L'altro ieri è arrivato il verbale della revisione di invalidità. Definitivo. Nel senso che solitamente dopo una decina di giorni dalla visita arrivava il provvisorio, il definitivo invece dopo un paio di mesi. Stavolta hanno abbreviato i tempi, credo perchè c'era poco da valutare con calma davanti alle mie carte. La differenza tra avere il verbale provvisorio ed averlo definitivo è per mio marito, per poter mantenere la 104 deve avere il definitivo. In ogni modo è arrivato, ed è stato il solito tonfo al cuore di ogni volta che arriva il verbale. Ogni volta apro la busta in fretta e furia, in una sorta di ansia ingiustificata. Non è piacevole, mai. Chiunque ne farebbe a meno, ma quando non si può si spera almeno di non venire prese in giro, come quella volta che a revisione il medico mi fece la manovra di Lasègue sbagliata per dimostrare che non avevo due ernie al disco e il referto della risonanza che ho portato era una farfulla, così come il referto della visita neurochirurgica che mi metteva in lista d'attesa per l'intervento alla schiena (che feci puntualmente circa un mese dopo). Forse perchè mi sono presentata a visita da sola e ho sorriso con dignità alla commissione anzichè fare la parte della prostrata, chissà. Mi ha fatto sentire umiliata. Manco ci si divertisse ad andare in commissione medica.
Ora, non è che con metastasi ossee diffuse da K mammario certificate e stracertificate si possa fantasticare tanto, o mettere in dubbio che una si presenta con le stampelle per fare scena. Ma se ne sentono talmente tante che non do più niente per scontato ormai.
Senza aver chiesto aggravamento, me lo hanno comunque riconosciuto. Cento per cento. Revisione a tre anni stavolta, non uno. L'ho preso come un buon augurio, una scaramanzia. Tipo "oh, pensano che tra tre anni io sia ancora qui, non è un buon segno?". Si, ridete pure, so che è una mera questione burocratica, ma lasciatemici fantasticare un po' sopra dai. Intanto domani vado a farmi le fototessera per richiedere il tanto desiderato tesserino per i parcheggi, che mi potrà essere di aiuto in non poche situazioni che finora mi hanno creato discrete difficoltà.
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Anche se spero di doverlo usare il minimo possibile, perchè anche quando l'avevo nove anni fa durante la prima malattia lo usavo solo quando non potevo proprio farne a meno, cioè nei giorni "proprio no". Non ho mai voluto approfittarne: obiettivamente c'è chi sta messo peggio di me, e se posso lascio libero.
Sto meglio. Fisicamente sto un po' meglio. Non so di cosa mi abbiano bombato venerdì scorso in vena, ma il dolore lancinante si è trasformato in fastidio in meno di 24 ore, tanto che ieri e oggi mi sono mossa senza stampelle, ieri per negozi e oggi in lungo e in largo per l'ospedale. A brevi tratti, si intende, ma comunque a due zampe e non a quattro.
Stamattina sono dovuta tornare in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati, venerdì scorso non era disponibile e ho dovuto rinviare il buco ad oggi. Parlando con l'infermiera si constatava il fatto che noi donne difficilmente ci arrendiamo a chiedere supporto antalgico lì dentro, forse perchè siamo allenate, o educate, a dover tollerare soglie del dolore più alte del necessario. A chiedere aiuto pare sempre di stare a disturbare, al pari dei vecchietti che vanno dal medico per passare un po' di tempo. E lo so che non è la stessa cosa, che ho un problema serio e non fisime, ma stiamo vivendo in famiglia una situazione che non posso raccontare, ma che sta facendo sbarellare tutti quanti (e non sto esagerando) e mi porta a ragionare così. Mio marito direbbe "alla stupidovia".
Mi ha detto di non aspettare più, di non arrivare più a certi livelli, di chiedere terapia di supporto senza che debba essere l'oncologo a dovermici spedire durante la visita mensile. E non ha mica torto. E mi sa anche che seguirò questo consiglio.
Perchè? Perchè eliminare gran parte del dolore, anche se si tratta di una cura palliativa, mi ha fatto passare le giornate molto più serenamente. Sapete cosa vuol dire abituarsi al dolore? Significa che diventi acida ed astiosa ma non te ne accorgi, se ne accorge chi ti sta vicino, e chi ti sta vicino ti infastidisce, dai la colpa del tuo mal-stare alla loro presenza e invece sei tu che hai i nervi sottili come fili di nylon, perchè sono impegnati costantemente a tenere per le corna un toro che preme per spingerti a terra. Sei intollerante all'aria che respiri, ma fai l'eroina e pensi "sono cazzuta a mille". Insomma, ti convinci di avere un periodo in cui tutti ti stanno sulle palle, mentre invece ti stai sulle palle da sola.
Tolti tre quarti del dolore, tolto il novanta per cento dell'ansia.
E le conseguenze sono state:
-un intero pomeriggio, quello di sabato, trascorso con una cugina e i suoi bambini che non vedevo da più di tre anni, senza dovermi chiedere prima di dirle di sì "lo reggo o non lo reggo un pomeriggio intero con una visita in casa?". E' stato piacevolissimo.
-L'intera domenica mattina passata ai fornelli a cucinare verdura per riempirci il frigo.
-l'inizio del giro dei colloqui con i professori, lunedì mattina ho inaugurato il tour del primo quadrimestre con l'insegnante di ginnastica senza dovermi chiedere prima di partire "e se mi viene l'attacco d'ansia mentre aspetto?".
-Tre brevi giri per negozi ieri mattina, a spendere soldi per il mangiare per i gatti e per gli ultimi acquisti dei pensieri natalizi da spedire alla parte di famiglia che è rimasta a Venezia, come faccio ogni anno da ormai diciannove anni, senza dovermi chiedere prima di partire "e se trovo coda alle casse e mi sento mancare la gamba sinistra?".
-Il ritorno dalla parrucchiera dopo nove mesi, ieri pomeriggio, per sistemare la zazzera ricresciuta alla porcospino-andante, senza dovermi chiedere prima di andare "e se mi sale l'ansia mentre sta tagliando, o mi prende il crampo all'anca, che fo?".
E sono ansie mica da poco, sapete. Chi soffre di ansia sa quanto poco scontato sia il non doverci necessariamente fare i conti, è quasi una sorpresa di cui ci si rende conto solo a posteriori.
Insomma, un altro vivere, che spero duri il più possibile. Mi sembra quasi di aver ritrovato un quadratino di normalità, o meglio, di una quotidianità che mi piace. Quella quotidianità in cui anche la guerra di nervi con mio figlio quindicenne, per quanto feroce e costante, mi dice che posso fare finta che sia tutto a posto, perchè comunque ho un pezzo di problema in meno.
Che poi oggi io sia comunque fuori con i sentimenti e con lo stomaco stretto perchè il cucciolo di muflone/bollitore di testosterone mi abbia per l'ennesima volta fatto vedere i sorci verdi e prendere seriamente in considerazione l'uso alternativo del manico della scopa (giuro, ci è mancato tanto così /-/, fa parte della coreografia.
giovedì 28 novembre 2019
venerdì 22 novembre 2019
Probabilità, imprevisti e segnalino a damigiana
Ieri mattina sono stata a fare il prelievo mensile, e stamattina come da prassi sono stata a visita oncologica. All'ordine del giorno c'erano solo:
-visione dell'esito del prelievo
-consegna del referto e prenotazione della prossima visita (20 dicembre)
-consegna della terapia per le prossime quattro settimane
-iniezione di denosumab.
-filata a casa felice e contenta e ripresa dei miei lavori domestici, possibilmente previo un breve giro da Tigotà per cavolatine varie che so che sono in sconto e io sono tanto ma tanto golosa di cavolatine 😀 (La scusa del consolatorio regge sempre bene, è la parte pheega dell' avere una malattia importante).
E invece è andata così.
Ho trovato parcheggio un po' lontano dall'ingresso dell'ospedale (appena mi arriva il verbale della revisione di invalidità fatta la settimana scorsa faccio richiesta del talloncino per il parcheggio per i disabili, visto che in commissione mi hanno già detto che devo assolutamente averlo), perchè sta diventando davvero difficile. Sicchè sono salita con le stampelle. Ora, va detto che il mio oncologo è solo la seconda volta che mi vede camminare con le stampelle. E' vero che me le ha prescritte l'ortopedico assieme al busto, ma è altrettanto vero che se trovo parcheggio a una distanza minima dall'ingresso dell'ospedale non sto a zompettare a quattro gambe: sopporto un po', tanto poi la maggior parte del tempo lì dentro la passo seduta. E comunque non sono tipo da lamentarsi facilmente del dolore, per un meccanismo un po' contorto della mia assurda psiche: più mi lamento e più mi si para davanti la causa del mio dolore, più mi ricordo perchè sto male e più mi deprimo, perciò per quanto possibile evito il primo passaggio così anche gli altri non seguono a ruota. E poi soffro di dolori articolari da ormai dieci anni, vai a sapere quali sono da metastasi e quali da artrite... Io parto positiva (nel contesto, si capisce) e penso all'artrite, all'umidità e avanti su questa linea. Infine, dato da non trascurare, non sono un maschio. Capite ammè.
Comunque andiamo avanti.
Il mio oncologo mi vede, fa la faccia perplessa, e se ne esce con "non sono abituato a vederti così. Sta cosa non mi piace".
E se non piace a lui, a me piace ancora meno.
Mi visita a fondo, cosa che non fa quasi mai (perchè finchè gli dico che va tutto quasi bene... logico). Linfonodi del collo e sotto le spalle, polmoni, fegato, milza, parete mastectomizzata, palpazione seno superstite e relativi linfonodi ascellari. Mi tocca il lato sinistro del bacino ed escono due lacrimoni formato damigiana. Cazzo se fa male.
Gli ho chiesto se può essere l'artrite che cavalca, non ho avuto il coraggio di chiedergli il peggio. Mi ha risposto che si, ci sta, visto che ultimamente ho dolore anche alle piccole articolazioni soprattutto al mattino, ma una visita reumatologica sarebbe perfettamente inutile visto che qualsiasi farmaco antireumatico andrebbe a cozzare con la chemioterapia, e visto che l'unico farmaco che la reumatologa sarebbe in grado di darmi è il cortisone, tanto vale che me lo dia lui e risparmio una corsa al Big Hospital.
Morale: mi ha trattenuto un'ora e mezzo in sala chemio, in poltrona, a fare flebo di non so cosa (quattro bussolotti tra cortisone, lavaggio e due sostanze il cui nome non mi è dato sapere).
Sapete cosa adoro del mio oncologo? Che con lui le cose le posso discutere, spiegazioni me ne dà sempre, ma in dieci anni di conoscenza reciproca lui deve aver imparato che io sono sempre propensa al "farmaco in meno se si può", perciò quando sa che "proprio non si può" mi dà l'ordine col sorriso, ma perentorio. Questo lo specifico perchè ho chiesto se potessi evitare la terapia di supporto e farla a casa per un sacco di ovvii motivi, e lui col suo solito tenero sorriso mi ha calato il suo secco NO-TU-VAI-DI-LA'.
Non ho preso bene questa cosa. Non ho preso bene il dover tornare in sala chemio anche se solo per la terapia antalgica, non ho preso bene il dovermi far forare di nuovo il port per una terapia anzichè per un lavaggio, non ho preso bene il dover stare lì un'ora e mezzo fuori programma, non ho preso bene il dover raccontare l'ennesima balla a mio figlio per spiegargli che non mi avrebbe trovato a casa alle due perchè "sono a fare una visita e ritardo perchè è pieno di gente, apriti con le chiavi di scorta e fatti due toast, non andare dalla nonna perchè prima delle tre deve uscire che ha un impegno". Non ho preso bene il fare i conti senza filtri con la consapevolezza che tra le due o tre possibili cause del dolore che mi sveglia di notte da settimane ci sia anche il peggioramento dello schifo. Sedermi in sala chemio con altre quattro donne che stavano lì per lo stesso motivo (il venerdì in vena fanno solo terapie di supporto, non chemio) me lo ha sbattuto in faccia di nuovo. E poi odio quella stanza, ho preso in odio quelle poltrone così comode e così pregne di ricordi, odio quella saracinesca sempre a metà altezza perchè ci batte il sole contro tutta la mattina, odio l'odore di farmaci e disinfettanti che c'è lì dentro, odio quel televisore sempre acceso, odio il momento in cui arriva l'infermiera con le braccia cariche di bussolotti col tuo nome scritto sopra e li appoggia sulla mensola sotto al televisore tutti in fila come soldatini pronti a marciare. Mi sento un po' come quando odoro il latte caldo e mi sale la nauesa solo perchè da piccola mi faceva venire il mal di pancia, da quasi quarant'anni il latte caldo non lo bevo più (perchè a un certo punto la mia mamma, latte-addicted, si è dovuta arrendere all'evidenza: non erano capricci, stavo proprio male), ma la connessione tra latte caldo e malessere non si è mai schiodata dai miei neuroni. Così in quell'ora e mezzo di bevuta alternativa ho lasciato cadere in silenzio le lacrime che dovevano cadere, ho chiacchierato un po' con le ragazze del mio gruppo, e me la sono fatta passare.
Del resto sono diventata davvero brava a dimenticarmene per 26 giorni su 28. Mi dico brava da sola.
In ogni modo, stavolta ho vinto (oltre al rifornimento di capecitabina e vinorelbine fino al 20 dicembre) una iniezione al mese di cortisone a lento rilascio (da iniziare la prossima settimana, perchè quasiasi sia il cocktail che ho bevuto oggi mi copre per un po'), e l'anticipo di un mese degli esami di stadiazione. Mi prenotano una risonanza magnetica completa da fare entro metà dicembre, lunedì dovrebbe chiamarmi la radiologia per darmi la data. Vuole andare a fondo e alla svelta, per fortuna.
Però guardiamo il lato positivo. L'emocromo di ieri dice che il midollo si sta riprendendo. Bianchi e rossi non sono ancora nei range, ma solo per poco: i bianchi da 2300 e rotti che erano due settimane fa, sono saliti a 3700 nonostante la terapia. I rossi sono sotto per pochi punti. La chemio precedente sta mollando. Il mio corpo reagisce.
E io ho ringraziato con tutto il cuore e un sorriso a tutti denti il mio oncologo per avermi permesso di festeggiare, due giorni fa, il mio 47esimo compleanno.
-visione dell'esito del prelievo
-consegna del referto e prenotazione della prossima visita (20 dicembre)
-consegna della terapia per le prossime quattro settimane
-iniezione di denosumab.
-filata a casa felice e contenta e ripresa dei miei lavori domestici, possibilmente previo un breve giro da Tigotà per cavolatine varie che so che sono in sconto e io sono tanto ma tanto golosa di cavolatine 😀 (La scusa del consolatorio regge sempre bene, è la parte pheega dell' avere una malattia importante).
E invece è andata così.
Ho trovato parcheggio un po' lontano dall'ingresso dell'ospedale (appena mi arriva il verbale della revisione di invalidità fatta la settimana scorsa faccio richiesta del talloncino per il parcheggio per i disabili, visto che in commissione mi hanno già detto che devo assolutamente averlo), perchè sta diventando davvero difficile. Sicchè sono salita con le stampelle. Ora, va detto che il mio oncologo è solo la seconda volta che mi vede camminare con le stampelle. E' vero che me le ha prescritte l'ortopedico assieme al busto, ma è altrettanto vero che se trovo parcheggio a una distanza minima dall'ingresso dell'ospedale non sto a zompettare a quattro gambe: sopporto un po', tanto poi la maggior parte del tempo lì dentro la passo seduta. E comunque non sono tipo da lamentarsi facilmente del dolore, per un meccanismo un po' contorto della mia assurda psiche: più mi lamento e più mi si para davanti la causa del mio dolore, più mi ricordo perchè sto male e più mi deprimo, perciò per quanto possibile evito il primo passaggio così anche gli altri non seguono a ruota. E poi soffro di dolori articolari da ormai dieci anni, vai a sapere quali sono da metastasi e quali da artrite... Io parto positiva (nel contesto, si capisce) e penso all'artrite, all'umidità e avanti su questa linea. Infine, dato da non trascurare, non sono un maschio. Capite ammè.
Comunque andiamo avanti.
Il mio oncologo mi vede, fa la faccia perplessa, e se ne esce con "non sono abituato a vederti così. Sta cosa non mi piace".
E se non piace a lui, a me piace ancora meno.
Mi visita a fondo, cosa che non fa quasi mai (perchè finchè gli dico che va tutto quasi bene... logico). Linfonodi del collo e sotto le spalle, polmoni, fegato, milza, parete mastectomizzata, palpazione seno superstite e relativi linfonodi ascellari. Mi tocca il lato sinistro del bacino ed escono due lacrimoni formato damigiana. Cazzo se fa male.
Gli ho chiesto se può essere l'artrite che cavalca, non ho avuto il coraggio di chiedergli il peggio. Mi ha risposto che si, ci sta, visto che ultimamente ho dolore anche alle piccole articolazioni soprattutto al mattino, ma una visita reumatologica sarebbe perfettamente inutile visto che qualsiasi farmaco antireumatico andrebbe a cozzare con la chemioterapia, e visto che l'unico farmaco che la reumatologa sarebbe in grado di darmi è il cortisone, tanto vale che me lo dia lui e risparmio una corsa al Big Hospital.
Morale: mi ha trattenuto un'ora e mezzo in sala chemio, in poltrona, a fare flebo di non so cosa (quattro bussolotti tra cortisone, lavaggio e due sostanze il cui nome non mi è dato sapere).
Non ho preso bene questa cosa. Non ho preso bene il dover tornare in sala chemio anche se solo per la terapia antalgica, non ho preso bene il dovermi far forare di nuovo il port per una terapia anzichè per un lavaggio, non ho preso bene il dover stare lì un'ora e mezzo fuori programma, non ho preso bene il dover raccontare l'ennesima balla a mio figlio per spiegargli che non mi avrebbe trovato a casa alle due perchè "sono a fare una visita e ritardo perchè è pieno di gente, apriti con le chiavi di scorta e fatti due toast, non andare dalla nonna perchè prima delle tre deve uscire che ha un impegno". Non ho preso bene il fare i conti senza filtri con la consapevolezza che tra le due o tre possibili cause del dolore che mi sveglia di notte da settimane ci sia anche il peggioramento dello schifo. Sedermi in sala chemio con altre quattro donne che stavano lì per lo stesso motivo (il venerdì in vena fanno solo terapie di supporto, non chemio) me lo ha sbattuto in faccia di nuovo. E poi odio quella stanza, ho preso in odio quelle poltrone così comode e così pregne di ricordi, odio quella saracinesca sempre a metà altezza perchè ci batte il sole contro tutta la mattina, odio l'odore di farmaci e disinfettanti che c'è lì dentro, odio quel televisore sempre acceso, odio il momento in cui arriva l'infermiera con le braccia cariche di bussolotti col tuo nome scritto sopra e li appoggia sulla mensola sotto al televisore tutti in fila come soldatini pronti a marciare. Mi sento un po' come quando odoro il latte caldo e mi sale la nauesa solo perchè da piccola mi faceva venire il mal di pancia, da quasi quarant'anni il latte caldo non lo bevo più (perchè a un certo punto la mia mamma, latte-addicted, si è dovuta arrendere all'evidenza: non erano capricci, stavo proprio male), ma la connessione tra latte caldo e malessere non si è mai schiodata dai miei neuroni. Così in quell'ora e mezzo di bevuta alternativa ho lasciato cadere in silenzio le lacrime che dovevano cadere, ho chiacchierato un po' con le ragazze del mio gruppo, e me la sono fatta passare.
Del resto sono diventata davvero brava a dimenticarmene per 26 giorni su 28. Mi dico brava da sola.
In ogni modo, stavolta ho vinto (oltre al rifornimento di capecitabina e vinorelbine fino al 20 dicembre) una iniezione al mese di cortisone a lento rilascio (da iniziare la prossima settimana, perchè quasiasi sia il cocktail che ho bevuto oggi mi copre per un po'), e l'anticipo di un mese degli esami di stadiazione. Mi prenotano una risonanza magnetica completa da fare entro metà dicembre, lunedì dovrebbe chiamarmi la radiologia per darmi la data. Vuole andare a fondo e alla svelta, per fortuna.
Però guardiamo il lato positivo. L'emocromo di ieri dice che il midollo si sta riprendendo. Bianchi e rossi non sono ancora nei range, ma solo per poco: i bianchi da 2300 e rotti che erano due settimane fa, sono saliti a 3700 nonostante la terapia. I rossi sono sotto per pochi punti. La chemio precedente sta mollando. Il mio corpo reagisce.
E io ho ringraziato con tutto il cuore e un sorriso a tutti denti il mio oncologo per avermi permesso di festeggiare, due giorni fa, il mio 47esimo compleanno.
venerdì 8 novembre 2019
La gabbia
Magone, muso lungo, fatica a parlare, fatica a pensare. Due settimane passate così, in quasi totale apatia. Per cercare di reagire, un paio di pomeriggi fa mi sono costretta a mettermi alla macchina da cucire: ci sono i lavoretti di Natale a cui pensare. La macchina da cucire, col suo "ton-ton-ton" ritmico e l'attenzione che richiede nell'essere adoperata, è sempre stata tra i miei anestetici più potenti (assieme al ron-ron dei miei gatti, alla musica barocca, al coro, a Orgoglio e Pregiudizio in tv e al tavolino da make-up).
E invece niente. Due ore lì a fissarla, a fissare l'ago fermo illuminato dalla lampadina sovrastante. Lo sguardo che passa inerte dall'ago al piccolo ferro da stiro posato sul bancone della cucina, immediatamente alla mia destra. Un quarto d'ora netto di lavoro-lavoro in due ore, spezzettato in più frammenti di uno, massimo due minuti l'uno. Nella testa, il vuoto. L'unico pensiero che riuscivo a formulare: "se inizio a cucire devo fare un gaso (leggi: cucitura diritta nel mio dialetto) e devo alzarmi per aprire gli orli dei lembi cuciti e appiattirli col ferro da stiro, un gaso e una stiratura, un gaso e una stiratura, un gaso... Ad ogni passaggio alzarmi, girarmi e fare un passo, ad ogni alzata dalla sedia dolore ai femori, fitte, e di nuovo dolore e fitte nel risedermi. Una, dieci, venti volte. No, non... no".
Pomeriggi così. Giornate tese, con l'attacco d'ansia sempre lì lì per partire. Tre attacchi di cervicali in cinque giorni, qualcosa vorranno dire. Senza capire il perchè. Senza trovare il nodo da sciogliere nei meandri della mia testa, nella mia gola. Lo stomaco chiuso. Zero voglia di uscire. Zero voglia di intrattenere una qualsivoglia conversazione con chiunque. Nemmeno con mio marito. Messaggi whatsapp ricevuti e bellamente ignorati. Richieste di aiuto e di sfogo sul mio gruppo bellamente ignorate anch'esse, tranne quelle di determinate persone che usano quel garbo che non mi fa mai sentire "ad uso discarica".
L'apatia.
Poi l'incontro con la psicologa. Giri e giri di parole su discorsi che non c'entravano apparentemente nulla con il mio problema di ansia: il Power, il Power e la scuola, il Power e le nostre litigate quotidiane tra mamma e adole-coso. Non volevo parlare di me. Non ho voglia di parlare di me con nessuno. Cosa c'è da dire? Le cure vanno avanti, i capelli li ho, devo spiegare un'ansia che io stessa fatico a decifrare e sperare anche di essere capita? No, quella fatica non la voglio fare.
Però arriva quella parola buttata lì, come per caso, che fa esplodere tutto. Una esplosione violenta, breve ma intensa, che fa cadere il muro, che fa capire tutto. Una esplosione di rabbia pazzesca. Una rabbia che non sapevo di avere.
La parola "GABBIA".
Quella gabbia in cui mi sento incastrata, come era incastrata nel muro la mia Maya stanotte nel sogno. Ho sognato Maya incastrata nel muro, un sogno orribile. E io piangevo e urlavo perchè non riuscivo a liberarla da lì, chiamavo aiuto e non arrivava nessuno, dovevo scavare nel muro con le mie mani nude, e non ci riuscivo, e lei miagolava, chiamava aiuto. Mi spellavo le dita, mi staccavo le unghie, ma non serviva a niente.
Maya, la mia gatta tigratona, quella che si crede (secondo me) un cane, perchè mi sta sempre appiccicata ovunque io mi muova, e piange se la chiudo fuori dal bagno quando devo... beh, quando sono in bagno. Maya, la mia ombra.
Maya non a caso era nel sogno. Maya ero io.
Paradossale come una sola parola, se quella giusta, quando riesce ad uscire faccia rimettere in moto una macchina da cucire e la faccia lavorare ininterrottamente per due ore.
Non solo. La fa smontare, ripulire fin dentro i più piccoli ingranaggi raggiungibili da pennelli pennellini e pinzette, rimontare, passare con panno in microfibra imbevuto di candeggina e sgrassatore su ogni parte esterna lavabile e sul coperchio. Lavoro che non facevo da boh, due o tre anni di sicuro, e comunque mai con questa cura certosina. E l'ha anche fatta decorare con quello che mi ha suggerito lo sghiribizzo del momento: tessuto doppiato con nastro biadesivo e qualche cuore di legno.
E rimetta in moto una lingua incollata al palato dopo due settimane.
Ps.: ho rifatto il prelievo di controllo ieri. Sono ancora neutropenica, neutrofili in discesa, dai 2700 di due settimane fa agli attuali 2300. Non così bassi da dover interrompere la terapia o fare i fattori di crescita, ma sufficientemente bassi per mantenere le precauzioni igieniche atte ad evitare malattie stagionali o infezioni di qualsiasi genere. Gli eventuali antibiotici che dovessero rendersi necessari, con la terapia che sto facendo, cozzano.
E invece niente. Due ore lì a fissarla, a fissare l'ago fermo illuminato dalla lampadina sovrastante. Lo sguardo che passa inerte dall'ago al piccolo ferro da stiro posato sul bancone della cucina, immediatamente alla mia destra. Un quarto d'ora netto di lavoro-lavoro in due ore, spezzettato in più frammenti di uno, massimo due minuti l'uno. Nella testa, il vuoto. L'unico pensiero che riuscivo a formulare: "se inizio a cucire devo fare un gaso (leggi: cucitura diritta nel mio dialetto) e devo alzarmi per aprire gli orli dei lembi cuciti e appiattirli col ferro da stiro, un gaso e una stiratura, un gaso e una stiratura, un gaso... Ad ogni passaggio alzarmi, girarmi e fare un passo, ad ogni alzata dalla sedia dolore ai femori, fitte, e di nuovo dolore e fitte nel risedermi. Una, dieci, venti volte. No, non... no".
Pomeriggi così. Giornate tese, con l'attacco d'ansia sempre lì lì per partire. Tre attacchi di cervicali in cinque giorni, qualcosa vorranno dire. Senza capire il perchè. Senza trovare il nodo da sciogliere nei meandri della mia testa, nella mia gola. Lo stomaco chiuso. Zero voglia di uscire. Zero voglia di intrattenere una qualsivoglia conversazione con chiunque. Nemmeno con mio marito. Messaggi whatsapp ricevuti e bellamente ignorati. Richieste di aiuto e di sfogo sul mio gruppo bellamente ignorate anch'esse, tranne quelle di determinate persone che usano quel garbo che non mi fa mai sentire "ad uso discarica".
L'apatia.
Poi l'incontro con la psicologa. Giri e giri di parole su discorsi che non c'entravano apparentemente nulla con il mio problema di ansia: il Power, il Power e la scuola, il Power e le nostre litigate quotidiane tra mamma e adole-coso. Non volevo parlare di me. Non ho voglia di parlare di me con nessuno. Cosa c'è da dire? Le cure vanno avanti, i capelli li ho, devo spiegare un'ansia che io stessa fatico a decifrare e sperare anche di essere capita? No, quella fatica non la voglio fare.
Però arriva quella parola buttata lì, come per caso, che fa esplodere tutto. Una esplosione violenta, breve ma intensa, che fa cadere il muro, che fa capire tutto. Una esplosione di rabbia pazzesca. Una rabbia che non sapevo di avere.
La parola "GABBIA".
Quella gabbia in cui mi sento incastrata, come era incastrata nel muro la mia Maya stanotte nel sogno. Ho sognato Maya incastrata nel muro, un sogno orribile. E io piangevo e urlavo perchè non riuscivo a liberarla da lì, chiamavo aiuto e non arrivava nessuno, dovevo scavare nel muro con le mie mani nude, e non ci riuscivo, e lei miagolava, chiamava aiuto. Mi spellavo le dita, mi staccavo le unghie, ma non serviva a niente.
Maya, la mia gatta tigratona, quella che si crede (secondo me) un cane, perchè mi sta sempre appiccicata ovunque io mi muova, e piange se la chiudo fuori dal bagno quando devo... beh, quando sono in bagno. Maya, la mia ombra.
Maya non a caso era nel sogno. Maya ero io.
Paradossale come una sola parola, se quella giusta, quando riesce ad uscire faccia rimettere in moto una macchina da cucire e la faccia lavorare ininterrottamente per due ore.
Non solo. La fa smontare, ripulire fin dentro i più piccoli ingranaggi raggiungibili da pennelli pennellini e pinzette, rimontare, passare con panno in microfibra imbevuto di candeggina e sgrassatore su ogni parte esterna lavabile e sul coperchio. Lavoro che non facevo da boh, due o tre anni di sicuro, e comunque mai con questa cura certosina. E l'ha anche fatta decorare con quello che mi ha suggerito lo sghiribizzo del momento: tessuto doppiato con nastro biadesivo e qualche cuore di legno.
E rimetta in moto una lingua incollata al palato dopo due settimane.
Ps.: ho rifatto il prelievo di controllo ieri. Sono ancora neutropenica, neutrofili in discesa, dai 2700 di due settimane fa agli attuali 2300. Non così bassi da dover interrompere la terapia o fare i fattori di crescita, ma sufficientemente bassi per mantenere le precauzioni igieniche atte ad evitare malattie stagionali o infezioni di qualsiasi genere. Gli eventuali antibiotici che dovessero rendersi necessari, con la terapia che sto facendo, cozzano.
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