sabato 21 dicembre 2019

Di nuovo l'abisso

Abbiamo fatto l'albero di Natale e decorato casa.
Ho preparato pacchetti e pacchettini, cercando di ricordarmi di più persone possibili. Perchè si, perchè me la sono sentita e basta.

E oggi non faccio che piangere. Piango da ventiquattro ore ormai. Alterno dormite a pianti.
Perchè tre giorni fa ho fatto una risonanza di controllo, ieri ho ricevuto l'esito, e l'esito è che la malattia è in progressione. Capecitabina e Navelbine non sono servite a niente. Il cancro è lì, vivo, di nuovo sveglio, ha ripreso strada sulle mie ossa, e Dio solo per ora sa dove altro. Non ho il cancro, ho la merda delle merde dei tumori al seno.
Il 9 gennaio farò una TAC di ristadiazione per controllare gli altri organi, e il 14 torno in sala chemio per un tentativo con Eribulina. Tre mesi di Eribulina, e a seguire si riprendono Abraxane e Carboplatino.
Ancora tortura. Tornare a soffrire. A perdere i capelli. A passare ore a letto. A sperare e pregare di poter guadagnare vita.
Sono dilaniata, disintegrata, distrutta. Non riesco a trovare un motivo valido per fare qualcosa, sto passando ore in quasi totale apatia. Ho perso forza, ho perso fiducia, ho perso il fiato. L'unica cosa che vorrei è rimanere abbracciata stretta a mio marito, sentirmi portata in braccio, non stare da sola. Mi mancano le gambe.
Ieri pomeriggio mi è successa una cosa strana. Mi sono addormentata in poltrona in una posizione assurda, con la testa piegata sul lato destro, appoggiata su uno dei cuscini ricoperti all'uncinetto, appoggiato a sua volta sulla parte bassa del mobile del soggiorno. Non so quanto ho dormito, forse un'ora, ma a fondo. So che quando ho aperto gli occhi non capivo dov'ero. Mi aspettavo di veder arrivare mia madre portarmi la merenda, avevo la certezza di essere una bambina che si era svegliata da un brutto sogno, faticavo a mettere a fuoco con gli occhi la stufa accesa. Ho sentito arrivare da un'altra stanza una voce di uomo e mi sono spaventata. Ci ho messo un po' per tornare in qua: no, non sono bambina e questa è casa mia, sono sposata e ho un figlio grande, ho 47 anni.
Non so se questo si chiami "essere sotto choc". Ma so che piangere mi impedisce di lasciarmi andare agli attacchi di ansia e di panico, e questa forse è una fortuna adesso. Riuscire a buttare fuori. Riuscire a dire "ho paura di morire".

Cancro maledetto.





giovedì 28 novembre 2019

Un po' di respiro

L'altro ieri è arrivato il verbale della revisione di invalidità. Definitivo. Nel senso che solitamente dopo una decina di giorni dalla visita arrivava il provvisorio, il definitivo invece dopo un paio di mesi. Stavolta hanno abbreviato i tempi, credo perchè c'era poco da valutare con calma davanti alle mie carte. La differenza tra avere il verbale provvisorio ed averlo definitivo è per mio marito, per poter mantenere la 104 deve avere il definitivo. In ogni modo è arrivato, ed è stato il solito tonfo al cuore di ogni volta che arriva il verbale. Ogni volta apro la busta in fretta e furia, in una sorta di ansia ingiustificata. Non è piacevole, mai. Chiunque ne farebbe a meno, ma quando non si può si spera almeno di non venire prese in giro, come quella volta che a revisione il medico mi fece la manovra di Lasègue sbagliata per dimostrare che non avevo due ernie al disco e il referto della risonanza che ho portato era una farfulla, così come il referto della visita neurochirurgica che mi metteva in lista d'attesa per l'intervento alla schiena (che feci puntualmente circa un mese dopo). Forse perchè mi sono presentata a visita da sola e ho sorriso con dignità alla commissione anzichè fare la parte della prostrata, chissà. Mi ha fatto sentire umiliata. Manco ci si divertisse ad andare in commissione medica.
Ora, non è che con metastasi ossee diffuse da K mammario certificate e stracertificate si possa fantasticare tanto, o mettere in dubbio che una si presenta con le stampelle per fare scena. Ma se ne sentono talmente tante che non do più niente per scontato ormai.
Senza aver chiesto aggravamento, me lo hanno comunque riconosciuto. Cento per cento. Revisione a tre anni stavolta, non uno. L'ho preso come un buon augurio, una scaramanzia. Tipo "oh, pensano che tra tre anni io sia ancora qui, non è un buon segno?". Si, ridete pure, so che è una mera questione burocratica, ma lasciatemici fantasticare un po' sopra dai.  Intanto domani vado a farmi le fototessera per richiedere il tanto desiderato tesserino per i parcheggi, che mi potrà essere di aiuto in non poche situazioni che finora mi hanno creato discrete difficoltà.
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Anche se spero di doverlo usare il minimo possibile, perchè anche quando l'avevo nove anni fa durante la prima malattia lo usavo solo quando non potevo proprio farne a meno, cioè nei giorni "proprio no". Non ho mai voluto approfittarne: obiettivamente c'è chi sta messo peggio di me, e se posso lascio libero.

Sto meglio. Fisicamente sto un po' meglio. Non so di cosa mi abbiano bombato venerdì scorso in vena, ma il dolore lancinante si è trasformato in fastidio in meno di 24 ore, tanto che ieri e oggi mi sono mossa senza stampelle, ieri per negozi e oggi in lungo e in largo per l'ospedale. A brevi tratti, si intende, ma comunque a due zampe e non a quattro.
Stamattina sono dovuta tornare in oncologia per fare l'iniezione di bifosfonati, venerdì scorso non era disponibile e ho dovuto rinviare il buco ad oggi. Parlando con l'infermiera si constatava il fatto che noi donne difficilmente ci arrendiamo a chiedere supporto antalgico lì dentro, forse perchè siamo allenate, o educate, a dover tollerare soglie del dolore più alte del necessario. A chiedere aiuto pare sempre di stare a disturbare, al pari dei vecchietti che vanno dal medico per passare un po' di tempo. E lo so che non è la stessa cosa, che ho un problema serio e non fisime, ma stiamo vivendo in famiglia una situazione che non posso raccontare, ma che sta facendo sbarellare tutti quanti (e non sto esagerando) e mi porta a ragionare così. Mio marito direbbe "alla stupidovia".
Mi ha detto di non aspettare più, di non arrivare più a certi livelli, di chiedere terapia di supporto senza che debba essere l'oncologo a dovermici spedire durante la visita mensile. E non ha mica torto. E mi sa anche che seguirò questo consiglio.
Perchè? Perchè eliminare gran parte del dolore, anche se si tratta di una cura palliativa, mi ha fatto passare le giornate molto più serenamente. Sapete cosa vuol dire abituarsi al dolore? Significa che diventi acida ed astiosa ma non te ne accorgi, se ne accorge chi ti sta vicino, e chi ti sta vicino ti infastidisce, dai la colpa del tuo mal-stare alla loro presenza e invece sei tu che hai i nervi sottili come fili di nylon, perchè sono impegnati costantemente a tenere per le corna un toro che preme per spingerti a terra. Sei intollerante all'aria che respiri, ma fai l'eroina e pensi "sono cazzuta a mille". Insomma, ti convinci di avere un periodo in cui tutti ti stanno sulle palle, mentre invece ti stai sulle palle da sola.
Tolti tre quarti del dolore, tolto il novanta per cento dell'ansia.
E le conseguenze sono state:
-un intero pomeriggio, quello di sabato, trascorso con una cugina e i suoi bambini che non vedevo da più di tre anni, senza dovermi chiedere prima di dirle di sì "lo reggo o non lo reggo un pomeriggio intero con una visita in casa?". E' stato piacevolissimo.
-L'intera domenica mattina passata ai fornelli a cucinare verdura per riempirci il frigo.
-l'inizio del giro dei colloqui con i professori, lunedì mattina ho inaugurato il tour del primo quadrimestre con l'insegnante di ginnastica senza dovermi chiedere prima di partire "e se mi viene l'attacco d'ansia mentre aspetto?".
-Tre brevi giri per negozi ieri mattina, a spendere soldi per il mangiare per i gatti e per gli ultimi acquisti dei pensieri natalizi da spedire alla parte di famiglia che è rimasta a Venezia, come faccio ogni anno da ormai diciannove anni, senza dovermi chiedere prima di partire "e se trovo coda alle casse e mi sento mancare la gamba sinistra?".
-Il ritorno dalla parrucchiera dopo nove mesi, ieri pomeriggio, per sistemare la zazzera ricresciuta alla porcospino-andante, senza dovermi chiedere prima di andare "e se mi sale l'ansia mentre sta tagliando, o mi prende il crampo all'anca, che fo?".
E sono ansie mica da poco, sapete. Chi soffre di ansia sa quanto poco scontato sia il non doverci necessariamente fare i conti, è quasi una sorpresa di cui ci si rende conto solo a posteriori.

Insomma, un altro vivere, che spero duri il più possibile. Mi sembra quasi di aver ritrovato un quadratino di normalità, o meglio, di una quotidianità che mi piace. Quella quotidianità in cui anche la guerra di nervi con mio figlio quindicenne, per quanto feroce e costante, mi dice che posso fare finta che sia tutto a posto, perchè comunque ho un pezzo di problema in meno.
Che poi oggi io sia comunque fuori con i sentimenti e con lo stomaco stretto perchè il cucciolo di muflone/bollitore di testosterone  mi abbia per l'ennesima volta fatto vedere i sorci verdi e prendere seriamente in considerazione l'uso alternativo del manico della scopa (giuro, ci è mancato tanto così /-/, fa parte della coreografia.






venerdì 22 novembre 2019

Probabilità, imprevisti e segnalino a damigiana

Ieri mattina sono stata a fare il prelievo mensile, e stamattina come da prassi sono stata a visita oncologica. All'ordine del giorno c'erano solo:
-visione dell'esito del prelievo
-consegna del referto e prenotazione della prossima visita (20 dicembre)
-consegna della terapia per le prossime quattro settimane
-iniezione di denosumab.
-filata a casa felice e contenta e ripresa dei miei lavori domestici, possibilmente previo un breve giro da Tigotà per cavolatine varie che so che sono in sconto e io sono tanto ma tanto golosa di cavolatine 😀 (La scusa del consolatorio regge sempre bene, è la parte pheega dell' avere una malattia importante).

E invece è andata così.
Ho trovato parcheggio un po' lontano dall'ingresso dell'ospedale (appena mi arriva il verbale della revisione di invalidità fatta la settimana scorsa faccio richiesta del talloncino per il parcheggio per i disabili, visto che in commissione mi hanno già detto che devo assolutamente averlo), perchè sta diventando davvero difficile. Sicchè sono salita con le stampelle. Ora, va detto che il mio oncologo è solo la seconda volta che mi vede camminare con le stampelle. E' vero che me le ha prescritte l'ortopedico assieme al busto, ma è altrettanto vero che se trovo parcheggio a una distanza minima dall'ingresso dell'ospedale non sto a zompettare a quattro gambe: sopporto un po', tanto poi la maggior parte del tempo lì dentro la passo seduta. E comunque non sono tipo da lamentarsi facilmente del dolore, per un meccanismo un po' contorto della mia assurda psiche: più mi lamento e più mi si para davanti la causa del mio dolore, più mi ricordo perchè sto male e più mi deprimo, perciò per quanto possibile evito il primo passaggio così anche gli altri non seguono a ruota. E poi soffro di dolori articolari da ormai dieci anni, vai a sapere quali sono da metastasi e quali da artrite... Io parto positiva (nel contesto, si capisce) e penso all'artrite, all'umidità e avanti su questa linea. Infine, dato da non trascurare, non sono un maschio. Capite ammè.
Comunque andiamo avanti.
Il mio oncologo mi vede, fa la faccia perplessa, e se ne esce con "non sono abituato a vederti così. Sta cosa non mi piace". 
E se non piace a lui, a me piace ancora meno.
Mi visita a fondo, cosa che non fa quasi mai (perchè finchè gli dico che va tutto quasi bene... logico). Linfonodi del collo e sotto le spalle, polmoni, fegato, milza, parete mastectomizzata, palpazione seno superstite e relativi linfonodi ascellari. Mi tocca il lato sinistro del bacino ed escono due lacrimoni formato damigiana. Cazzo se fa male.

Gli ho chiesto se può essere l'artrite che cavalca, non ho avuto il coraggio di chiedergli il peggio. Mi ha risposto che si, ci sta, visto che ultimamente ho dolore anche alle piccole articolazioni soprattutto al mattino, ma una visita reumatologica sarebbe perfettamente inutile visto che qualsiasi farmaco antireumatico andrebbe a cozzare con la chemioterapia, e visto che l'unico farmaco che la reumatologa sarebbe in grado di darmi è il cortisone, tanto vale che me lo dia lui e risparmio una corsa al Big Hospital.
Morale: mi ha trattenuto un'ora e mezzo in sala chemio, in poltrona, a fare flebo di non so cosa (quattro bussolotti tra cortisone, lavaggio e due sostanze il cui nome non mi è dato sapere).
Sapete cosa adoro del mio oncologo? Che con lui le cose le posso discutere, spiegazioni me ne dà sempre, ma in dieci anni di conoscenza reciproca lui deve aver imparato che io sono sempre propensa al "farmaco in meno se si può", perciò quando sa che "proprio non si può" mi dà l'ordine col sorriso, ma perentorio. Questo lo specifico perchè ho chiesto se potessi evitare la terapia di supporto e farla a casa per un sacco di ovvii motivi, e lui col suo solito tenero sorriso mi ha calato il suo secco NO-TU-VAI-DI-LA'.  
 Non ho preso bene questa cosa. Non ho preso bene il dover tornare in sala chemio anche se solo per la terapia antalgica, non ho preso bene il dovermi far forare di nuovo il port per una terapia anzichè per un lavaggio, non ho preso bene il dover stare lì un'ora e mezzo fuori programma, non ho preso bene il dover raccontare l'ennesima balla a mio figlio per spiegargli che non mi avrebbe trovato a casa alle due perchè "sono a fare una visita e ritardo perchè è pieno di gente, apriti con le chiavi di scorta e fatti due toast, non andare dalla nonna perchè prima delle tre deve uscire che ha un impegno". Non ho preso bene il fare i conti senza filtri con la consapevolezza che tra le due o tre possibili cause del dolore che mi sveglia di notte da settimane ci sia anche il peggioramento dello schifo. Sedermi in sala chemio con altre quattro donne che stavano lì per lo stesso motivo (il venerdì in vena fanno solo terapie di supporto, non chemio) me lo ha sbattuto in faccia di nuovo. E poi odio quella stanza, ho preso in odio quelle poltrone così comode e così pregne di ricordi, odio quella saracinesca sempre a metà altezza perchè ci batte il sole contro tutta la mattina, odio l'odore di farmaci e disinfettanti che c'è lì dentro, odio quel televisore sempre acceso, odio il momento in cui arriva l'infermiera con le braccia cariche di bussolotti col tuo nome scritto sopra e li appoggia sulla mensola sotto al televisore tutti in fila come soldatini pronti a marciare. Mi sento un po' come quando odoro il latte caldo e mi sale la nauesa solo perchè da piccola mi faceva venire il mal di pancia, da quasi quarant'anni il latte caldo non lo bevo più (perchè a un certo punto la mia mamma, latte-addicted, si è dovuta arrendere all'evidenza: non erano capricci, stavo proprio male), ma la connessione tra latte caldo e malessere non si è mai schiodata dai miei neuroni. Così in quell'ora e mezzo di bevuta alternativa ho lasciato cadere in silenzio le lacrime che dovevano cadere, ho chiacchierato un po' con le ragazze del mio gruppo, e me la sono fatta passare.
Del resto sono diventata davvero brava a dimenticarmene per 26 giorni su 28.   Mi dico brava da sola.

In ogni modo, stavolta ho vinto (oltre al rifornimento di capecitabina e vinorelbine fino al 20 dicembre) una iniezione al mese di cortisone a lento rilascio (da iniziare la prossima settimana, perchè quasiasi sia il cocktail che ho bevuto oggi mi copre per un po'), e l'anticipo di un mese degli esami di stadiazione. Mi prenotano una risonanza magnetica completa da fare entro metà dicembre, lunedì dovrebbe chiamarmi la radiologia per darmi la data. Vuole andare a fondo e alla svelta, per fortuna.

Però guardiamo il lato positivo. L'emocromo di ieri dice che il midollo si sta riprendendo. Bianchi e rossi non sono ancora nei range, ma solo per poco: i bianchi da 2300 e rotti che erano due settimane fa, sono saliti a 3700 nonostante la terapia. I rossi sono sotto per pochi punti. La chemio precedente sta mollando. Il mio corpo reagisce.

E io ho ringraziato con tutto il cuore e un sorriso a tutti denti il mio oncologo per avermi permesso di festeggiare, due giorni fa, il mio 47esimo compleanno.
 





venerdì 8 novembre 2019

La gabbia

Magone, muso lungo, fatica a parlare, fatica a pensare. Due settimane passate così, in quasi totale apatia. Per cercare di reagire, un paio di pomeriggi fa mi sono costretta a mettermi alla macchina da cucire: ci sono i lavoretti di Natale a cui pensare. La macchina da cucire, col suo "ton-ton-ton" ritmico e l'attenzione che richiede nell'essere adoperata, è sempre stata tra i miei anestetici più potenti (assieme al ron-ron dei miei gatti, alla musica barocca, al coro, a Orgoglio e Pregiudizio in tv e al tavolino da make-up).

E invece niente. Due ore lì a fissarla, a fissare l'ago fermo illuminato dalla lampadina sovrastante. Lo sguardo che passa inerte dall'ago al piccolo ferro da stiro posato sul bancone della cucina, immediatamente alla mia destra. Un quarto d'ora netto di lavoro-lavoro in due ore, spezzettato in più frammenti di uno, massimo due minuti l'uno. Nella testa, il vuoto. L'unico pensiero che riuscivo a formulare: "se inizio a cucire devo fare un gaso (leggi: cucitura diritta nel mio dialetto) e devo alzarmi per aprire gli orli dei lembi cuciti e appiattirli col ferro da stiro, un gaso e una stiratura, un gaso e una stiratura, un gaso... Ad ogni passaggio alzarmi, girarmi e fare un passo, ad ogni alzata dalla sedia dolore ai femori, fitte, e di nuovo dolore e fitte nel risedermi. Una, dieci, venti volte. No, non... no".
Pomeriggi così. Giornate tese, con l'attacco d'ansia sempre lì lì per partire. Tre attacchi di cervicali in cinque giorni, qualcosa vorranno dire. Senza capire il perchè. Senza trovare il nodo da sciogliere nei meandri della mia testa, nella mia gola. Lo stomaco chiuso. Zero voglia di uscire. Zero voglia di intrattenere una qualsivoglia conversazione con chiunque. Nemmeno con mio marito. Messaggi whatsapp ricevuti e bellamente ignorati. Richieste di aiuto e di sfogo sul mio gruppo bellamente ignorate anch'esse, tranne quelle di determinate persone che usano quel garbo che non mi fa mai sentire "ad uso discarica".
L'apatia.
Poi l'incontro con la psicologa. Giri e giri di parole su discorsi che non c'entravano apparentemente nulla con il mio problema di ansia: il Power, il Power e la scuola, il Power e le nostre litigate quotidiane tra mamma e adole-coso. Non volevo parlare di me. Non ho voglia di parlare di me con nessuno. Cosa c'è da dire? Le cure vanno avanti, i capelli li ho, devo spiegare un'ansia che io stessa fatico a decifrare e sperare anche di essere capita? No, quella fatica non la voglio fare.

Però arriva quella parola buttata lì, come per caso, che fa esplodere tutto. Una esplosione violenta, breve ma intensa, che fa cadere il muro, che fa capire tutto. Una esplosione di rabbia pazzesca. Una rabbia che non sapevo di avere.
 La parola "GABBIA".
Quella gabbia in cui mi sento incastrata, come era incastrata nel muro la mia Maya stanotte nel sogno. Ho sognato Maya incastrata nel muro, un sogno orribile. E io piangevo e urlavo perchè non riuscivo a liberarla da lì, chiamavo aiuto e non arrivava nessuno, dovevo scavare nel muro con le mie mani nude, e non ci riuscivo, e lei miagolava, chiamava aiuto. Mi spellavo le dita, mi staccavo le unghie, ma non serviva a niente.
Maya, la mia gatta tigratona, quella che si crede (secondo me) un cane,  perchè mi sta sempre appiccicata ovunque io mi muova, e piange se la chiudo fuori dal bagno quando devo... beh, quando sono in bagno. Maya, la mia ombra.

Maya non a caso era nel sogno. Maya ero io.

Paradossale come una sola parola, se quella giusta, quando riesce ad uscire faccia rimettere in moto una macchina da cucire e la faccia lavorare ininterrottamente per due ore.
Non solo. La fa smontare, ripulire fin dentro i più piccoli ingranaggi raggiungibili da pennelli pennellini e pinzette, rimontare, passare con panno in microfibra imbevuto di candeggina e sgrassatore su ogni parte esterna lavabile e sul coperchio. Lavoro che non facevo da boh, due o tre anni di sicuro, e comunque mai con questa cura certosina. E l'ha anche fatta decorare con quello che mi ha suggerito lo sghiribizzo del momento: tessuto doppiato con nastro biadesivo e qualche cuore di legno.

E rimetta in moto una lingua incollata al palato dopo due settimane.

Ps.: ho rifatto il prelievo di controllo ieri. Sono ancora neutropenica, neutrofili in discesa, dai 2700 di due settimane fa agli attuali 2300. Non così bassi da dover interrompere la terapia o fare i fattori di crescita, ma sufficientemente bassi per mantenere le precauzioni igieniche atte ad evitare malattie stagionali o infezioni di qualsiasi genere. Gli eventuali antibiotici che dovessero rendersi necessari, con la terapia che sto facendo, cozzano.


domenica 27 ottobre 2019

Le prime tre settimane di cura

Sono tornate 😁😁😁.

Ciglia, sopracciglia, ogni lineamento del mio viso è tornato a posto. Niente più brutte macchie sulla pelle, solo grigiore, ma ci metto anche un po' l'età dentro. Ma che soddisfazione la mattina in cui ho rimesso per la prima volta dopo mesi il mascara! Sono talmente narcisista che mi sono segnata il momento così (schiavi dei selfie siamo, anche molti di noi over 40 😂😂😂)


Alzarmi la mattina guardandomi allo specchio e ritrovare la "me" che conosco da sempre, è una bella cosa. Come siamo fatte noi donne... Diciamo spesso che la parte esteriore è l'ultima nell'ordine di importanza delle cose, ma siamo sincere: piacerci ci piace.
Sono ancora gonfia di cortisone, ma ci vuole il suo tempo perchè se ne torni al mittente. Niente dieta ha detto l'oncologo, sotto chemio la dieta non si fa. Niente movimento, perchè purtroppo finito l'effetto del cortisone sono tornati in cavalleria i dolori alle anche e al femore sinistro. Ho ricominciato da circa tre settimane la terapia del dolore, ma ci vuole del tempo per arrivare a dose piena (chi la fa sa che bisogna arrivarci per gradi) e perchè faccia effetto.
Ma pazienza. Pazienza, e stampelle quando devo percorrere a piedi più di una ventina di metri. Ormai ci ho fatto l'abitudine, ma dagli sguardi delle persone credo siano gli altri ad esserne più sconcertati o spaventati (impietositi?) che non io. Per me sono un mezzo come un altro per essere il più autonoma possibile e per agevolarmi le cose, al pari dei miei occhiali.

La chemioterapia nuova. Eh, ho iniziato la quarta settimana e ho scoperto il giorno prima del controllo di venerdì scorso che per le prime tre settimane ho fatto una cazzata: ho sbagliato i dosaggi. Sul referto era scritto "40mg di Viorelbine (2cp da 20mg) il lunedì, mercoledì e venerdì", ma nella mia testa avevo registrato "una cp da 20mg". Quando me ne sono accorta, giovedì sera, sono andata in panico. Il pensiero faceva l'altalena da "oddio adesso il tumore ha ripreso a crescere" a "da domani devo prendere la dose giusta e chissà quanto vomiterò!". Stare tranquilla? TranquillissimAHAHAHAHA 😱
Ormai quello che è fatto è fatto. Ho iniziato la dose giusta e per ora (sono passati solo due giorni) tutto in regola. Per il resto non so che dire, se non che mi stanco molto facilmente e devo perciò dosare le forze e frammentare i tempi di lavoro e di attività in genere. Per ora altri effetti collaterali non ne ho.
Ogni tanto, in particolare quando faccio le Navelbine, capita una mezza giornata così
Ma finchè va così ok, penso che tutto sommato posso prendermela comoda senza fare del male a nessuno, non ho bambini piccoli a cui cambiare il pannolino o da ritirare all'asilo o capricci da sedare. Sono fortunata? Oh yes. Nel contesto lo sono.

Sono stata a visita oncologica venerdì, l'altro ieri. Ho ancora le analisi del sangue sballate con un pot-pourri di segni "<", la cosa più rilevante è che sono ancora neutropenica. Non tantissimo (ho i bianchi sui 2.700 e qualcosa), sicuramente è lo strascico della chemio precedente finita troppo poco tempo fa perchè il midollo si sia ripreso al cento per cento. Mettiamoci poi la chemio attuale che ci aggiunge il suo carico. Il prossimo controllo è previsto per il 22 novembre (con prelievo il 21), ma a metà strada (il 7 novembre) è necessario un prelievo di controllo, e nel caso fare una stimolazione del midollo (siccome non ne ho fatte a sufficienza... vabbè). Lo stesso giorno approfitto per farmi lavare il Port-a-cath.
L'oncologo dice che devo riposare quando possibile e il più possibile, non posso fare altro per aiutare il mio fisico a sostenere la cura: mangiare bene e riposare. E a me questa cosa fa montare la rabbia quando ci penso. Ho nostalgia, una enorme nostalgia di qualcosa che non avrò più, mi sento incastrata in un corpo che fatico ad accettare. Però c'è da dire che ho dalla mia parte risorse che mi permettono di non limitarmi a guardare il soffitto, le mani vanno di continuo e creano, scrivono, giocano con lo smartphone, chattano con le amiche, la noia non è uno status che mi appartiene.  Come si dice, bisogna fare di necessità virtù.
Sono sempre nervosa, sempre tesa, e spesso faccio pensieri negativi. Non so quanto di questo persistente nervosismo sia da attribuire ai farmaci e quanto allo stress di due anni di camminata su una corda sospesa, sempre nel tentativo di mantenere l'equilibrio bilanciando l'asta che tengo fra le mani. C'è anche da dire che nelle ultime settimane in famiglia (non direttamente in casa, per fortuna) si è venuta a ricreare (si, perchè è il bis di quanto successo circa un anno fa o poco più) una serie di situazioni molto pesanti, che mi hanno abbassato al minimo storico il livello di tolleranza delle lamentele altrui per emerite cazzate. Ho tenuto dentro per più di un mese un groppo enorme. Ho chiuso chat, ho evitato contatti con determinate persone, ho inventato scuse per non rispondere a certe telefonate. Ho smesso di essere sempre quella che deve capire, scusare, lenire. Ho anche urlato, alla fine.

Ieri mattina mi sono svegliata piangendo, pensando a tre amiche in particolare che non ce l'hanno fatta, e alle quali ho voluto un bene immenso. Vorrei avere la loro forza, il loro coraggio. Il resto del pensiero che ho fatto lo tengo per me, perchè non è bello da scrivere. Sfogare il pianto, però, mi ha aiutato a tirare fuori anche il resto: "morirò, ma non oggi di certo", e questo mi ha fatto scendere dal letto e iniziare la giornata.





venerdì 4 ottobre 2019

Metronomica starter pack

Ed eccoci qui. Io e voi, voi ed io. Le mie caramelle nuove.
(Dove c'è la striscia orizzontale sulla confezione della Capecitabina, sotto c'è scritto il mio cognome. Ebbene si, terapia personalizzata).
Oggi è stata, "sta stando" una giornata particolare ed emotivamente impegnativa. Dopo tre quarti d'ora di preambolo con chi ci ha fatte conoscere, l'oncologo (perchè oh, per ricevere i personaggi importanti bisogna quantomeno documentarsi in anticipo su chi sono e cosa comporta la convivenza), una sosta in sala terapia per fare la puntura della vostra cugina acquisita "Xgeva" e un lavaggio del Port con relativo controllo (da qualche giorno mi dà fastidio, merito di una delle mie gatte che ci ha affondato sopra una zampa di straforo), ci siamo finalmente incontrate. Pochi preamboli, vi siete tolte il cappotto già appena entrate in casa, immediatamente dopo l'ora di pranzo. 
Oggi sono qui in compagnia del pensiero di voi, che da qualche ora state per la prima volta lavorando dentro di me. Fate le brave, per favore. E intendo "andateci piano", che da quando ho subìto le reazioni allergiche a due chemioterapici in tutti questi anni, ogni volta che incontro un farmaco nuovo sto sul "chi vive" per ore, la testa va, l'ansia fa il suo sporco lavoro e mi impedisce di accettarli dal primo istante come opportunità di guarigione e non di condanna. 
Avrei voluto trascorrere queste ore in maniera diversa: mi ero messa in testa di fare qualcosa di bello per non pensarci, per non fantasticare sugli effetti collaterali che potreste darmi pensavo di mettermi a cucire, fare un po' di giardinaggio, cucinare, qualsiasi cosa che mi obbligasse a tenere l'attenzione concentrata su altro. E invece sono qui, con la voglia di fare niente, a scrivere di voi. Sto cercando con tutte le mie forze di pensare positivo, di dare all'idea della convivenza con voi un colore che ricordi la vita, quella vita che spero mi aiutiate a preservare. Ci sto quasi riuscendo, sapete. 
Le ore passano, siete dentro di me, non mi state ancora creando fastidi, e vi ringrazio. Ho l'orecchio teso teso verso il mio corpo, per captare la vostra presenza. Ho sonno. Ho tanto sonno, vorrei lasciarmi andare, ma ogni volta che ci provo mi scende una lacrima non voluta, e torno in me. Perchè la consapevolezza di dover dipendere da voi non per guarire ma per provare ad allungare la vita, è ancora difficile da digerire. 
Perciò vi prego, aiutatemi anche voi ad accettarvi nel modo migliore. Fate il vostro lavoro, tenete ferma la Bestia Bis, mostrate al nostro oncologo che la fiducia che ripone in voi è ben meritata. Lavoriamo insieme, voi ed io. 


Ho iniziato oggi Capecitabina e Vinorelbine. Speravo di poter rimandare a lunedì la partenza, il mio oncologo non si fida a lasciarmi scoperta ancora, quindi avanti: tre compresse al giorno di Capecitabina, più una a giorni alterni di Vinorelbine. Devo andare in ospedale a ritirarle una volta al mese (tre settimane solo per questo primo blocco, per vedere come tollero la cura ed eventualmente aggiustarla subito), il giorno prima faccio un prelievo per controllare lo stato del midollo
Da qualche giorno ho ricominciato ad assumere la terapia del dolore. Finito il cortisone un mese fa, il dolore alle anche e al femore sinistro è tornato prepotente. Ci vorrà un po' perchè inizi a sentirne i benefici, nel frattempo ho dovuto riportare nel bagagliaio della mia auto le stampelle, perchè per qualche decina di metri riesco a camminare in autonomia, di più no.

La prima domanda che mi fanno quando spiego cosa sto facendo è: "per quanto tempo?". Ovvio. Con la chemio in vena si è abituati a ragionare in termini di "numero di cicli". Con questa no, non c'è scadenza, o meglio, finisco nel momento in cui la malattia riprende a crescere, e si tornerà al vecchio sistema.
La seconda è "perderai i capelli?".
NO
E questa cosa mi fa pensare a quanto nell'immagine comune la chemioterapia sia strettamente legata all'immagine della calvizie. Fortunatamente oggi ci sono chemioterapie che NON fanno perdere i capelli, ma benchè questo sia il problema minore quando si arriva al quarto stadio, questo aspetto della faccenda mi fa pensare "chissà quante altre persone stanno facendo chemio, sono malate di tumore, mi passano davanti ogni volta che esco col loro fardello nel cuore e nel fisico, e non me ne accorgo solo perchè il loro aspetto fisico non lascia trasparire niente. Chissà se vengono credute quando confidano il loro stato a qualcuno cercando comprensione. Perchè i capelli... ah, i capelli... Se hai i capelli stai benone". Giuro, me lo sono sentito dire più volte.

Sta calando la luce del giorno, sono quasi le 18. Oggi pomeriggio non ho combinato praticamente niente, a parte scrivere e stare mezz'ora al telefono con un'amica che non sentivo da mesi (telefonata che mi ha scaldato veramente il cuore). Ora spengo il PC ed esco a ritirare la biancheria asciutta, stesa stamattina prima di partire per il Little Hospital. Non so nemmeno se la piegherò. Ma oggi non mi sento affatto in colpa per essermi presa queste ore senza nulla in mano (detta da una che non guarda nemmeno un telefilm senza tenere le mani occupate con l'uncinetto, un disegno da colorare o qualche partita a giochi random sul telefono).
Queste ore sono state per me. E va sacrosantamente bene così.








martedì 24 settembre 2019

Parametri che cambiano

Stadiazione finita.
E' strano come cambiano i parametri per valutare gli esiti dei propri esami a seconda delle prospettive che ci si parano davanti.
Quando fai mammo ed eco, sei felice se gli esiti sono "ndp".👍
Quando fai mammo ed eco e sei costretta a fare un agoaspirato, sei felice se gli esiti sono "è benigno". 👍
Quando fai TAC e scinti prima di sottoporti alle cure per un tumore che ormonale non è, sei felice se gli esiti sono "tumore circoscritto al seno, organi interni e scheletro ndp". 👍
Quando fai mammo ed eco ad un seno solo più diagnostica random dopo aver fatto intervento, chemio, radio per un seno che non c'è più, sei felice se gli esiti sono di nuovo "ndp".👍 Cioè, non proprio felice-felice, ma fatti due conti te ne fai una ragione, hai portato a casa la pellaccia ed è ciò che conta.
Quando fai controlli ogni sei mesi dopo un tumore al seno e vanno bene, sei felice se l'oncologo ti dice "signora, ci vediamo tra sei mesi solo con emocromo, eco e mammo". 👍
Quando il cancro ritorna, sei felice quando dopo l'operazione il chirurgo ti dice "signora, abbiamo tolto tutto quello che c'era da togliere".👍 Cioè, non proprio felice-felice, ma fatti due conti te ne fai una ragione, hai portato a casa la pellaccia di nuovo ed è ciò che conta.

Quando diventi metastatica e sei nella 💩 fino al collo, sei felice quando l'oncologo ti annuncia che dopo cinque mesi e mezzo di chemioterapia con relativi scazzi e smazzi che conosci ormai fin troppo bene, due sedute di radioflash non indolori, litigate col midollo e menate varie (vabbè, non serve che rifaccia l'elenco, che mi tedio da sola), tempo di smaltire l'ultima chemio e di fare la stadiazione per la terza volta in un anno ed averne gli esiti... hai cronicizzato la malattia allo stato in cui era un mese prima di iniziarla, sette mesi e mezzo fa. Avete idea di quanto valgono sette mesi e mezzo per un metastatico da triplo negativo? Spero di no.

Cioè hai il cancro ma non sei peggiorata di un filo da otto mesi in qua.
Non sei guarita. Ma sei felice perchè per ora hai cronicizzato. E mica tutte ci riescono. Troppe muoiono in molto meno tempo dalla diagnosi di metastasi, ma tu sei ancora qui, vedi i tuoi oncologi finalmente sorridere e ridere mentre ti vengono incontro in sala d'attesa, ti dicono "sei stata brava", e a te viene spontaneo rispondere "siamo stati bravi insieme, perchè io con la mia forza di volontà senza la vostra scienza e il vostro buonsenso mica ci sarei arrivata ad oggi con sole metastasi ossee. Da triplo". 

Ho cronicizzato, le ossa si stanno riaddensando là dove le metastasi avevano iniziato a mangiarsele, e sono rimasti solo dei lievissimi segni rosei delle recidive cutanee, che quando faccio la doccia sono ancora il motivo che mi impedisce di abbassare lo sguardo mentre mi lavo, tanto è l'orrore che rappresentano.
Era da tanto che non li vedevo sorridere così, i miei oncologi. Quei sorrisi, da soli, sono già il responso.
Sono ancora malata. Ma ho un motivo per essere felice: poteva andare peggio, ma peggio non è andata.

La gente mi vede in foto (cavolo di social...) con la testa ricoperta di capelli che in realtà sono peluria,

fatica a capire perchè giro ancora col turbante, e tu vagli a spiegare che quella peluria grigiastra identica a quella dei neonati 👶 non mi tiene calda la testa una beata ceppa, che i capelli veri arriveranno tra diverse settimane, ma mi dicono che "hai i capelli, finalmente! E' tutto finito!".  
NON-SONO-CAPELLI!
E io so che non è finito un cappero di niente, che non finirà mai, ma smetto di dare spiegazioni perchè chi se ne importa... Il problema è mio e me lo sbroglio io. E me lo sto sbrogliando bene, godendomi la libertà dagli effetti collaterali della chemio anche se ancora mi stanco facilmente e il dolore ad alcune articolazioni ha ripreso a farsi sentire (non prendendo più cortisone...😫), ma dopo mesi di quella pressa fisica tutta particolare che solo chi ha fatto chemioterapia può conoscere, adesso mi pare di essere tornata a respirare. Faccio un mucchio di cose, o almeno a me sembrano un mucchio, dopo mesi di ritmi da bradipo. Ho ricominciato a prendermi cura della mia famiglia, anche se non riesco ancora a fare la spesa perchè fatico a camminare per il tempo necessario a fare il giro del supermercato senza stampelle. Un poco al giorno, ogni giorno il necessario e qualcosa di più, sempre di più. Doso le forze, ma già non avere più la testa in palla per i farmaci mi permette una qualità di vita nettamente più accettabile. Ho potuto ricominciare a frequentare il coro con i tempi del coro e non i miei, ho ripreso a cantare anche in pubblico ieri dopo mesi, e mi è sembrato di aver riconquistato la vetta della mia montagna 🏆.

Tra una decina di giorni inizio la chemioterapia metronomica, capecitabina e vinorelbine. Poter stare lontana dall'ospedale per più di due settimane consecutive sembra strano, ma lascia che sia così và... 🔝🔝🔝








sabato 31 agosto 2019

Non chiamatemi guerriera!!!

Scrivo un post su facebook con la visibilità limitata ai miei contatti: "non chiamatemi guerriera", seguono motivazioni (mi da estremamente sui nervi).
Mi appellano guerriera nei commenti.

Rendo il post visibile a chiunque: mi appellano guerriera nei commenti anche perfetti sconosciuti.

Scrivo "non chiamatemi guerriera" come didascalia sotto al mio nome del profilo su Facebook, cosi rimane sempre in alto tra le prime informazioni che si hanno di me quando si accede alla mia bacheca: mi scrivono "forza guerriera" nei messaggi privati personaggi arrivati a me anche da YouTube o dal blog.

Calco il concetto scrivendo uno status su WhatsApp: "non chiamatemi guerriera" e lo lascio per le classiche 24 ore: mi salutano con "ciao guerriera" anche conoscenze di paese.

Ma la gente che problemi ha


venerdì 30 agosto 2019

At the end of the street

In una mezza giornata, passando direttamente al "via" senza la sosta in ambulatorio oncologico per la visita di rito (tanto il prelievo era  a posto, e il "da farsi" per il post chemio era già stato definito la settimana precedente), il 13 agosto scorso ho fatto l'ultima Abraxane+carboplatino, la 14esima. Sono state ore di una tensione paurosa, tanto che non sono quasi riuscita a dormire nonostante la dose da cavallo di Trimeton che, come al solito da quando ho avuto la reazione allergica al carboplatino, mi somministravano a metà infusione. Tremavo come una foglia, ho tremato per quattro ore consecutive. E lo so, si dovrebbe stare tranquille, dopotutto se c'è un posto sicuro dove sentirsi male è dove possono intervenire immediatamente con la soluzione a portata di mano come l'ospedale (il reparto di oncologia poi è super fornito di ogni possibile antidoto), io non lo sono stata. Da quando nel 2010 ho avuto la reazione allergica al Caelyx, ripetutasi poi con la nona carboplatino, non c'è niente da fare: quando devo assumere farmaci mi prende l'ansia, quell'ansia che paralizza e toglie ogni razionalità, fa partire la testa ovunque.
Comunque è andata, e quando mi sono alzata da quel letto ho salutato materasso, cuscino e pompa di infusione e ho detto ad alta voce (tanto mica c'era più nessuno nella stanza, le altre due mie compagne erano già andate via da un pezzo) "arrivederci il più in là possibile".
Felice. Sono tornata a casa rincoglionita come al solito dai farmaci, ma felice. Talmente felice e fissata nel pensiero "HO FINITO" che nei giorni a seguire ho dimenticato di aver fatto comunque chemio, e siccome ne ho fatta tanta (taaaaaaanta... cinque mesi più un giorno) ho scordato che esiste il famigerato "effetto accumulo", che mi porta ancora ad oggi, a distanza di diciotto giorni, ad avvilirmi perchè sono ancora senza forze, sfinita, desiderosa solo di essere lasciata in pace lontano da tutto e da tutti, soprattutto dai "dovresti" e "potresti" che arrivano da fuori e da dentro di me (che sono i peggiori). Ho perfino chiamato in oncologia (cosa che non facevo per motivi del genere da tipo nove anni, nemmeno con la TC dell'anno scorso ho mai stressato in reparto per dubbi del genere, escluso il "tuono" del fegato dopo la seconda A+C di marzo... Per il resto mi sono sempre arrangiata da sola o con la farmacista) per capire cosa mi stesse succedendo. In tutta risposta mi sono sentita dire la cosa più scontata che potessi immaginarmi: "due settimane, signora, sono NIENTE per pensare di stare diversamente nella sua situazione. Prenda "X" bustine di "TAL" prodotto e RIPOSI, e se entro qualche giorno non riprende fiato venga che facciamo un emocromo". Che sciocca. Credevo di spegnere un interruttore io.

Lasciatemi in pace. Dovrei scriverlo fuori della porta, sul mio status Whatsapp, sulla mia bacheca facebook: lasciatemi in pace. Chiedetemi quello che volete, ma non di alzare le chiappe per voi. Non ce n'è per nessuno. Non ce la faccio. La china va risalita piano piano, e provatevi voi a farvi una pippa di chemioterapia di mesi e mesi dopo che non avete ancora smaltito la chemioterapia, la radioterapia e tre interventi di meno di un anno prima: sareste pezze da piedi anche voi. Adesso sono così, e così voglio rimanere finchè non mi passa. (Lo scrivo per convincermene io, mica per chi legge, che credete? Perchè io punterei ancora a pulire i vetri e andare a trovare mia cugina che sta a 50km da qui e non vedo da tipo tre anni...).

C'è stata una unica occasione in cui ho alzato le chiappe volentieri e senza grande sforzo. Siamo stati ad una cena da amici intimi dieci giorni fa, due o tre ore piacevoli in compagnia, in un paese vicino. Niente chiasso, nessuna pretesa, nessuno sforzo e nessun impegno: solo compagnia gradevole e chiacchiere. Non faceva nemmeno un gran caldo, il che ha reso la serata migliore delle serate torride che sono seguite, tappati in casa con l'aria condizionata accesa.

E' finita. Ho finito questa chemio, lunedì scorso ho finito anche le colazioni dopate che mi rendono le notti insonni o colorate da incubi

e ho finito di contare i giorni della settimana partendo dal martedì (giorno del prelievo) al lunedì (giorno della ripresa totale).
Capitolo chiuso, e come i bambini che ricevono un premio a fine anno scolastico anch'io ho avuto i miei (perchè si, sono veniale, punto). Mi sono regalata un set composto da piano di lavoro autorigenerante con tanto di rollercut e squadra da sarta. E mio figlio mi ha fatto una torta di mele (adoro!).

Perchè si. Perchè porcapaletta, ce l'ho messa tutta, il morale va aiutato, e a me questi aiuti piacciono tantizzimo: mi fanno fare progetti. E di progetti si nutre la voglia di vivere.

Lunedì 2 settembre inizio la terza stadiazione delle metastasi con la scintigrafia ossea (odio profondo per quell'esame, o meglio, per il luogo dove devo farlo, il Big Hospital), a seguire il 10 Tac, per terminare il 17 con la visita oncologica. E poi si riprende la chemio, di cui ho una fottutissima paura per il motivo di cui sopra (farmaci nuovi da prendere). Faccio fatica a non pensarci. Per non farlo mi aiuto usando le mani, buttandomi su lavoretti creativi colorati che non richiedono alcuno sforzo fisico se non quello delle dita delle mani.
Ma di quelli parlerò in un altro post.




sabato 27 luglio 2019

Never give up

Sono qui, ci sono ancora eh. Stavo solo continuando a vivere. Mi ero fermata altrove, più presente nei social, tra le altre cose pensando a come portare avanti questo blog. Meno immediato dei social ma più personale.
Non era nato per parlare di malattia. Era nato per parlare della mia esperienza di mamma in primis, per raccontarmi, perchè mi piaceva e mi piace scrivere delle piccole cose quotidiane che mi succedevano e mi succedono, e condividerle. Quando i blogs erano ancora diari virtuali, non spazi per diventare qualcuno o guadagnarci qualcosa di diverso dalla soddisfazione personale. Altri tempi, i tempi di Splinder. Ma non è su questo che voglio soffermarmi oggi. Tornare dopo mesi a buttare giù ricordi e retorica non è quello che avevo in mente.

Cè che oggi sono ancora mamma, ma mamma diversamente da come lo ero agli albori del blog, e il mio posto ora nel fare da narratrice di ciò che è la mia mammitudine ha cambiato fila: me ne sto, come è normale, diverse file indietro. Per fare un esempio concreto che dia l'idea di cosa io stia parlando, ora sono le quattro (quasi) del pomeriggio, io sono qui a scrivere e ho un bel po' di tempo a disposizione per farlo, mentre mio figlio è al centro estivo parrocchiale. A fare l'animatore. Ad aprire le sale con le chiavi dell'oratorio, e probabilmente a prendere per il coppino due bambini delle elementari che se le danno di santa ragione per dividerli, non ad aspettare il pane e Nutella in fila mentre gli si asciuga il portapenne di Das fatto un quarto d'ora fa. Per dire. Anzi, per la precisione oggi sta preparando la sala grande con gli altri animatori per la festa di fine centro estivo di stasera. Festa alla quale, per inciso, madri e padri degli animatori che eventualmente volessero partecipare, sono caldamente invitati a presentarsi in incognito e tenendo il profilo basso. Ufficialmente un adolescente non ha genitori, si è autoriprodotto: lo vieni a sapere, e lo devi accettare, quando ti viene caldamente imposto di non attenderlo alle porte della scuola quando c'è lo sciopero delle corriere, ma devi aspettarlo nel parcheggio trenta metri distante, assieme alle altre madri o padri, rigorosamente senza scendere dalle auto: vuoi mica che si sappia in giro che la mamma lo va a prendere a scuola? E poi, piove? Meglio zuppi di pioggia per aver percorso quei trenta metri in autonomia, che con la testa asciutta sotto un ombrello portato appositamente dalla premura di chi ti ha cambiato il pannolino solo l'altro ieri.

Ah, che bella l'adolescenza. Che bello avere un figlio di quindici anni e mezzo alto una testa e mezza più di te, col 46 di piede e l'odore di muflone da cinque minuti dopo essere uscito dalla doccia al momento in cui vi rientra, che parla per lo più a monosillabi ("mmm... gnu... mboh... bah...") e col quale litigare ogni santo giorno per ogni sacratissimo motivo, ma scorgere tra un mugugno e l'altro i segni di quel grande lavoro della sua crescita che ti dicono anche che insomma, tanto malaccio tu mamma non hai mica lavorato.  E in fin dei conti ok, è stato promosso in seconda liceo con mezzo calcio nelle chiappe con tutti 6 e 7 (se esiste un santo protettore dei professori dei licei, benedica la magnanimità della sua insegnante di arte che gli ha tirato su mezzo voto per evitare il rimando a settembre), ma comunque non è stato segato, e già il fatto che FINALMENTE dopo otto anni di scuola e tre di asilo ha trovato dei compagni con cui imbastire dei rapporti sociali più accettabili (anzi, dei rapporti sociali - punto - , che prima... no, stendiamo un telone pietoso) per me è una conquista pari ad una vincita al superenalotto. Circa. Quasi.

Ma veniamo a me. Aggiorniamo anche la situescion protagonista del momento. Che appunto, il blog non era nato per questo, ma oggi questa la mia vita è, c'è poco da fare. E lo sarà per sempre. E a chi venisse in mente di dirmi che forse mi sbaglio, in un apprezzabilissimo tentativo di tirarmi su il morale, rispondo una sola cosa.
Sappiate che sono perfettamente conscia di quello che mi sta accadendo. So anche perfettamente dove sto andando. Che sia un boccone amaro da digerire è scontato. Che umanamente sia un percorso durissimo è un problema mio. Ma sappiate che non ho bisogno di balle, perchè i miei oncologi per primi hanno il divieto di raccontarmele. Non potrebbero nemmeno: con loro ho sempre parlato chiaro e con confidenza, guardandoli dritti negli occhi. Non ho quindici anni e non ne ho ottantcinque. Se non siete oncologi, non azzardatevi a fare previsioni o buttarmi addosso informazioni reperite qui e là sul web ad cazzum. Sono metastatica da triplo negativo. La differenza rispetto agli altri tipi di tumori al seno è abissale. Non è un gioco che lascia spazio a molteplici tipi di finali, nè ad un numero illimitato di opzioni terapeutiche, o comunque al ventaglio di opzioni che ha il più difficile dei tumori ormonali e/o Her+. Qualsiasi oncologo lo sa. E lo so anch'io.

Sto facendo ancora chemioterapia. Abraxane e Carboplatino, due settimane si e una no, martedì scorso mi sono pappata la dodicesima dose di quattordici. Ho anche iniziato i bifosfonati e l'assunzione di un integratore di calcio e vitamina D.
Non la reggo male, di sicuro di tutti i protocolli fatti dal 2010 ad oggi è quello che tollero meglio: tre giorni di forte malessere, poi mi riprendo. Capelli, ciglia e sopracciglia, ovviamente, sono andati, il midollo è in sciopero fisso con neutropenia a go go (sono diventata una assidua consumatrice di Nivestim, i fattori di crescita per i white brothers), e in cambio ho guadagnato cinque o sei chili di ritenzione idrica da cortisone, facciotto di luna, occhiaie caratteristiche, occhi gonfi, bocca che sa di sale per 24 ore dopo ogni chemio, nausea, varie ed eventuali. Tutto gestibile e tutto superabile. Non so se per le dosi di cortisone che mi sostengono o per le sedute/bomba di radioterapia che ho dovuto fare sulle metastasi più brutte (acetabolo sinistro e una vertebra) o il mix di entrambe le cose, ma da tempo ormai ho anche smesso di assumere la terapia del dolore. Non ne sento più la necessità.
Da mesi ormai, al mio risveglio, sono così.
Segni, quelli del viso almeno, che dopo infinite prove sono riuscita a nascondere in maniera per me abbastanza accettabile. Perchè si, perchè nonostante la mentalità comune vuole che visto che stai sopravvivendo dovresti già essere grata di questo e fregartene degli aspetti secondari della minestra (ma vi accontentereste, voi, a 46 anni, di assomigliare ad una botte informe sapendo di poter fare di meglio con poco? Io no), io agli aspetti secondari di questo minestrone mi ci dedico come antiansia. La mattina, quando mi alzo, mi si piazza davanti allo specchio una immagine che detesto, questa è la verità. E la si smetta, per favore, di dire che sono bella ugualmente, è un insulto alla mia intelligenza, perchè non vedo dietro di me la fila per assomigliarmi. Fa un male boia. Farebbe un male boia a chiunque.
Insomma, in dieci, quindici minuti, anche di più se ho tempo (perchè voglia ne ho sempre) provo con le mie risorse fatte di colori a farci pace almeno finchè non è ora di tornare a dormire. E mi ci diverto pure. In poche parole, mi siedo al tavolino del make-up e torno a sorridere.


 Che si possano disegnare le sopracciglia è noto, ci sono centinaia di tutorial. Ma da sola sono perfino riuscita, con orgoglio, a camuffare l'assenza delle ciglia. Lo sapevate che sono una patita del make-up? Se "no", adesso lo sapete. 


La vita, in questi ultimi quasi cinque mesi, ha assunto un ritmo serrato. Di solito facevo chemio il mercoledì, ma siccome due settimane fa ho dovuto saltare una infusione perchè i bianchi erano esageratamente bassi nonostante l'iniezione e la settimana di pausa (1400, non gravissima, ma una neutropenia non accettabile per tollerare un ciclo di chemioterapia), la successiva è stata spostata di sei giorni anzichè sette, quindi le ultime quattro cadono di martedì.
E dunque: lunedì prelievo e psicologa, martedì (se il prelievo è a posto) chemio (a letto anche quest'anno, per via dei forti antistaminici con cui mi premedicano),

 mercoledi/giovedì/venerdì chemiobotta (leggi: poltrona, letto, semidigiuno, stipsi, giramenti di testa, sfinimento, mal di schiena, e guai a chi fiata o sbrano) e Nivestim, sabato e domenica recupero tra casa/cucina e poco altro.
Ogni due chemio c'è la settimana di pausa, la settimana in cui il recupero è un po' più lento (giustappunto, per questo è necessaria), ma riesco a fare una vita abbastanza normale. Che non vuol dire la vita di prima, ma almeno durante gli ultimi giorni prima di ricominciare l'ambaradan riesco a muovermi un po' di più, incontrare qualcuno, fare e ricevere visite (sempre se non sono neutropenica), uscire, andare in qualche negozio, partecipare al coro, occuparmi del mio povero giardino trascurato.

Ma c'è da dire anche che ultimamente si fa sempre più sentire la fatica, la stanchezza la fa da padrona. Devo dosare le forze. Si è innescato l'effetto accumulo, come è normale in qualsiasi protocollo chemioterapico, e non è automatico farsene una ragione e dare al fisico il tempo in più di cui necessita man mano per riprendersi. Certe giornate sono davvero eterne, pesanti, soprattutto per la testa che vaga per i fatti suoi, e (forse per la chimica che mi buttano in flebo, non lo so) nel giorno peggiore post-infusione (il terzo) fatico anche a rimanere razionale e a ricordarmi perchè lo sto facendo, gli attacchi di ansia vanno a palla, e l'unica cosa che mi dà sollievo oltre al riposo e ai miei salvagenti chimici è il silenzio, l'assenza di odori, di stimoli. Con l'unica presenza dei miei gatti, e da lontano quella delle ragazze del mio gruppo (di cui racconterò in un altro momento, magari), a cui posso dire qualsiasi cosa che ad altri può sembrare irrazionale, ma loro comprendono molto bene.

Mi va giusto bene che mio figlio è grande, e ho la fortuna che è anche abbastanza attento alle mie necessità e si è reso autonomo in tante cose, compreso di tanto in tanto preparare un pasto semplice e veloce, cosa che in altri tempi mi avrebbe innescato una catena di sensi di colpa addosso, mentre adesso mi rende orgogliosa di vederlo come un futuro uomo che (spero) non dovrà dipendere da una donna per lavarsi le mutande o farsi due bistecche. Mi chiede spesso se ho bisogno di qualcosa. Ha imparato dal padre. Si, forse non abbiamo lavorato così malaccio.

Davanti a me si prospetta, tecnicamente, questo. Se il midollo collabora, con il 13 agosto dovrei fare l'ultima infusione. Il protocollo ne prevedeva solo dodici, ma udite udite, a metà percorso ho fatto Tac e Risonanza di stadiazione, e NOTIZIONA, sembra che già dalla prima chemio le metastasi si siano bloccate in numero e dimensioni: segno che la combinazione di intrugli è quella giusta. Non solo: la risonanza rileva che le ossa, dove le metastasi avevano eroso, si stanno ricalcificando: il mio corpo sta reagendo e sta mettendo le pezze. Gli organi molli sono ancora tutti PULITI, cosa che mi ha strappato un pianto stile asilo Mariuccia in mezzo all'ambulatorio oncologico. 
Strano come cambia il senso di "buona notizia" a seconda del contesto, no? E' relativo. E' davvero tutto relativo.
In ogni modo, questo risultato ha portato il mio oncologo a voler prolungare la chemio di due infusioni aggiuntive, tutto considerato, per sicurezza. La cosa non mi entusiasma, ma bisogna fare di necessità virtù, e allora avanti, un ultimo colpo di reni.
A seguire mi ha promesso un mese di pausa, durante il quale ripeterò la stadiazione (TAC e scintigrafia ossea stavolta). A stadiazione fatta, dati alla mano, se tutto sarà come si aspettano, inizierò un periodo di chemioterapia diversa, stavolta per bocca, detta "metronomica". Con quale mix di farmaci non è ancora stato deciso: i miei oncologi ci stanno studiando sopra, ma sarà comunque più tollerabile, mi ricresceranno le pelurie desiderate e indesiderate, mi sgonfierò. Riprenderò a vivere quasi normalmente le mie giornate. Questo è l'auspicabile. Se non la reggerò bene si aggiusterà il tiro.
L'unica certezza è che mi accompagnerà, assieme ad un follow-up mensile, per il resto della mia vita, finchè non ci saranno cambiamenti strutturali della malattia. E ci saranno, su questo non ha dubbi nessuno. Mesi, si spererebbe addirittura qualche anno, ma ci saranno. E allora si cambierà di nuovo chemio. E brontolerò di nuovo, e piangerò di nuovo, e mi incazzerò di nuovo, e ricomincerò di nuovo. E spererò che nel frattempo qualche mente eccelsa abbia trovato un altro coniglio magico da tirare fuori dal cappello, che io nella ricerca ci credo, credo nelle teste dei giovani. Facendo sempre e comunque, insistentemente, inesorabilmente, buon viso a cattivo gioco. Sperando contro ogni speranza.

Aggrappandomi alla vita con le unghie e con i denti. Finchè ce n'è.







giovedì 13 giugno 2019

Ciao Meg

All'inizio, ma proprio inizio-inizio, fu Yahoo Messenger. Era il 2002, avevo messo internet in casa da boh, forse un mese o due.
Due finestre aperte. Una per lei, l'altra per una amicizia in comune. Entrambe poco più che sconosciute.
-"Ma con lei si parla solo di gatti?".
-"No, credimi, prova ad affrontare qualsiasi altro argomento, vedrai".

Poi è venuto tutto il resto, in crescendo, un rigagnolo che via via si trasforma in torrente, e diventa fiume. E come un corso d'acqua ha tratti in discesa, tratti pianeggianti, qualche cascata, centinaia di metri in cui l'acqua sembra quasi ferma ma non lo è, e come il corso d'acqua attraversa i paesaggi più diversi, raccoglie gettiti da altri canali, cambia panorama, talvolta si nasconde sotto terra per poi riemergere più avanti nella sua pienezza.
I gruppi virtuali. I lavori fatti a più mani. I progetti ideati assieme. Le chiacchierate via etere fino a notte fonda, un paio di volte anche a capodanno, quando entrambe eravamo sole ognuna a casa sua per motivi diversi, ma connesse.
Gli incontri. Gli abbracci. Forti. Stretti. Quelli che piacciono a me. Troppo pochi, ma veri. I rimpianti, miei, di non essermi sforzata a viverne di più. Il rimpianto di non aver mai avuto il coraggio di dirle che no, non era pigrizia nè disinteresse: erano solo profondi attacchi di panico che mi inchiodavano le gambe.
Le telefonate fiume. Gli scambi di regali due volte l'anno. Tanti, pensati, con la stessa scatola di cartone o la stessa bustona gialla riciclati più e più volte, "che così niente va sprecato" dicevamo. I libri. I ricami. I tessuti. Gli scritti a penna biro, perchè a noi non piaceva essere moderne e tecnologiche più di quanto strettamente necessario, ci piaceva l'inchiostro.

I silenzi. I lunghi silenzi che ogni tanto, come per ogni amicizia che si rispetti, capitavano. Quei silenzi che talvolta mi hanno fatto dubitare di me stessa, del mio modo di pormi. Quei silenzi che poi immancabilmente finivano, perchè si, non c'è un perchè. Ma finivano. Perchè lei c'era, fondamentalmente c'era, da quella sera del 2002 c'è sempre stata, in più modi e con più mezzi, con intensità di presenza differenti, ma c'è sempre stata. Eravamo diversissime, non potevamo essere più diverse nel carattere, nei gusti, poche cose avevamo in comune, ma c'era. C'eravamo. Nella maniera più gradevole possibile. Sempre. Costantemente.

Fino a un certo punto dello scorrere dell'acqua...
La Malattia. La mia. La sua. E poi la mia e la sua. Neanche a farlo apposta. Ma io, davanti alla sua, della mia ho perfino pudore a parlare, per rispetto. Che le difficoltà che porta il cancro nella vita delle persone non sono uguali per tutti. E nemmeno i cambiamenti negli atteggiamenti, nei pensieri, nei desideri, nelle reazioni. Negli epiloghi.

L'otto marzo scorso, nel primo pomeriggio, rinvenivo dal torpore dei pesanti sedativi della sala operatoria, dopo aver reinserito il Port-a-cath. Prendevo in mano il telefono. Aprivo Whatsapp.
Apprendevo che mentre io ero in sala operatoria, lei si era messa in viaggio. Definitivamente. E in quel momento ero talmente intontita dai farmaci da essere riuscita a malapena ad informare mio marito della cosa, marito che stava rientrando in camera dopo essere stato in corridoio il tempo necessario per avvertire telefonicamente il resto della famiglia che "tutto bene". Ricordo di aver alzato la testa per guardare il Crocifisso appeso in stanza, e aver pensato "ok", con un senso di smarrimento. Poi ho cercato quasi in automatico una nostra foto che ricordavo avere nel telefono, di averla pubblicata, e di aver esternato con quattro parole in croce il mio saluto (che poco c'è da dire di sensato, effettivamente, in frangenti del genere). Poi, il vuoto.
Due o tre giorni dopo ho pubblicato qualcosa su Facebook, qualcosa che riguardava i miei gatti. Istintivamente mi sono detta "uno dei primi like li mette lei di sicuro, la fanno sempre sorrid...".
E' stato in quel momento che ho realizzato. In quel momento si è sciolto il nodo. In quel preciso momento mi è arrivato addosso il camion con tutto il rimorchio dietro. Le sue ultime settimane, i suoi ultimi pensieri condivisi dall'hospice, la telefonata. Il limbo in cui vivevo per la mia diagnosi, e che mi ha in un certo senso giocoforza tenuta distaccata da lei col pensiero quel tanto che basta da non sprofondare del tutto, persa nel mio di dramma, con corredo di sensi di colpa. Ho ricordato in un attimo le ore perse a fissare il vuoto, paralizzata, fino a notte tarda, quando ho saputo che stava in hospice, con una frase sola a ripetermisi più e più volte nella testa come un carillon: "come si fa a sopravvivere a dolore su dolore?" .
Tutto è riemerso in un colpo.
E' finito l'anestetico. Sono piombata a terra. Si è spaccato il vetro, si è disperso il pianto.
No, cazzo. Non succederà stavolta.
Meg non c'è più.
Non c'è più.
-"Ma ci siamo sentite per telefono due settimane fa, non più di tre, mi ha chiamato lei, mi ha fatto un regalo enorme, mi ha chiamato dall'hospice, ero a letto, avevo fatto la biopsia in settimana, lo ricordo bene, la sua voce...".
Meg non c'è più. 


"Sai Meg, ho fatto una fatica enorme a scrivere questo post. Erano tre mesi che l'avevo nel cuore e nella testa. Nella mia testa l'ho iniziato, portato avanti, terminato e cancellato un milione di volte. Perchè non riuscivo a trovare il momento giusto, perchè mi sembrava che buttare sul monitor certe cose fosse inutile per chi legge e riduttivo per chi scrive, perchè ridurre in poche righe tutto quello che il cuore porta dentro di sè mentre penso alla tua persona è impossibile, se non addirittura gli fa perdere il giusto peso e il giusto valore. Forse. Adesso lo sto scrivendo, arrivo a tre quarti e torna ad investirmi il TIR, risgorgano le lacrime, fa un male boia, ma stavolta lo finisco. Lo finisco eccome. Perchè te lo devo. Perchè in casa c'è silenzio. Perchè stasera questo mio tempo è per te.
Una cosa non ti ho mai detto. Hai sempre sostenuto pubblicamente di essere musona, asociale, restia ai rapporti umani, poco tollerante. Quante balle. Se tutti gli asociali, i musoni, gli intolleranti riuscissero a creare attorno a loro un decimo di quello che tu, forse inconsapevolmente, hai creato attorno a te, il mondo sarebbe molto più bello. Perchè quello che hai creato tu in termini di rapporti umani e di bene concreto e gratuito in meno di cinquant'anni di vita col "caratteraccio" che dicevi di avere, non l'hanno fatto centinaia di altri con i loro millemila amici pubblici e i selfie sorridenti sbandierati ai quattro venti. E c'è di più. Ovunque tu sia, zitta zitta quatta quatta stai lavorando ancora. Spero che da lì tu te ne renda conto, befana che non sei altro. E so che a chiamarti "befana" ti monta ancora l'orgoglio di esserlo, anche da lì. Perchè la befana, dicevi, è brutta e veste rattoppata, ma trovami un bambino che non la ama".

Tante delle persone che mi leggono conoscevano Meg. La maggior parte sa cosa faceva per fare del bene. In qualche modo continua a farlo davvero, attraverso l'impegno di Tiz e di altre persone che portano avanti il suo spirito, i suoi intenti, i suoi progetti. Anche attraverso questo progetto, finalizzato alla raccolta fondi per l'Airc, su una pagina Facebook creata appositamente e in via di sviluppo:

Andate, fateci un giro, e se volete, contribuite.

Ciao, Meg.



domenica 31 marzo 2019

Rasati

Passata la paura.
Tutto sommato è solo un dejá vu da portare a spasso

mercoledì 27 marzo 2019

Di ribaltamenti e di caduta dei capelli

La seconda chemio non è stata indolore.
L'infusione è avvenuta mercoledì scorso. Sono stata abbastanza bene giovedì, nausea a parte, ma la nausea ho capito essere dovuta più al cortisone che alla terapia in sè, perchè ho notato che ogni volta che assumo cortisone (anche per via orale) lo stomaco si ribella e la bocca fa schifo per qualche giorno.
Venerdì ho iniziato a sentirmi stanca, ma era previsto.
Sabato e domenica sono stati tragici. Non riuscivo a reggermi in piedi, testa in pallone, senso di dissociazione, un attacco d'ansia dopo l'altro, sbalzi di pressione come fossi su un'altalena, micropsia (ne soffro da quando ero bambina, a periodi, ma stavolta è durata tanto ed è stata particolarmente intensa), tremori, senso di vomito. Ho voluto resistere pensando che fosse normale, che tanto doveva passare, mica è la prima chemio che faccio... Mi secca chiamare il medico ogni due per tre, e andare in pronto soccorso grazie no. Mi sono affidata a Plasil e benzodiazepine. Ma a parte farmi dormire per qualche ora, non hanno fatto altro.
Lunedì pomeriggio non ce l'ho fatta più e ho chiamato in oncologia. Mi hanno fatto andare subito ieri mattina per un prelievo urgente e una visita. Morale: sembra che il fegato abbia reagito male al carboplatino, non riuscendo a smaltirlo. Inoltre sono risultata di nuovo neutropenica, come l'anno scorso, anche se in forma più lieve.

 -"Mamigà, hai tuonato."
-"Doctor, ne avevo una vaghisssssima sensazione, poco poco."

Mi hanno immediatamente messo sotto infusione di terapia di supporto per il fegato (cortisone e glucatione, glutatione, glucomecacchiosichiama, insomma un depurativo formato tsunami), e praticato una iniezione di fattori di crescita per i white brothers. Nel giro di un paio d'ore sono rinata e rispedita a casa (io non ho un oncologo, ho un pusher), con le solite raccomandazioni per la neutropenia: evitare i luoghi affollati e possibilmente le visite, mascherina, alto livello di igiene e blablabla. Nozioni trite e ritrite. E oggi sono finalmente fuori dal letto, a recuperare un po' di faccende, visto che da domani dovrebbero partire i dolori dei fattori di crescita, perciò ho guadagnato tempo.

I capelli. Come l'anno scorso, come nove anni fa, puntuali, al quindicesimo giorno dalla prima infusione, cioè oggi, è iniziata la caduta. Fa sempre impressione come succeda da un giorno all'altro. La mattina ti alzi e ne trovi una manciata sul cuscino. Vai sotto la doccia e come l'acqua ti ricopre e scorre verso il basso se ne porta via tre, dieci, trenta, non li conti più già a shampoo fnito.
E' la terza volta che perdo i capelli per la chemioterapia. Un anno fa ero già calva per la seconda volta, da circa una settimana o due. In perfetto tempismo con la muta dei miei gatti. Entro la fine di questa settimana vado di rasoio, non ha senso aspettare. Anche perchè vanno ovunque, anche nel piatto, e grazie no.
Non so che effetto mi sta facendo.
La prima volta l'ho vissuto come un dramma, come penso sia un dramma per chiunque la prima volta.
La seconda come un gioco.
Questa terza non ci sto pensando. Non so se per evitare di pormi domande, o perchè davvero non è più un problema. Forse già avevo messo in conto, nel mio inconscio, l'anno scorso, che sarebbe potuto riaccadere. No, non per pessimismo, ve lo assicuro. E' che quando il cancro ti colpisce una volta, e poi la seconda, un po' inizi a pensare di non essere proprio così invulnerabile, e che se dovesse succedere una terza non sarebbe la cosa più inaspettata del mondo. Certo non mi aspettavo le metastasi, e non così immediatamente, credo di averlo esternato bene altrove, al più mi pensavo con una recidiva sul controlaterale. Ma non mi sono più sentita comunque immune dopo il secondo tumore. Perciò ok, la caduta dei capelli ci sta, e davvero, con tutti i pensieri nefasti e gli immensi punti di domanda dati dall'incognita di questa assurda situazione, soprattutto con tutta la carica di ansia che mi porto addosso, questi sono davvero il tassello meno pesante.
Li sto perdendo. Amen.
La gente mi guarderà di nuovo. Amen.
Devo dare una rinfrescata veloce ai foulard chiusi da mesi nei cassetti. Amen. Ne ho comprati due di nuovi, colorati (no arancione nè giallo, per carità, sono colori che su di me detesto) perchè l'anno scorso li avevo cupi e pesantini, da mezza stagione. Se tutto va come deve, stavolta la chemio me la porto avanti fino a giugno inoltrato, e qualcosa di più leggero e adatto ci vuole.

BALLE.


NON TI CI ABITUI MAI.
Erano appena ricresciuti, cazzo.






venerdì 22 marzo 2019

Metastatimamigà: rimbocchiamoci le maniche.

Non so da dove iniziare. Non so come comporre questo post. Quello che viene viene. Vado un po' a caso.
E' passato un mese e mezzo abbondante da quando ho scritto l'ultima volta. Un mese  e mezzo intensissimo. Un mese  e mezzo di corse, di viavai tra gli ospedali. Un mese e mezzo con la testa in stand-by, con l'unico desiderio di dormire, dormire, dormire, perchè quando dormo la testa stacca il pensiero, e quando è sveglia desidera staccarla fissando un punto a caso, il soffitto, la legna che arde nella stufa, un calzino appeso sullo stendino, un grumo di polvere sotto ad una sedia, qualsiasi cosa. Quando la testa si fissa su altro, sembra quasi che non sia successo nulla. Svegliarsi, ogni volta è uno schiaffo. 
No, non sta succedendo a me. Non è possibile. 
E invece si.  
Ma io non voglio!
E invece c'è. 
Non voglio riversare tutti i pensieri di questo ultimo mese e mezzo qui. Sono pesanti. Pesantissimi. E sono miei, miei e al massimo di mio marito. Sono tutti contenuti in quell'immenso concetto che non riesco a comprendere ancora, non riesco a metabolizzare, quel concetto che per la prima volta dopo anni di convivenza con lo spettro del cancro mi provoca rabbia, tanta rabbia, perchè a quarantasei anni e con un figlio adolescente mi è inaccettabile. Il concetto che non guarirò dal cancro, e che l'unica speranza di guadagnare tempo sta nel tentare di bloccare la malattia lì dove sta, ancorata alle ossa, a colpi di farmaci e di passate ripetute sotto i macchinari di tac, risonanze, scintigrafie e Pet, per il resto dei miei giorni, pochi o tanti che siano. Il resto davvero, rimane mio. Fa parte di quello che non voglio che diventi "social". Non ora. Forse mai. Certo è che pensieri del genere non li auguro a nessuno.

Comunque, tecnicamente, in questo mese e mezzo:

  • - ho fatto la biopsia al bacino (in regime di ricovero, eseguita sotto guida di un macchinario Tac particolare in sala operatoria), per capire se le metastasi appartengono al primo tumore (l'ormonale del 2010) o al secondo ( triplo negativo del 2017). La differenza è sostanziale: ho imparato che a seconda dell'origine e della natura delle metastasi ci sono più o meno farmaci a disposizione per affrontarla. Ovviamente (che culo) l'istologico conferma l'appartenenza al secondo tumore. Ergo, un casino. Per le metastasi da triplo negativo niente farmaci antiormonali a disposizione, niente anticorpi monoclonali (nemmeno quelli in fase di sperimentazione per il triplo negativo: ci vuole troppo tempo per sapere anche solo se sono idonea ad essere inserita nelle liste dei grossi centri che li somministrano, al momento fuori regione peraltro: la malattia sta galoppando, non camminando, aspettare anche un solo altro mese per intervenire mette a serio rischio gli altri organi).
  • - Ho eseguito la risonanza di colonna e bacino: casino numero due. Ho le ossa e le vertebre a pois. L'unico lato meno negativo è che trattasi di metastasi osteoaddensanti, cioè si depositano sopra l'osso, non lo erodono. Sono più dolorose, ma anche più gestibili, e mi espongono di meno al rischio di fratture. 
  • - Ho fatto una radiografia al bacino e ai femori.
  • - Ho fatto una visita antalgica per tarare la terapia del dolore, la mia migliore amica assieme alla chemioterapia. 
  • - Ho fatto una visita ortopedica, e ho vinto un busto nuovo di pacca (che devo ancora ordinare in sanitaria, per mancanza di tempo) e un paio di stampelle per poter fare più di cinquanta metri a piedi senza camminare come una gallina zoppa. La parte sinistra del bacino è messa malino. Ha bisogno di aiuto per non caricarsi eccessivamente del mio peso, pur essendo io perfettamente normopeso. Ma un bacino con metastasi è un bacino con poco senso dell'umorismo.
  • - Ho rivisto la sala operatoria (era da tanto...) per rimettere il port-a-cath, in day-hospital. Non è stato doloroso, solo fastidioso, e comunque l'ha impiantato lo stesso chirurgo che mi ha operata al seno le ultime due volte, e in certe circostanze avere a che fare con qualcuno che si conosce e con cui si scherza da tempo fa la sua bella differenza. Soprattutto se sotto ai bisturi ci stai da sveglia, solo parzialmente sedata, ma lucida.
  • - Ho fatto le radiografie alla bocca, seguirà appena possibile una visita stomatologica, in previsione dell'assunzione di bifosfonati.
  • - Mi hanno dato appuntamento per una visita radioterapica per il 10 aprile, per valutare la possibilità di fare radioterapia sulle mts più grosse e dolorose (bacino, femori e dorso).
  • -Si sono formate alcune piccole ulteriori recidive sottocutanee sulla parete toracica operata. Famculo. Non le tolgono ora, la prassi da seguire per l'escissione richiede troppo tempo, anche due sole settimane sono troppo tempo. L'oncologo le userà come "metro" per valutare visivamente l'efficacia del trattamento sistemico che sto facendo. Se si riducono, banalmente parlando, c'è una più che plausibile possibilità che funzioni anche sul resto, visto che il resto è fatto di questa stessa pasta. Ma l'ho presa come uno schiaffo gratis in più. Guardarle, vederle, mi buca lo stomaco ogni volta.

La settimana scorsa, martedì 12 marzo, ho iniziato per la terza volta nella mia vita la chemioterapia. Mi è stato assegnato un protocollo piuttosto nuovo, nel gruppo FB di metastatiche a cui sono iscritta da qualche settimana mi sembra che siamo solo in due per ora ad usarlo: Abraxane+carboplatino, due settimane si e una no per sei volte, dodici infusioni in totale. Tra tre mesi farò TAC e risonanza di verifica, per vedere se sta funzionando e di conseguenza come andare avanti.
Se sto qui a raccontarvi come mi ci sono approcciata la scorsa settimana vi si smonta Mamigà in pochi secondi di lettura. Di fatto non ho scelta, devo sottopormici, e mi ci sto sottoponendo. E' la mia speranza. E' l'unica cosa concreta che posso fare ora per provare a tenermi stretta la vita, per sperare di vedere mio figlio crescere, e la faccio. Mi ci aggrappo con tutte le mie forze. E ho deciso di farla come l'anno scorso: vestita a puntino, truccata perfettamente, col migliore dei miei sorrisi, a mostrare alla sfiga la faccia che non vorrebbe vedermi stampata.



(Dovrebbe essere un brevissimo video, non so se parte...)

Perchè si, perchè oh, a un certo punto bisogna farsene una ragione. La parte peggiore sono le attese, adesso invece ci sto lavorando, sto facendo finalmente qualcosa di concreto. E cambia, oh, come cambia le giornate. Le riempie di nausea, dei soliti effetti collaterali di qualsiasi chemioterapia (anche se per ora la sto tollerando abbastanza bene, di sicuro meglio delle TC dell'anno scorso, che poi ci vuole anche poco ma va beh), dell'attesa della perdita dei capelli, ma fa rivalutare il tempo che vivo, come lo fa rivalutare tutta questa intera vicenda.

Nelle ultime settimane mi è passato davanti il grumo degli ultimi 46 anni, tutti gli sbagli che ho fatto, tutte le cose che vorrei aver vissuto diversamente, la consapevolezza di avere tanti di quei rimpianti e tanti di quei rimorsi da poterci riempire un intero mare, tutti i progetti falliti, tutte le scelte che avrei potuto evitare. Dalla prima chemio in poi, e giuro che non è retorica, mi sento come se avessi ricevuto l'opportunità di guardare diversamente a quello che sono. La possibilità di cambiare atteggiamento. L'opportunità di prendere a piene mani quello che finora ho dato per scontato, che ho addirittura etichettato come noioso e spesso totalmente inutile di ogni cosa che permeava le mie giornate da semplice moglie e mamma, padrona di casa e di cinque gatti. Perchè no, non c'è un piano B se questa vita mi viene tolta, e questa consapevolezza cambia completamente le carte in tavola. Non è il lato buono della faccenda, non esiste un lato buono nell'ammalarsi di tumore, men che meno quando si diventa metastatica. Non prendiamoci in giro. Si dovrebbe arrivare a certe riflessioni senza tutta questa scia di dolore. Ma questo mi è stato dato, non me lo sono cercato (spero), tanto vale provare a fare buon viso a cattivo gioco.
E' dura. Cacchio, se è dura. E' dura dentro. Questa prova supera di un miliardo di punti qualsiasi prova abbia affrontato finora. E' l'ultima, l'unica che mi terrà impegnata per il resto della vita, quella di tenermi stretta la vita stessa. L'unica che rende legittima ogni mia nevrosi, se devo dirla tutta. Perchè se davanti mostro la testa alta e fiera, è quando mi giro dall'altra parte che esce il resto.

Ma porca vacca, non ho intenzione di darla via gratis. Costi quello che costi. Il gioco vale comunque la candela.