In questi giorni di metà autunno nei nostri pensieri c'è una sola persona: Ghighie P., classe 1912, furlanata DOC, di quelle che ce ne sono rimaste non moltissime ormai. Furlanata in tutti i sensi, e credo che solo altre furlanate siano in grado di comprenderne il vero senso.
Trattasi della centenaria nonna di mio marito, di cui parlai in un post mesi e mesi fa, dieci esattamente, in occasione del suo appunto secolare compleanno. Ne torno a parlare perchè la Ghighie ci dà da pensare parecchio, per il motivo più ovvio: ci sta facendo credere di essere arrivata al capolinea. Beh, niente di più normale, in fondo l'aspettativa media di vita dell'uomo lei l'ha già superata da un pezzo, e passare oltre la frontiera a cent'anni non è certo una cosa che uno può dire "e chi se lo aspettava", tutt'altro.
E io che non sono particolarmente legata a lei affettivamente, con il distacco che mi è proprio verso di lei, ogni tanto mi ci perdo a pensare a questa vita lunghissima.
Cento anni. Tanti. Tantissimi. Mia madre ad ogni compleanno ci ricorda che lei si è prefissata di arrivare a compierne cento, e per quel compleanno fuori dal comune vuole tutte e cento le candeline su una torta adeguata (e anche un buon adesivo per dentiera per spegnerle, non si sa mai). Mia madre è arrivata a sessantaquattro, e ne ha viste tante. Immaginate chi ne ha viste per cento anni.
La Ghighie ha al suo attivo due guerre, un numero ics tra fratelli e sorelle (non ricordo se cinque od otto, comunque tutti già morti da tempo), una matrigna, un marito, tre figli di cui uno già passato a miglior vita, sei nipoti, e un numero imprecisato di bisnipoti (me ne sono noti solo due, dato che con una parte della famiglia ha interrotto ogni tipo di rapporto una trentina di anni fa). Ha visto nove Papi (lei è credente infervoratissima), due re, undici presidenti della Repubblica. E' nata in anni in cui la donna non aveva diritto al voto, la scolarizzazione femminile era cosa approssimativa, corrente elettrica e acqua dal rubinetto erano cose da ricchi, il Titanic faceva il suo primo ed ultimo viaggio, il cinema era muto e la televisione non esisteva. E ne ha passate tante, la Ghighie, tante che mai, nella sua vita da persona semplice, che ha conosciuto povertà e fame fino a quando i tempi non hanno reso la vita più vivibile e dignitosa a chi lavorava. E la Ghighie ha lavorato tanto. Mi raccontava spesso, quando ancora era in grado di esprimersi, degli anni in cui lavorava in filanda, "a giornata", facendosi i chilometri in bicicletta o sui carretti ogni giorno. Storie che a sentirle raccontare sembrano favole, e in realtà non lo sono, storie come altre migliaia, tutte uguali e tutte diverse. Andavamo a trovarla ogni tanto io e mio marito, quando eravamo ancora fidanzati e lei viveva da sola. Sola in una casa a due piani, di cui si era riservata una sola piccolissima stanza per mangiare e dormire (
jo no ai voe di stà a netà dute la cjase, mi baste che cjamarute chi, e l'ort). Al piano di sopra viveva il marito. Si, perchè i due si detestavano caldamente e cordialmente, ma il matrimonio è cosa sacra e non si tocca. Così, onde evitare di ammazzarsi l'un l'altra, uno su e l'altra giù, finchè morte (di lui) non li ha separati. Ci faceva entrare in casa (dove viveva chiusa a chiave) dal retro e ci preparava il caffè, con il suo macinino elettrico che mentre frantumava i chicchi scuri lei fissava compunta (
se tu lu chialis, al ven mior, diceva). Poi ci faceva uscire dal davanti, non so per quale motivo. E ho ancora impresso il senso di terrore che ho provato la prima volta che sono uscita da quella porta, nel notare posata in un angolo sul pavimento... un'ascia. Era convinta che se qualcuno avesse tentato di entrare in casa contro la sua volontà se la sarebbe vista con lei, armata di ascia.
La Ghighie poco prima dei quarant'anni si è chiusa in casa e non è uscita più, se non per curare il giardino e l'orto. O meglio, ha chiuso fuori dal cancello tutto il resto del mondo, e ha continuato a vivere nel suo universo. Pochi anni prima di trasferirsi da mia suocera le si è rotto il televisore, e non ha mai voluto farlo riparare o sostituirlo, perchè diceva, non le interessa sapere cosa succede fuori di casa sua. L'unico contatto con il resto dell'umanità (si fa per dire) è radio Maria, che ascolta 24 ore su 24, e a cui è appesa come ci si appende al maniglione del corrimano degli autobus. Anche di notte.
Non si è mai capito il perchè di questa sua reclusione, non ne ha mai voluto parlare, e me ne sono fatta l'idea di una psicosi che oggi cercheremmo di risolvere con l'aiuto di un buon professionista e di farmaci adatti, ma ai tempi della Ghighie e con la Ghighie... no, non se ne può nemmeno fare accenno. Perchè la Ghighie era ed è furlanata di vecchio stampo, e ho detto tutto. Anche perchè lei a modo suo l'ha risolta questa cosa: ha addestrato i figli a vivere per lei, a pensare per lei, ad agire per lei, e a sentirsi incommensurabilmente in colpa nel momento in cui avessero l'ardire di pensare per un momento a loro stessi. E in questo, è da dirlo, è stata una campionessa. Di fatto ha trasformato questa sua vita nascosta, con tutto quello che ne è seguito per forza di cose, in un motivo per non farsi amare praticamente da nessuno al di fuori delle figlie, e di un nipote. Non è che la detestino, semplicemente nessuno ha per lei quell'attaccamento che più o meno si ha con una nonna o con una zia. E non per cattiveria, ma perchè non ha fatto praticamente nulla per farsi amare. Allergica alle manifestazioni di affetto più comuni come possono essere un bacio od un abbraccio, si guardava bene dall'interessarsi di chiunque, nemmeno una telefonata, in nessun caso e per nessuna ragione, fosse anche la nostalgia. A parte una unica chiamata in occasione del primo compleanno di mio figlio, il nulla. Fuori dal suo cancello è cambiato il mondo via via, è cambiata la sua cittadina, ci sono state nascite, morti, diplomi e prime comunioni, matrimoni e divorzi, e lei se ne è tenuta stoicamente al di fuori, senza ripensamenti, mai. Come se per lei il mondo fosse troppo da sopportare, troppo da accettare, come se affrontarlo o solo farne parte richiedesse un sacrificio troppo grande da fare, e lei in un terzo della sua vita aveva già sacrificato troppo. In famiglia si dice che è questo suo egoismo ad averla fatta vivere fino a cento anni. Il suo medico ci aggiunge il fatto che da sempre ha l'abitudine di bere un bicchierino di grappa all'una di notte (si si, avete letto bene), e il giorno in cui mia suocera gli ha chiesto se non fosse una abitudine nociva, lui si è limitato ad alzare le mani e a risponderle "signora...". Mia suocera quando ne parla la giustifica con il fatto che le serve per sciogliere quel poco di catarro che le si deposita in gola stando sdraiata, perchè ha la gobba. Ma lo sappiamo tutti che è perchè il grappino le piace, solo che si sa come va, si fa ma non si dice, e se si deve dire almeno diciamolo elegantemente.
L'ho criticata spesso, non posso negarlo, e chi non lo farebbe. L'ho criticata e giudicata fino al giorno in cui qualcuno si è permesso di criticare e giudicare apertamente il mio modo di condurre la mia esistenza, senza peraltro conoscere le ragioni delle mie decisioni, e ho capito che no, non si può. Non sono diversa da lei in fondo, nessuno lo è, fino a quando cerchiamo di vivere quello che ci è dato di vivere sbagliando e cercando di migliorare, cercando la felicità con quello che abbiamo a disposizione, in mezzi concreti e risorse umane, nè più nè meno. Ma poi, a cent'anni, cosa vuoi andarle a dire, che ha sbagliato tutto? Che ha fatto soffrire più di qualcuno? Che tu avresti fatto diversamente? Ti risponderebbe, ne sono quasi certa, che lei ha già dato, adesso tocca a te. A cento anni ha ancora la lucidità per zittirti con al massimo quattro o cinque parole, e dette in un modo che non ammette repliche. Ha ancora la capacità di farti sentire piccolo come un granello di sale, anche se ti poni davanti a lei sicuro delle tue ragioni e carico della tua istruzione e delle tue esperienze, o quelle che credi essere tali. Che lei vive in sedia a rotelle da un pezzo, è piantata davanti alla televisione per ore senza peraltro riuscire a sentire perchè è sorda come una campana, ha la pelle incartapecorita e non le sta più su la dentiera, ma basta guardarla in quegli occhi vitrei per capire che la sa molto, molto più lunga di quello che credi.
Insomma, la Ghighie aveva detto stop. Aveva.
E' ricoverata in lungodegenza da due settimane, perchè mia suocera ha dovuto subire un piccolo intervento al ginocchio e l'ha ricoverata, con l'opportunità di farle fare il solito ceck-up che fa ogni anno. Una settimana fa ha avuto un piccolo infarto ed è stata portata al Big Hospital d'urgenza. L'hanno tenuta in osservazione. Due notti fa ne ha avuto un altro, e i medici ci avevano avvertito di prepararci al peggio: entro qualche ora al massimo avrebbe incontrato nostro Signore. Non l'hanno nemmeno messa in terapia intensiva, non avrebbe avuto senso.
E invece no. E' ancora qui. Mio marito è stato a trovarla ieri sera e l'ha trovata sveglia, lucida, consapevole, ciarliera, e ben determinata a seppellire ancora qualche anima prima di lei. Cose che se capitassero a un comune mortale sarebbe andata ben diversamente. Come quando qualche anno fa si convinse che il suo mal di denti non era un mal di denti ma un tumore alla bocca che l'avrebbe portata via nel giro di poco, o il raffreddore che doveva essere un tumore ai polmoni fulminante, mentre invece le analisi fatte poco tempo fa le diagnosticavano solo un lieve calo di pressione e un abbassamento della vista. Il minimo della pena. Come quando vai in farmacia a fare spesa e paghi solo il ticket.
E' inutile farsi illusioni, immagino (ma non ne sono nemmeno tanto sicura) che sia come il canto del cigno. Obiettivamente, non ci si può aspettare che rinsavisca e viva altri dieci o vent'anni. In ogni caso, prima o dopo che succeda, tanto o poco che le si sia voluto bene, mancherà. Se non altro perchè nel suo ruotarle attorno nell'organizzazione della vita, chi ha dovuto e voluto starle vicino ha comunque imparato qualcosa.