapista ha voluto rinviare la cosa a dopo la visita ortopedica di controllo, quella di ieri, e le radiografie, sempre di ieri (sto pubblicando di sabato): avendo la mamma una frattura scomposta trattata solo con la manovra di trazione e l'ingessatura (per evitare altro ha detto l'ortopedico il giorno dell'incidente, in vista della radio appunto), se non stesse rinsaldandosi correttamente sarebbe dovuta essere sottoposta ad intervento chirurgico, con conseguente rinvio della radioterapia. Se la radio dovesse essere stata rinviata di oltre 20 settimane dall'intervento, così ci ha spiegato il medico, diverrebbe inutile, e si sarebbe probabilmente dovuto ricorrere ad altro. E qui mi fermo. Capitemi.
Contemporaneamente in mattinata io mi sono sottoposta al controllo oncologico per eccellenza, per noi: mammografia ed ecografia al seno annuali. Appositamente lo stesso giorno, per fare una corsa unica, visto che i tempi lo hanno consentito.
Si può immaginare con che spirito io e la mamma ieri mattina ci siamo recate in ospedale. Ma anche come abbiamo dormito la notte precedente tutte e due.
In sostanza: la frattura della mamma sta risolvendosi regolarmente, perciò lunedì prendo un altro appuntamento per la centratura e si va avanti con la pratica.
Per me c'è invece un piccolo ospite inatteso: un altro nodulo dall'aspetto di un fibroadenoma sul seno opposto rispetto a quello del tumore, un po' più in sotto rispetto a quello che mi tolsero ormai quasi vent'anni fa. La dottoressa che mi ha esaminato dice di essere tranquilla, ma mi rivaluta tra sei mesi.
Certo, non si può e non si deve sempre pensare al peggio, o ci si rovina la vita. E giuro, dal secondo anno di follow-up mi sono imposta di lasciarmi andare al nervosismo non prima dei tre giorni che anticipano i controlli, e con non poca sorpresa ci sono sempre riuscita stupendomi di me stessa, facendo in questi anni anche tantissime cose fantastiche che con la malattia non hanno nulla a che vedere, ma sono state solo vita e basta. Chi mi conosce, lo sa.
Ma per quanto siano anni che cerco di pensare positivo, credo di avere avuto sufficienti prove che in certi momenti avere un po' di strizza non è essere patetici o fare castelli in aria, ma un sacrosanto diritto. E per quanto io sia forte, e non è mancanza di modestia la mia perchè so di esserlo, questo diritto adesso me lo prendo senza dovermi giustificare con nessuno.
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