E' sempre lo stesso albero, anche se ogni anno cambia un po' faccia.
L'anno scorso era tutto oro e bianco.
L'anno prima era tutto ricami.
Il 2013 lo voleva solo con cuori e cristalli di neve all'uncinetto.
Andando indietro coi ricordi... l'ho avuto solo con cuori, multicolore, solo con palline patchwork, e avanti così.
Quest'anno si cambia stile. Non avendo voglia di stare a discutere con un Power che improvvisamente si è fissato in testa di aiutare (i soliti dieci minuti di rigore) ma anche di dare indicazioni sul come farlo (e già ci discuto ogni giorno per millemila altri motivi, per l'albero per favore no), ho adottato lo stile "Tuttofabrodo", termine che sintetizza la richiesta formulata in questo modo: "mamma mettici tutto quello che c'è che è più bello".
Facile da farsi, le istruzioni (per chi avesse lo stomaco di riprodurlo) sono brevi:
-montare il catafalco seguendo le istruzioni ormai imparate a memoria (l'albero è decennale...)
-aprire lo scatolo delle decorazioni
-alzarlo con entrambe le braccia
-portarlo sopra alla punta dell'albero
-capovolgerlo
Fine.
Così è e così rimane.
Il colpo d'occhio è abominevole, la foto (luce orribile in casa per fotografare, e questa ne è l'apoteosi) enfatizza maggiormente l'impatto. Ma c'è da dire che guardandolo dal vivo da vicino si possono posare gli occhi su tantissimi particolari tutti diversi, fiocchi rossi e sfere di carta dorata a parte, e a me ogni decorazione racconta qualcosa, dato che una parte l'ho fatta io da zero e una parte proviene dalle mani di tante amiche lontane. Tutto sommato pare quasi di avere compagnia in casa.
E "per me" ho allestito il primo "secondo alberello" di questa casa, in dimensioni MIE e in gusto MIO, e guai a chi me lo tocca. E' stato posizionato in ingresso. La scusa ufficiale è quella di dare un tocco "Christmas" anche in quella stanza, quella vera è che non volevo tenere nascoste fino al prossimo anno le decorazioni me-made che preferisco (sull'albero grande proprio non ci stavano, e lo dico fuori dai denti, meritano un posto in cui le si veda e non le si confonda, al diavolo la modestia).
Il bailamme che lo circonda è dovuto al fatto che il Power sta facendo i compiti sullo stesso tavolo.
Andiamo avanti con i soliti preparativi, con i soliti programmi culinari, con le solite discussioni che non dovrebbero esserci ma che ci sono (come in ogni famiglia che si rispetti), con la solita retorica del "a Natale si dovrebbe e non si dovrebbe"... il solito blablabla sterile sul social, vis-à-vis e davanti allo specchio. Chiacchiere.
Come al solito passerò metà mattina ai fornelli, si andrà in chiesa, passeremo a trovare la nonnina che abita dietro casa nostra per gli auguri (e questo è un appuntamento a cui non rinuncerei mai e poi mai, cascasse il mondo), un salto dall'altra vicina di casa come ogni anno, e come ogni anno da qualche anno in qua si andrà da mia madre, e anche senza giocare a tombola come fanno tante famiglie, si starà insieme. Lo abbiamo fatto il Natale dell'anno in cui i miei si sono separati e le cose andavano male per non dire peggio, lo abbiamo fatto l'anno in cui il giorno della vigilia io ero nella Big City a fare radioterapia e lo stesso giorno mamma stava nella Little City a fare chemioterapia, lo abbiamo fatto l'anno in cui due settimane prima di Natale la mamma si è rotta una gamba e la vigilia il Gatto Alfa si è strappato il tendine del braccio destro (una comica per metterli a tavola... non si sapeva come incastrarli), lo faremo anche quest'anno in cui i pensieri che abbiamo per la testa (io per dei motivi, l'omo per altri distanti milioni di chilometri dai miei) non sono, purtroppo, i migliori. Ma saremo insieme.
Ma quest'anno canterò alla Messa solenne del giorno di Natale con il coro, e sto aspettando questa cosa con gioia, per più di una ragione.
Auguri di cuore.
mercoledì 23 dicembre 2015
venerdì 11 dicembre 2015
Di strade, di gelo e di conquiste
E' arrivato l'inverno (nessuno se ne era accorto, vero?), e questa cosa mi fa felice. Perchè è tempo di stare acciambellati davanti alla stufa accesa
con la tisana calda in mano,
il silenzio, la partita a Candy Crush spappolata sul divano, lana e cotoni a portata di zampe, plaid, eccetera eccetera.
Però questo è stato anche un periodo di strade percorse. Non solo per le visite, per fortuna (che non sono ancora finite, tra l'altro), ma anche per due nuove esperienze piacevoli.
La prima: l'Hobby Show di Pordenone di metà novembre. Dicono che era piccola come fiera, ma calcolando che in Regione non ne hanno mai fatte altre del genere, credo che in quel "piccola" si sia riversato tutto il Friuli femminile, e parte del Veneto. A me è piaciuta. Se non altro perchè i miei uomini (che mi hanno accompagnato, solo e semplicemente perchè io a Pordenone non saprei come girarmi, e ho approfittato di un paziente servizio Taxi) mi hanno "mollata" libera di scorrazzare qui e là a mio piacimento senza sbuffare (il che è tutto dire).
La verità? Ho visto molto poco rispetto a quanto offerto. Era domenica mattina, c'era una massa di gente da paura, fermarsi ad ogni banco era impossibile perchè la folla trascinava via. Peccato. La prossima volta (perchè spero che ci sia) sarà da tentare il venerdì o il sabato.
La seconda: il mercatino. Non visto (o almeno, non solo visto) ma fatto.
Ne ho accennato nel post precedente. E' capitato che circa un mese fa o poco più la mamma del Gi sia arrivata a casa mia per riprendersi il pollo, e mi abbia buttato lì la proposta: "mi hanno chiesto di partecipare, è la prima volta in quel paese, vorrei dire di si, ma da sola non so, non mi va, sono timida... ci staresti a farlo con me?". Mi sono presa tre giorni per pensarci (tutto il giorno fuori al freddo... l'ansia... ma poi le mie cose piaceranno? Ha senso?), e poi ho detto di si solo per un motivo: la sfida. Qualche giorno prima ho detto con convinzione a una persona che le occasioni della vita vanno prese. Dare consigli e non seguirli in prima persona non è molto coerente. E mi sono detta "si, vado, se non tutto viene per caso prendiamo questa palla al balzo e saliamo su questa giostra, vediamo dove porta. Non sarà una passeggiata per il mio coraggio, ma se non provo non saprò mai se sono in grado".
Ho lavorato per un mese: dato il pochissimo tempo a disposizione per organizzarmi, ho scelto di preparare una varietà di oggetti molto contenuta, relativamente veloce da fare e che so essere già piaciuta a più di qualcuno, usando progetti che comunque stavo realizzando per i pensierini natalizi ad amiche e cugine lontane come faccio ogni anno. Ho dato vita a cose colorate: gufi, angeli, campanelle, e a dispetto del libro digitale che ormai la fa da padrone... segnalibri.
Ho stirato, inamidato, confezionato, decorato con nastrini, ideato e stampato bigliettini da visita, ho comprato il mio primo blocchetto di ricevute, abbiamo fatto una prova di allestimento in casa mia con i miei oggetti e quelli della mia amica (che realizza cose ad uncinetto completamente diverse dalle mie: borse e bijoux) per tutto un pomeriggio.
Sabato sera abbiamo caricato le macchine, e il mattino di domenica dopo essermi vestita a strati come se dovessi partire per l'Himalaya sono partita. Il Gatto Alfa ha contribuito ad allestire gazebo e impianto di illuminazione, per il resto ci siamo rimboccate le maniche e via (in foto ho il riflesso sugli occhiali... brrrrr... che orrore...).
E' andata... gelida. Il paesino che ci ha ospitato è davvero piccolo (settecento anime...), e infatti mi sono trovata a pensare che fare i mercatini deve essere una moda, dato che quest'anno pare che i mercatini natalizi siano stati organizzati praticamente ovunque. Gente ce n'era davvero poca, come poche sono state le vendite (per noi ma anche per gli altri, da quel che ho visto). Il mio migliore amico per quel giorno, a parte la mamma del Gi che ho scoperto (nonostante la notevole differenza di età, lei è molto più giovane) essere una persona con cui lego, è stato il thermos di tisana di malva bollente preparato al mattino, rimasto bello caldo fino a sera.
Però...
Però ci sono stata dall'inizio alla fine. E per una ansiosa come me è un traguardo. Non solo: ci sono stata volentieri, mi sono divertita tanto, ho riso tanto, ho fatto una cosa che ha coinvolto tutto quanto di positivo potevo tirar fuori, da quello che so fare a quello che ero tanti anni fa e ancora posso essere, adesso che il Power è grande e sono un po' più grande anch'io. Insomma, non ci ho recuperato le spese, ma per quel che mi riguarda ci ho guadagnato eccome. Niente ci vieta (e spero che se ne riparli) di ripetere l'anno prossimo nel paese dove viviamo entrambe, più grande e con più giro di gente.
con la tisana calda in mano,
il silenzio, la partita a Candy Crush spappolata sul divano, lana e cotoni a portata di zampe, plaid, eccetera eccetera.
Però questo è stato anche un periodo di strade percorse. Non solo per le visite, per fortuna (che non sono ancora finite, tra l'altro), ma anche per due nuove esperienze piacevoli.
La prima: l'Hobby Show di Pordenone di metà novembre. Dicono che era piccola come fiera, ma calcolando che in Regione non ne hanno mai fatte altre del genere, credo che in quel "piccola" si sia riversato tutto il Friuli femminile, e parte del Veneto. A me è piaciuta. Se non altro perchè i miei uomini (che mi hanno accompagnato, solo e semplicemente perchè io a Pordenone non saprei come girarmi, e ho approfittato di un paziente servizio Taxi) mi hanno "mollata" libera di scorrazzare qui e là a mio piacimento senza sbuffare (il che è tutto dire).
La verità? Ho visto molto poco rispetto a quanto offerto. Era domenica mattina, c'era una massa di gente da paura, fermarsi ad ogni banco era impossibile perchè la folla trascinava via. Peccato. La prossima volta (perchè spero che ci sia) sarà da tentare il venerdì o il sabato.
La seconda: il mercatino. Non visto (o almeno, non solo visto) ma fatto.
Ne ho accennato nel post precedente. E' capitato che circa un mese fa o poco più la mamma del Gi sia arrivata a casa mia per riprendersi il pollo, e mi abbia buttato lì la proposta: "mi hanno chiesto di partecipare, è la prima volta in quel paese, vorrei dire di si, ma da sola non so, non mi va, sono timida... ci staresti a farlo con me?". Mi sono presa tre giorni per pensarci (tutto il giorno fuori al freddo... l'ansia... ma poi le mie cose piaceranno? Ha senso?), e poi ho detto di si solo per un motivo: la sfida. Qualche giorno prima ho detto con convinzione a una persona che le occasioni della vita vanno prese. Dare consigli e non seguirli in prima persona non è molto coerente. E mi sono detta "si, vado, se non tutto viene per caso prendiamo questa palla al balzo e saliamo su questa giostra, vediamo dove porta. Non sarà una passeggiata per il mio coraggio, ma se non provo non saprò mai se sono in grado".
Ho lavorato per un mese: dato il pochissimo tempo a disposizione per organizzarmi, ho scelto di preparare una varietà di oggetti molto contenuta, relativamente veloce da fare e che so essere già piaciuta a più di qualcuno, usando progetti che comunque stavo realizzando per i pensierini natalizi ad amiche e cugine lontane come faccio ogni anno. Ho dato vita a cose colorate: gufi, angeli, campanelle, e a dispetto del libro digitale che ormai la fa da padrone... segnalibri.
Ho stirato, inamidato, confezionato, decorato con nastrini, ideato e stampato bigliettini da visita, ho comprato il mio primo blocchetto di ricevute, abbiamo fatto una prova di allestimento in casa mia con i miei oggetti e quelli della mia amica (che realizza cose ad uncinetto completamente diverse dalle mie: borse e bijoux) per tutto un pomeriggio.
Sabato sera abbiamo caricato le macchine, e il mattino di domenica dopo essermi vestita a strati come se dovessi partire per l'Himalaya sono partita. Il Gatto Alfa ha contribuito ad allestire gazebo e impianto di illuminazione, per il resto ci siamo rimboccate le maniche e via (in foto ho il riflesso sugli occhiali... brrrrr... che orrore...).
E' andata... gelida. Il paesino che ci ha ospitato è davvero piccolo (settecento anime...), e infatti mi sono trovata a pensare che fare i mercatini deve essere una moda, dato che quest'anno pare che i mercatini natalizi siano stati organizzati praticamente ovunque. Gente ce n'era davvero poca, come poche sono state le vendite (per noi ma anche per gli altri, da quel che ho visto). Il mio migliore amico per quel giorno, a parte la mamma del Gi che ho scoperto (nonostante la notevole differenza di età, lei è molto più giovane) essere una persona con cui lego, è stato il thermos di tisana di malva bollente preparato al mattino, rimasto bello caldo fino a sera.
Però...
Però ci sono stata dall'inizio alla fine. E per una ansiosa come me è un traguardo. Non solo: ci sono stata volentieri, mi sono divertita tanto, ho riso tanto, ho fatto una cosa che ha coinvolto tutto quanto di positivo potevo tirar fuori, da quello che so fare a quello che ero tanti anni fa e ancora posso essere, adesso che il Power è grande e sono un po' più grande anch'io. Insomma, non ci ho recuperato le spese, ma per quel che mi riguarda ci ho guadagnato eccome. Niente ci vieta (e spero che se ne riparli) di ripetere l'anno prossimo nel paese dove viviamo entrambe, più grande e con più giro di gente.
domenica 29 novembre 2015
Ce l'ho! Ce l'ho!
E' sempre stato così: arrivo tardi. In quasi qualsiasi cosa che non sia un appuntamento. Ma arrivo eh.
Non lo volevo, perchè sono sempre stata dell'idea che se sto al pc è perchè o sono in pausa, o perchè devo fare qualcosa che posso fare solo con il pc. Quindi non vedevo la necessità nè l'utilità di avere un pc-ino in borsa: se ho con me la borsa evidentemente è perchè sono fuori casa, fuori casa di tecnologico ho bisogno solo del cellulare, e un cellulare deve fare il cellulare, cioè telefonare e mandare sms. Tutto il resto sono orpelli inutili.
Pare, però, che il resto del mondo non la pensi così, e si organizza diversamente. Così il chiederlo è stato quasi obbligatorio: le mamme della scuola hanno il gruppo whatsup per girarsi le comunicazioni e i verbali degli interclasse, il coro degli adulti della parrocchia (canto di nuovo dopo quindici anni, veh che novità?) si passa le novità dell'ultima ora e le variazioni in corsa tramite whatsup, la mia "socia" per il mercatino di Natale (faccio il mio primo mercatino, veh che altra novità?) ed io abbiamo un milione di cose da dirci ogni santo giorno per organizzare le cose e via sms o telefonata costerebbe un mutuo, insomma, se non hai whatsup oggi sembra che tu sia tagliata fuori da una fetta di mondo piuttosto consistente.
Insomma, con la scusa del compleanno mi sono "calata", ed è arrivato.
Signore e signori, squilli di trombe, da una decina di giorni ho il mio SMARFONO. Che non è lo Smartphone, io sono veneta, e i veneti hanno lo SMARFON, italianizzato SMARFONO.
E direte, "e quindi? Lo abbiamo tutti, non sei l'unica".
Grazie, lo so. Ma se lo scrivo è perchè in questi giorni sto riflettendo su quanto un cosino così piccolo effettivamente può cambiarti le abitudini. Per la serie, "come cappero facevo prima?".
Stiamo facendo conoscenza.
Litighiamo per diversi motivi:
-scivola dalle mani. E' sottile, superliscio, la custodia deve ancora arrivarmi (ne ho ordinata una superfighizzima, nera con disegnate delle farfalle rosa e arancioni, con i gatti non c'era, mannaggia), sguscia come un'anguilla. E a me le anguille fanno senso, da vive e da secondo piatto.
-La tastiera è piccola, i tasti sono piccoli, anche a girarlo in orizzontale.
-Il T9. Ho dichiarato guerra aperta al T9. Scrivo, correggo, invio la parola alla barra di testo e me la ri-corregge come vuole lui, sequenza a ripetersi un milione di volte. Fa passare la voglia di scrivere e fa venir voglia di fare direttamente una telefonata, non fosse che io detesto comunicare per telefono a voce. Mette gli spazi dove vuole, non capisce che "Latisana" e "La tisana" non sono la stessa cosa, e io una la raggiungo in auto e l'altra la bevo due volte al giorno, che gli piaccia oppure no, e non sono interscambiabili nella stessa frase. Tanto per dirne una. Il T9 deve morire, o cambiare spacciatore.
-La batteria dura il tempo di un respiro. Il Gatto Alfa dice che finchè lo uso nel modo in cui lo sto usando in questi giorni, non può durare di più. Avrà anche ragione. Ma io ero abituata a mettere in carica il cellulare due volte a settimana, non due volte al giorno. Una sana via di mezzo sarebbe una cosa sana, no?
-E' meno intuitivo del mio pc. Non mi è stato fornito un manuale d'uso, sto imparando ad usarlo a naso e coadiuvata dall'esperienza di amiche e conoscenti (via whatsup, e come sennò?), ma sto coso è pieno di misteri. Per esempio la mission di questi giorni è imparare a spostare la maggior parte dei dati sulla scheda di memoria aggiuntiva, ed è una impresa che pare titanica.
-Appunto, la memoria del telefono è quella di un criceto. E qui mi fermo, per rispetto ai criceti.
-Ha un milione di funzioni, ma faccio ancora pasticci per rispondere alle telefonate. Facendo peraltro figure assai magre, e per fortuna ridendoci sopra la gente all'altro capo della linea si intenerisce e di solito mi tranquillizza con un "non preoccuparti, ci sono passata anch'io", come se fosse il morbillo. Vero o no, è imbarazzante. E quando parte la marcia a squilli di trombe che ho impostato come suoneria (ma quanto mi manca la mia cara vecchia registrazione del Power che urla "mammaaaaa rispondi al telefonoooooo!", devo vedere se riesco a metterla anche qui) e appare la malefica striscia rosso-verde che ammicca, parte qualcosa di paragonabile ad un mini attacco d'ansia.
Peeeerò.
E' anche vero che molte cose, con lui, sono più facili di prima.
Ho internet dove voglio. Ho tutte le informazioni che voglio dove voglio e quando voglio. L'altro giorno ero da mia madre, mi racconta che la nonna ha un problema col medico: ha cambiato numero di telefono, non sa come recuperare quello nuovo, con la zia ha litigato e non vuole darglielo, non vuole fare brutta figura a chiederlo in giro, sull'elenco non c'è ancora. Ho googolato il numero della farmacia del posto, ho chiesto il numero, l'ho passato. In meno di due minuti. Una stupidaggine. Ma non per una donna di novant'anni che vive da sola.
Ho perso la lista dei fogli da preparare sul libro del coro. Una mia compagna di gorgheggi ha fotografato la sua lista e me l'ha passata via whatsup in un secondo.
E poi...
Si ha un bel dire che la tecnologia ammazza la comunicazione. Va di moda dire che abbiamo la testa china sullo strumento elettronico e siamo soli anche in mezzo alla folla. Ma anche che la comunicazione tramite il virtuale è solo una illusione.
Fino a un po' di tempo fa mio marito aveva l'abitudine di portare l'arma su e giù da casa al lavoro e viceversa (ora la tiene per lo più in ufficio, per motivi che non sto a spiegare). Capitava che di ritorno dal turno di notte la dimenticasse in soggiorno, scaricata ovviamente, anzichè portarla di sopra al suo posto; in quindici anni di matrimonio più due di fidanzamento ho imparato presto a considerarla parte dell'arredamento, ma quando mia madre arrivava di prima mattina per il suo solito giro e se la trovava davanti sul ripiano della libreria partiva sistematicamente l'ululo: "aaaaah! Porta via quea roba! Che no succeda calcossa!". Non ho mai capito cosa debba succedere con un arnese scarico, per giunta con la sicura innescata, appoggiato come un soprammobile. Avrei potuto batterci le bistecche, o al massimo usarla come piantabulbi per i crocus prendendola per il manico e forandoci il terreno in giardino. Ma quello che rappresenta spaventa (non me, ma io non faccio testo, per lo stesso motivo per cui quando vedo la Gazzella nei dintorni anzichè allarmarmi accendo la macchina del caffè).
Insomma, sono convinta che gli oggetti siano solo dei mezzi, sta a noi usarli bene o male.
E io al mo smarfono ho trovato una utilità per comunicare mica da poco.
Sono molto meno sola, e contemporaneamente riesco a fare più cose. Perchè se prima per stare al pc e chiacchierare con le amiche (anche e soprattutto quelle reali, ce ne sono poche che non conosco ancora di persona tra quelle con cui comunico quasi quotidianamente) dovevo appiattarmi in postazione e attendere i comodi di sua maestà il pc stesso (e usare taaaanto tempo in più per niente), adesso mi porto messenger, telefono e whatsup ovunque in poco spazio. Certo, non è come prendere un caffè vero (quello è insostituibile), ma per me è una cosa preziosa. E' stato prezioso nei giorni scorsi durante le attese in ospedale, perchè non c'è di meglio per calmare l'ansia di quattro battute alla cavolo con chi sa dove andare a parare per farmi ridere, o anche per farmi spostare l'attenzione su cose piacevoli o frivole alternate alle partite a Tetris (odi et amo). Ed è prezioso in questi giorni in cui il gelo, sommato al lavoro per il mercatino, mi tengono inchiodata in casa per molte ore.
Non lo volevo, perchè sono sempre stata dell'idea che se sto al pc è perchè o sono in pausa, o perchè devo fare qualcosa che posso fare solo con il pc. Quindi non vedevo la necessità nè l'utilità di avere un pc-ino in borsa: se ho con me la borsa evidentemente è perchè sono fuori casa, fuori casa di tecnologico ho bisogno solo del cellulare, e un cellulare deve fare il cellulare, cioè telefonare e mandare sms. Tutto il resto sono orpelli inutili.
Pare, però, che il resto del mondo non la pensi così, e si organizza diversamente. Così il chiederlo è stato quasi obbligatorio: le mamme della scuola hanno il gruppo whatsup per girarsi le comunicazioni e i verbali degli interclasse, il coro degli adulti della parrocchia (canto di nuovo dopo quindici anni, veh che novità?) si passa le novità dell'ultima ora e le variazioni in corsa tramite whatsup, la mia "socia" per il mercatino di Natale (faccio il mio primo mercatino, veh che altra novità?) ed io abbiamo un milione di cose da dirci ogni santo giorno per organizzare le cose e via sms o telefonata costerebbe un mutuo, insomma, se non hai whatsup oggi sembra che tu sia tagliata fuori da una fetta di mondo piuttosto consistente.
Insomma, con la scusa del compleanno mi sono "calata", ed è arrivato.
Signore e signori, squilli di trombe, da una decina di giorni ho il mio SMARFONO. Che non è lo Smartphone, io sono veneta, e i veneti hanno lo SMARFON, italianizzato SMARFONO.
E direte, "e quindi? Lo abbiamo tutti, non sei l'unica".
Grazie, lo so. Ma se lo scrivo è perchè in questi giorni sto riflettendo su quanto un cosino così piccolo effettivamente può cambiarti le abitudini. Per la serie, "come cappero facevo prima?".
Stiamo facendo conoscenza.
Litighiamo per diversi motivi:
-scivola dalle mani. E' sottile, superliscio, la custodia deve ancora arrivarmi (ne ho ordinata una superfighizzima, nera con disegnate delle farfalle rosa e arancioni, con i gatti non c'era, mannaggia), sguscia come un'anguilla. E a me le anguille fanno senso, da vive e da secondo piatto.
-La tastiera è piccola, i tasti sono piccoli, anche a girarlo in orizzontale.
-Il T9. Ho dichiarato guerra aperta al T9. Scrivo, correggo, invio la parola alla barra di testo e me la ri-corregge come vuole lui, sequenza a ripetersi un milione di volte. Fa passare la voglia di scrivere e fa venir voglia di fare direttamente una telefonata, non fosse che io detesto comunicare per telefono a voce. Mette gli spazi dove vuole, non capisce che "Latisana" e "La tisana" non sono la stessa cosa, e io una la raggiungo in auto e l'altra la bevo due volte al giorno, che gli piaccia oppure no, e non sono interscambiabili nella stessa frase. Tanto per dirne una. Il T9 deve morire, o cambiare spacciatore.
-La batteria dura il tempo di un respiro. Il Gatto Alfa dice che finchè lo uso nel modo in cui lo sto usando in questi giorni, non può durare di più. Avrà anche ragione. Ma io ero abituata a mettere in carica il cellulare due volte a settimana, non due volte al giorno. Una sana via di mezzo sarebbe una cosa sana, no?
-E' meno intuitivo del mio pc. Non mi è stato fornito un manuale d'uso, sto imparando ad usarlo a naso e coadiuvata dall'esperienza di amiche e conoscenti (via whatsup, e come sennò?), ma sto coso è pieno di misteri. Per esempio la mission di questi giorni è imparare a spostare la maggior parte dei dati sulla scheda di memoria aggiuntiva, ed è una impresa che pare titanica.
-Appunto, la memoria del telefono è quella di un criceto. E qui mi fermo, per rispetto ai criceti.
-Ha un milione di funzioni, ma faccio ancora pasticci per rispondere alle telefonate. Facendo peraltro figure assai magre, e per fortuna ridendoci sopra la gente all'altro capo della linea si intenerisce e di solito mi tranquillizza con un "non preoccuparti, ci sono passata anch'io", come se fosse il morbillo. Vero o no, è imbarazzante. E quando parte la marcia a squilli di trombe che ho impostato come suoneria (ma quanto mi manca la mia cara vecchia registrazione del Power che urla "mammaaaaa rispondi al telefonoooooo!", devo vedere se riesco a metterla anche qui) e appare la malefica striscia rosso-verde che ammicca, parte qualcosa di paragonabile ad un mini attacco d'ansia.
Peeeerò.
E' anche vero che molte cose, con lui, sono più facili di prima.
Ho internet dove voglio. Ho tutte le informazioni che voglio dove voglio e quando voglio. L'altro giorno ero da mia madre, mi racconta che la nonna ha un problema col medico: ha cambiato numero di telefono, non sa come recuperare quello nuovo, con la zia ha litigato e non vuole darglielo, non vuole fare brutta figura a chiederlo in giro, sull'elenco non c'è ancora. Ho googolato il numero della farmacia del posto, ho chiesto il numero, l'ho passato. In meno di due minuti. Una stupidaggine. Ma non per una donna di novant'anni che vive da sola.
Ho perso la lista dei fogli da preparare sul libro del coro. Una mia compagna di gorgheggi ha fotografato la sua lista e me l'ha passata via whatsup in un secondo.
E poi...
Si ha un bel dire che la tecnologia ammazza la comunicazione. Va di moda dire che abbiamo la testa china sullo strumento elettronico e siamo soli anche in mezzo alla folla. Ma anche che la comunicazione tramite il virtuale è solo una illusione.
Fino a un po' di tempo fa mio marito aveva l'abitudine di portare l'arma su e giù da casa al lavoro e viceversa (ora la tiene per lo più in ufficio, per motivi che non sto a spiegare). Capitava che di ritorno dal turno di notte la dimenticasse in soggiorno, scaricata ovviamente, anzichè portarla di sopra al suo posto; in quindici anni di matrimonio più due di fidanzamento ho imparato presto a considerarla parte dell'arredamento, ma quando mia madre arrivava di prima mattina per il suo solito giro e se la trovava davanti sul ripiano della libreria partiva sistematicamente l'ululo: "aaaaah! Porta via quea roba! Che no succeda calcossa!". Non ho mai capito cosa debba succedere con un arnese scarico, per giunta con la sicura innescata, appoggiato come un soprammobile. Avrei potuto batterci le bistecche, o al massimo usarla come piantabulbi per i crocus prendendola per il manico e forandoci il terreno in giardino. Ma quello che rappresenta spaventa (non me, ma io non faccio testo, per lo stesso motivo per cui quando vedo la Gazzella nei dintorni anzichè allarmarmi accendo la macchina del caffè).
Insomma, sono convinta che gli oggetti siano solo dei mezzi, sta a noi usarli bene o male.
E io al mo smarfono ho trovato una utilità per comunicare mica da poco.
Sono molto meno sola, e contemporaneamente riesco a fare più cose. Perchè se prima per stare al pc e chiacchierare con le amiche (anche e soprattutto quelle reali, ce ne sono poche che non conosco ancora di persona tra quelle con cui comunico quasi quotidianamente) dovevo appiattarmi in postazione e attendere i comodi di sua maestà il pc stesso (e usare taaaanto tempo in più per niente), adesso mi porto messenger, telefono e whatsup ovunque in poco spazio. Certo, non è come prendere un caffè vero (quello è insostituibile), ma per me è una cosa preziosa. E' stato prezioso nei giorni scorsi durante le attese in ospedale, perchè non c'è di meglio per calmare l'ansia di quattro battute alla cavolo con chi sa dove andare a parare per farmi ridere, o anche per farmi spostare l'attenzione su cose piacevoli o frivole alternate alle partite a Tetris (odi et amo). Ed è prezioso in questi giorni in cui il gelo, sommato al lavoro per il mercatino, mi tengono inchiodata in casa per molte ore.
sabato 28 novembre 2015
Ancora sulla giostra, uno sfogo a caldo (poi mi passa, oh se mi passa)
Allora.
Lunedì sono stata a fare l'isteroscopia. Chi l'ha fatta sa che non è una passeggiata, ma sinceramente da come mi era stata raccontata la pensavo un'esperienza peggiore di quello che poi è stata.
L'attesa è stata lunga: sono stata ricoverata alle sette e mezzo e visitata all'una e un quarto. Normale quando si va in ospedale, anche se ho atteso con altre tre donne in vena di chiacchiere. Normalmente non chiacchiero volentieri in queste situazioni, ma stavolta mi sono lasciata trascinare, e non è stato spiacevole. Ha ridotto drasticamente l'ansia.
Il dolore è stato piuttosto intenso, ma breve e tollerabile, accentuato sicuramente dal fatto che avendo l'utero antiverso ed essendo in menopausa chimica ormai da cinque anni, non ero proprio nelle condizioni fisiologiche migliori per il migliore degli esami. Ma insomma, c'è di peggio. Vivo peggio la paura del dentista.
E' stata fatta la biopsia, a vista sembra solo un "coagulo" di endometrio, ma attendiamo gli esiti dell'istologico verso fine anno per tirare il fiato. Anche perchè il medico ha fatto più prelievi, dato che c'era, tutto attorno. E' stato pheeghizzimo stare a guardare il monitor che avevo accanto mentre venivano fatti esame e prelievi: ho visto l'interno del mio utero a colori, in 3D e ingrandito, con tanto di pinza a bocca di coccodrillo ingrandita che strappava qui e là pezzi di tessuto. La curiosità ha alleviato la tensione.
Infine mi sono "goduta" un pomeriggio spossante in poltrona, davanti al fuoco, tisanE (non tisanA) alla mano, coi gatti che si alternavano al mio fianco, senza cenare, a letto presto.
Si lo so, posso sembrare strana, ma in questi anni ho imparato che concentrarsi sull'aspetto drammatico di queste cose (a posteriori, perchè "durante" sfido chiunque a non essere teso) non aiuta per niente ad affrontarle, non le migliora, anzi le peggiora solamente, e non cambia gli esiti finali.
E' con questo spirito che ieri sono stata a fare la risonanza magnetica al seno con mezzo di contrasto. Mai fatta prima. A pancia in giù, che pensavo fosse di un fastidioso incredibile, e invece è stata più comoda di quella in posizione supina, meno claustrofobica. Controllo, semplice controllo ordinato dall'oncologo, così da confermare ulteriormente anche gli esiti delle due ecografie e della biopsia di febbraio e maggio 2015 (il granuloma sul seno operato).
Un quarto d'ora di esame, poi mi fanno accomodare in osservazione per una mezz'ora prima di togliermi l'ago dal braccio. Ad un certo punto esce il medico, e mi chiede il dischetto dell'ultima ecografia fatta per verificare alcune immagini, il referto lo avevano già in fotocopia. Glielo porgo, me lo restituisce dopo un quarto d'ora. Alle dieci circa esco e vado a fare colazione (ero digiuna).
Per fare contenti i suoceri, dato che al ritorno è bastata una deviazione di pochissimi chilometri e il Power non sarebbe stato a casa prima delle cinque, siamo stati a pranzo da loro. E mentre pranzavamo è arrivata la telefonata.
"Signora, è la Radiologia dell'ospedale della Big City, ci siamo viste circa tre ore fa". E già lì...
"Dovrebbe tornare... dovremmo vedere... le abbiamo fissato una ecografia per martedì prossimo".
Credo di essere diventata di un colore indefinibile, perchè a tavola mi guardavano con gli occhi sgranati.
"Ma l'ho fatta a maggio e tre mesi prima, c'è la biopsia, avete tutto... La risonanza serviva a ratificare le due eco. Avete trovato qualcosa d'altro???"
"Si, no, ma dovremmo verificare, analizzare meglio, a volte dopo la risonanza si fa l'eco per confermare l'esito".
"Ma ho già una ecografia fissata per il prossimo febbraio, non mancano secoli".
"No, dobbiamo farla subito, ma stia tranquilla".
AAAAAHAHAHAHAHAH. Bella battuta.
Tranquilla un par di ciufoli. Vorrei vedere voi. Soprattutto dopo che i medici, nonostante passino gli anni dal tumore (ormai quasi SEI), vi trattano come foste bombe ad orologeria, vi continuano a fissare i controlli a sei/otto mesi anzichè portarli ad annuali (come hanno fatto con la mia mamma, che secondo loro l'aveva peggiore della mia, la menata), ad ogni spillo fuori posto vi fanno passare sotto ad uno scanner random, MA vi congedano costantemente con un "signora stia tranquilla". Ecco, questo mi da profondamente ai nervi. Mi fa sentire un tichinin presa per il sedere. D'altra parte non vedo che altro potrebbero dirmi, umanamente non è facile trovare le cose giuste da dire, ricordo perfettamente come ragionavo prima della malattia, e so quanto suscettibili si possa diventare "dopo". Ma quel "stia tranquilla" mi urta. Come mi urtano i "pensa positivo". No, cacchio. Io non penso positivo, non in questi frangenti. Io penso che non mettere sul piatto la realtà dei fatti, il rischio, è fare come gli struzzi. Accetto meglio un "non annegarci, cerca di distrarti, non concentrarti solo sul peggio", è più realistico, e così ho sempre fatto e lo farò ancora, perchè ho anche altro a cui pensare (fortunatamente) durante il giorno, e non sono mica in punto di morte. Non mi sento la terra mancare sotto ai piedi come succede a tante (purtroppo) ad ogni controllo anche dopo anni ed anni, non sono angosciata. Forse è fortuna, forse è questione di carattere, o forse è tutte e due. Ma "pensa positivo" non ditelo. MAI. Perchè se foste al posto mio, nostro, capireste che è non impossibile, ma irrazionale.
E così martedì altro giro, altra corsa.
La verità? Ieri sera non ero in ansia, non lo sono nemmeno stamattina. Assurdo? Forse.
Non ero in ansia, ero solo incazzata, e tanto. L'assurdo è che non so il motivo, e non so nemmeno con chi fossi incazzata, ma lo ero terribilmente, profondamente, furiosamente. Era più forte di me. Ero incazzata e stufa, stufissima, con poca voglia di parlare e tanta di concentrarmi su cose più interessanti, come il mio primo mercatino del sei dicembre, ho tante di quelle cose da fare ancora per allestire il banco. Non ho nè voglia nè energie da regalare ad una malattia che non c'è (perchè NON c'è più, non deve esserci e non c'è, lo dico io e basta), alle ipotesi, alle corse alla Big City come a Tisanville, agli scanner, e soprattutto agli imprevisti che non regalano niente in cambio, anzi, fanno solo perdere tempo. Prego e spero solo che i markers che andrò a fare a metà dicembre non abbiano nemmeno una virgola fuori range, o chissà dove altro mi spediscono a farmi rabaltare. E anzichè a febbraio andro avanti ad oltranza anche stavolta.
Sicuramente con il passare delle ore questa cosa andrà a scemare, ma intanto c'è, è la sensazione di essere su una giostra che non si ferma, e io non ho mai amato le giostre al pari di quanto non amo le maschere. Voglio decidere io come girare, non lasciar decidere a un giostraio che non vedo nemmeno in viso.
Lunedì sono stata a fare l'isteroscopia. Chi l'ha fatta sa che non è una passeggiata, ma sinceramente da come mi era stata raccontata la pensavo un'esperienza peggiore di quello che poi è stata.
L'attesa è stata lunga: sono stata ricoverata alle sette e mezzo e visitata all'una e un quarto. Normale quando si va in ospedale, anche se ho atteso con altre tre donne in vena di chiacchiere. Normalmente non chiacchiero volentieri in queste situazioni, ma stavolta mi sono lasciata trascinare, e non è stato spiacevole. Ha ridotto drasticamente l'ansia.
Il dolore è stato piuttosto intenso, ma breve e tollerabile, accentuato sicuramente dal fatto che avendo l'utero antiverso ed essendo in menopausa chimica ormai da cinque anni, non ero proprio nelle condizioni fisiologiche migliori per il migliore degli esami. Ma insomma, c'è di peggio. Vivo peggio la paura del dentista.
E' stata fatta la biopsia, a vista sembra solo un "coagulo" di endometrio, ma attendiamo gli esiti dell'istologico verso fine anno per tirare il fiato. Anche perchè il medico ha fatto più prelievi, dato che c'era, tutto attorno. E' stato pheeghizzimo stare a guardare il monitor che avevo accanto mentre venivano fatti esame e prelievi: ho visto l'interno del mio utero a colori, in 3D e ingrandito, con tanto di pinza a bocca di coccodrillo ingrandita che strappava qui e là pezzi di tessuto. La curiosità ha alleviato la tensione.
Infine mi sono "goduta" un pomeriggio spossante in poltrona, davanti al fuoco, tisanE (non tisanA) alla mano, coi gatti che si alternavano al mio fianco, senza cenare, a letto presto.
Si lo so, posso sembrare strana, ma in questi anni ho imparato che concentrarsi sull'aspetto drammatico di queste cose (a posteriori, perchè "durante" sfido chiunque a non essere teso) non aiuta per niente ad affrontarle, non le migliora, anzi le peggiora solamente, e non cambia gli esiti finali.
E' con questo spirito che ieri sono stata a fare la risonanza magnetica al seno con mezzo di contrasto. Mai fatta prima. A pancia in giù, che pensavo fosse di un fastidioso incredibile, e invece è stata più comoda di quella in posizione supina, meno claustrofobica. Controllo, semplice controllo ordinato dall'oncologo, così da confermare ulteriormente anche gli esiti delle due ecografie e della biopsia di febbraio e maggio 2015 (il granuloma sul seno operato).
Un quarto d'ora di esame, poi mi fanno accomodare in osservazione per una mezz'ora prima di togliermi l'ago dal braccio. Ad un certo punto esce il medico, e mi chiede il dischetto dell'ultima ecografia fatta per verificare alcune immagini, il referto lo avevano già in fotocopia. Glielo porgo, me lo restituisce dopo un quarto d'ora. Alle dieci circa esco e vado a fare colazione (ero digiuna).
Per fare contenti i suoceri, dato che al ritorno è bastata una deviazione di pochissimi chilometri e il Power non sarebbe stato a casa prima delle cinque, siamo stati a pranzo da loro. E mentre pranzavamo è arrivata la telefonata.
"Signora, è la Radiologia dell'ospedale della Big City, ci siamo viste circa tre ore fa". E già lì...
"Dovrebbe tornare... dovremmo vedere... le abbiamo fissato una ecografia per martedì prossimo".
Credo di essere diventata di un colore indefinibile, perchè a tavola mi guardavano con gli occhi sgranati.
"Ma l'ho fatta a maggio e tre mesi prima, c'è la biopsia, avete tutto... La risonanza serviva a ratificare le due eco. Avete trovato qualcosa d'altro???"
"Si, no, ma dovremmo verificare, analizzare meglio, a volte dopo la risonanza si fa l'eco per confermare l'esito".
"Ma ho già una ecografia fissata per il prossimo febbraio, non mancano secoli".
"No, dobbiamo farla subito, ma stia tranquilla".
AAAAAHAHAHAHAHAH. Bella battuta.
Tranquilla un par di ciufoli. Vorrei vedere voi. Soprattutto dopo che i medici, nonostante passino gli anni dal tumore (ormai quasi SEI), vi trattano come foste bombe ad orologeria, vi continuano a fissare i controlli a sei/otto mesi anzichè portarli ad annuali (come hanno fatto con la mia mamma, che secondo loro l'aveva peggiore della mia, la menata), ad ogni spillo fuori posto vi fanno passare sotto ad uno scanner random, MA vi congedano costantemente con un "signora stia tranquilla". Ecco, questo mi da profondamente ai nervi. Mi fa sentire un tichinin presa per il sedere. D'altra parte non vedo che altro potrebbero dirmi, umanamente non è facile trovare le cose giuste da dire, ricordo perfettamente come ragionavo prima della malattia, e so quanto suscettibili si possa diventare "dopo". Ma quel "stia tranquilla" mi urta. Come mi urtano i "pensa positivo". No, cacchio. Io non penso positivo, non in questi frangenti. Io penso che non mettere sul piatto la realtà dei fatti, il rischio, è fare come gli struzzi. Accetto meglio un "non annegarci, cerca di distrarti, non concentrarti solo sul peggio", è più realistico, e così ho sempre fatto e lo farò ancora, perchè ho anche altro a cui pensare (fortunatamente) durante il giorno, e non sono mica in punto di morte. Non mi sento la terra mancare sotto ai piedi come succede a tante (purtroppo) ad ogni controllo anche dopo anni ed anni, non sono angosciata. Forse è fortuna, forse è questione di carattere, o forse è tutte e due. Ma "pensa positivo" non ditelo. MAI. Perchè se foste al posto mio, nostro, capireste che è non impossibile, ma irrazionale.
E così martedì altro giro, altra corsa.
La verità? Ieri sera non ero in ansia, non lo sono nemmeno stamattina. Assurdo? Forse.
Non ero in ansia, ero solo incazzata, e tanto. L'assurdo è che non so il motivo, e non so nemmeno con chi fossi incazzata, ma lo ero terribilmente, profondamente, furiosamente. Era più forte di me. Ero incazzata e stufa, stufissima, con poca voglia di parlare e tanta di concentrarmi su cose più interessanti, come il mio primo mercatino del sei dicembre, ho tante di quelle cose da fare ancora per allestire il banco. Non ho nè voglia nè energie da regalare ad una malattia che non c'è (perchè NON c'è più, non deve esserci e non c'è, lo dico io e basta), alle ipotesi, alle corse alla Big City come a Tisanville, agli scanner, e soprattutto agli imprevisti che non regalano niente in cambio, anzi, fanno solo perdere tempo. Prego e spero solo che i markers che andrò a fare a metà dicembre non abbiano nemmeno una virgola fuori range, o chissà dove altro mi spediscono a farmi rabaltare. E anzichè a febbraio andro avanti ad oltranza anche stavolta.
Sicuramente con il passare delle ore questa cosa andrà a scemare, ma intanto c'è, è la sensazione di essere su una giostra che non si ferma, e io non ho mai amato le giostre al pari di quanto non amo le maschere. Voglio decidere io come girare, non lasciar decidere a un giostraio che non vedo nemmeno in viso.
venerdì 20 novembre 2015
Mamigauguri, ma ditelo sottovoce
C'è chi ha paura dei "venerdì 17".
Io ho paura del mio compleanno.
2012, quarantesimo genetliaco: la sera prima muore la nonna centenaria del Gatto Alfa, ovviamente il Gatto Alfa dimentica il mio compleanno (il minimo della pena), io in piena crisi isterica da "noncelafacciopiù" dopo due settimane di agonia della Ghighie con relativo scombussolo, strazio, andirivieni di tutta la famiglia verso la Big City, senso di impotenza incalzante (perchè io non ho potuto fare altro che stare dietro le quinte, supportare con pasti pronti a qualsiasi ora e servizi taxi all'occorrenza, gestire il Power completamente da sola e fare in modo che l'omo tra turni di lavoro e corse in ospedale quotidiane a portare i suoi non avesse altre cose per cui preoccuparsi) e tensione di nervi a un miliardo che si "molla" in un colpo solo stile elastico da fionda (esiste una scala di misurazione dello stress nervoso?) trascorro metà pomeriggio e l'intera serata in lacrime. Ma fisse, proprio.
2013, quarantunesimo: nel primo pomeriggio ricevo la notizia che la nostra Anna vola libera, dopo l'inferno lunghissimo della malattia. Piango. Tanto. Ho il cuore stretto.
2014, quarantaduesimo: mi riservo di festeggiare la sera. Non ho preparato che una torta da dividere in tre, perchè non si sa mai, visti i precedenti. Ho trascorso la giornata completamente da sola: l'omo al lavoro, il Power dopo la scuola è andato alla festa di compleanno di un compagno, e non ha nemmeno cenato perchè si è imbottito di ogni ben di dei in casa del Samu. Le amiche più sensibili mi fanno gli auguri il giorno dopo. Apprezzo.
2015, oggi, quarantatreesimo compleanno: udite udite, meno di 24 ore fa ho ricevuto una tegola di discrete dimensioni. Sto facendo i controlli semestrali, ieri era il turno del ginecologo, che mi trova una piccola massa nell'endometrio e mi fissa un day hospital d'urgenza per una isteroscopia tra tre giorni. Può essere un polipo, un fibroma, o qualcosa d'altro che preferisco non ipotizzare, ma l'anno scorso non c'era, e oggi c'è. E va vista subito ed eventualmente rimossa e analizzata, per la solita manfrina "con quello che ha passato, la famigliarità, la terapia ormonale in corso e blablabla... non mi fido ad aspettare". Poi il doctor mi congeda con un "stia tranquilla signora", e a me vengono in mente un sacco di risposte alternative al "grazie, arrivederci a lunedì", che preferisco non elencare.
Che dire... Per il prossimo anno proporrò che mi addormentino il 18 sera e mi risveglino il 22 mattina. Mi piace dormire, sono narcolettica dalla nascita io. Dormire allunga la vita. Dormire mantiene giovani, distende le rughe, ha un botto di vantaggi. Ma anche partire per un "three days" alle Canarie, sui Fiordi (belli quelli, anche per la temperatura, che io amo il freddo come il maggior dirigente della Bo Frost) o più semplicemente alle Terme di By-by-one, più economiche e logisticamente più appetibili. Per far finta di nascondersi. E magari godersela anche un po'.
Auguri, Mamigà. Sono quarantatrè.
Io ho paura del mio compleanno.
2012, quarantesimo genetliaco: la sera prima muore la nonna centenaria del Gatto Alfa, ovviamente il Gatto Alfa dimentica il mio compleanno (il minimo della pena), io in piena crisi isterica da "noncelafacciopiù" dopo due settimane di agonia della Ghighie con relativo scombussolo, strazio, andirivieni di tutta la famiglia verso la Big City, senso di impotenza incalzante (perchè io non ho potuto fare altro che stare dietro le quinte, supportare con pasti pronti a qualsiasi ora e servizi taxi all'occorrenza, gestire il Power completamente da sola e fare in modo che l'omo tra turni di lavoro e corse in ospedale quotidiane a portare i suoi non avesse altre cose per cui preoccuparsi) e tensione di nervi a un miliardo che si "molla" in un colpo solo stile elastico da fionda (esiste una scala di misurazione dello stress nervoso?) trascorro metà pomeriggio e l'intera serata in lacrime. Ma fisse, proprio.
2013, quarantunesimo: nel primo pomeriggio ricevo la notizia che la nostra Anna vola libera, dopo l'inferno lunghissimo della malattia. Piango. Tanto. Ho il cuore stretto.
2014, quarantaduesimo: mi riservo di festeggiare la sera. Non ho preparato che una torta da dividere in tre, perchè non si sa mai, visti i precedenti. Ho trascorso la giornata completamente da sola: l'omo al lavoro, il Power dopo la scuola è andato alla festa di compleanno di un compagno, e non ha nemmeno cenato perchè si è imbottito di ogni ben di dei in casa del Samu. Le amiche più sensibili mi fanno gli auguri il giorno dopo. Apprezzo.
2015, oggi, quarantatreesimo compleanno: udite udite, meno di 24 ore fa ho ricevuto una tegola di discrete dimensioni. Sto facendo i controlli semestrali, ieri era il turno del ginecologo, che mi trova una piccola massa nell'endometrio e mi fissa un day hospital d'urgenza per una isteroscopia tra tre giorni. Può essere un polipo, un fibroma, o qualcosa d'altro che preferisco non ipotizzare, ma l'anno scorso non c'era, e oggi c'è. E va vista subito ed eventualmente rimossa e analizzata, per la solita manfrina "con quello che ha passato, la famigliarità, la terapia ormonale in corso e blablabla... non mi fido ad aspettare". Poi il doctor mi congeda con un "stia tranquilla signora", e a me vengono in mente un sacco di risposte alternative al "grazie, arrivederci a lunedì", che preferisco non elencare.
Che dire... Per il prossimo anno proporrò che mi addormentino il 18 sera e mi risveglino il 22 mattina. Mi piace dormire, sono narcolettica dalla nascita io. Dormire allunga la vita. Dormire mantiene giovani, distende le rughe, ha un botto di vantaggi. Ma anche partire per un "three days" alle Canarie, sui Fiordi (belli quelli, anche per la temperatura, che io amo il freddo come il maggior dirigente della Bo Frost) o più semplicemente alle Terme di By-by-one, più economiche e logisticamente più appetibili. Per far finta di nascondersi. E magari godersela anche un po'.
Auguri, Mamigà. Sono quarantatrè.
martedì 10 novembre 2015
San Martin ze andà in sofita...
11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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San Martino, la tradizione di festeggiarlo risale a moltissimi secoli fa ormai, dalla fondazione della chiesa dedicata al Santo, nel 1540. Ne sono passati di secoli, quasi 5, ma la festa è giunta fino ai giorni nostri, ed è sempre molto sentita in città, amata da tutti i veneziani.
L'11 novembre, sempre da tradizione, i più piccoli girano per le strade della città con una corona di carta in testa, facendo confusione con pentole e campane, e chiedendo "un po' di generosità" ai passanti. Un modo come un altro per chiedere qualche soldo. Questa è una prassi che sta via via scomparendo, molto diffusa nei decenni passati, ma che non incontra più l'interesse dei bambini, più coinvolti da altri tipi di ricorrenza, una su tutti, Halloween. E saranno sicuramente in molti, specie i più attempati, a non capire il perché di questo cambio della tradizione.
Una tradizione che invece non scompare è quella che si festeggia a tavola, con i dolci di pastafrolla a forma di San Martino, che cavalca il suo cavallo. Glassati di cioccolato e ricoperti di caramelle, cioccolatini e dolciumi vari: un vero tripudio per gli occhi, ma anche per le proprie papille gustative. Le pasticcerie e le vetrine, addobbate a tema, pullulano di dolci di San Martino in tutte le dimensioni e forme, riccamente colorati: dei piccoli capolavori ai quali è davvero molto difficile rimanere indifferenti.
11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
„
Tradizione tipicamente veneziana, quella della preparazione del dolce di pastafrolla a "forma" di santo si sta diffondendo anche nella terraferma, non solo nella provincia di Venezia, ma anche in quelle di Padova e Treviso.
Per tutti quelli che lo festeggiano, che San Martino è quello senza il dolcetto di pastafrolla, riccamente decorato e colorato?
Da un articolo di oggi di VeneziaToday (link)
E come ogni anno, se pure in trasferta definitiva da quindici anni, anche il 2015 ha il mio dolce di san Martino, che mi vede impegnata per mezz'ora il mattino per pasta e sagoma (più il tempo per la cottura, ma tanto il forno fa da sè) e un po' di più il pomeriggio per decorarlo.
Di solito, il giorno in cui lo preparo (il 10 novembre, in modo da averlo pronto il giorno della festa per farci colazione), i pensieri verso i ricordi di quando ero bambina la fanno da padroni mentre ci lavoro. Il dolce a forma di cavallo e cavaliere in casa nostra non mancava mai. Ho avuto un'ottima maestra, la mia mamma. Anche se lei il cioccolato non lo metteva, ma lo ricopriva di glassa bianca a riccioli e "bonboncini" (come li chiama lei). Dopo sposata l'ho sempre fatto io, affiancando le mie tradizioni a quelle prese nel luogo in cui vivo. E a beneficiarne, ovviamente, è mio figlio, che si pappa queste e quelle, e come me a distanza di trent'anni infila nello zaino di scuola il pezzo migliore per esibirlo (e disintegrarlo) a ricreazione.
E anche quest'anno, per il terzo anno consecutivo, l'amica che mi ha regalato lo stampo (grazie Cristina!) è stata ricordata con immenso affetto, per avermi agevolato nel lavoro ^_^
Il difficile è attendere domani per farlo a pezzi e farlo sparire.
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San Martino, la tradizione di festeggiarlo risale a moltissimi secoli fa ormai, dalla fondazione della chiesa dedicata al Santo, nel 1540. Ne sono passati di secoli, quasi 5, ma la festa è giunta fino ai giorni nostri, ed è sempre molto sentita in città, amata da tutti i veneziani.
L'11 novembre, sempre da tradizione, i più piccoli girano per le strade della città con una corona di carta in testa, facendo confusione con pentole e campane, e chiedendo "un po' di generosità" ai passanti. Un modo come un altro per chiedere qualche soldo. Questa è una prassi che sta via via scomparendo, molto diffusa nei decenni passati, ma che non incontra più l'interesse dei bambini, più coinvolti da altri tipi di ricorrenza, una su tutti, Halloween. E saranno sicuramente in molti, specie i più attempati, a non capire il perché di questo cambio della tradizione.
Una tradizione che invece non scompare è quella che si festeggia a tavola, con i dolci di pastafrolla a forma di San Martino, che cavalca il suo cavallo. Glassati di cioccolato e ricoperti di caramelle, cioccolatini e dolciumi vari: un vero tripudio per gli occhi, ma anche per le proprie papille gustative. Le pasticcerie e le vetrine, addobbate a tema, pullulano di dolci di San Martino in tutte le dimensioni e forme, riccamente colorati: dei piccoli capolavori ai quali è davvero molto difficile rimanere indifferenti.
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Tradizione tipicamente veneziana, quella della preparazione del dolce di pastafrolla a "forma" di santo si sta diffondendo anche nella terraferma, non solo nella provincia di Venezia, ma anche in quelle di Padova e Treviso.
Per tutti quelli che lo festeggiano, che San Martino è quello senza il dolcetto di pastafrolla, riccamente decorato e colorato?
Da un articolo di oggi di VeneziaToday (link)
E come ogni anno, se pure in trasferta definitiva da quindici anni, anche il 2015 ha il mio dolce di san Martino, che mi vede impegnata per mezz'ora il mattino per pasta e sagoma (più il tempo per la cottura, ma tanto il forno fa da sè) e un po' di più il pomeriggio per decorarlo.
Di solito, il giorno in cui lo preparo (il 10 novembre, in modo da averlo pronto il giorno della festa per farci colazione), i pensieri verso i ricordi di quando ero bambina la fanno da padroni mentre ci lavoro. Il dolce a forma di cavallo e cavaliere in casa nostra non mancava mai. Ho avuto un'ottima maestra, la mia mamma. Anche se lei il cioccolato non lo metteva, ma lo ricopriva di glassa bianca a riccioli e "bonboncini" (come li chiama lei). Dopo sposata l'ho sempre fatto io, affiancando le mie tradizioni a quelle prese nel luogo in cui vivo. E a beneficiarne, ovviamente, è mio figlio, che si pappa queste e quelle, e come me a distanza di trent'anni infila nello zaino di scuola il pezzo migliore per esibirlo (e disintegrarlo) a ricreazione.
E anche quest'anno, per il terzo anno consecutivo, l'amica che mi ha regalato lo stampo (grazie Cristina!) è stata ricordata con immenso affetto, per avermi agevolato nel lavoro ^_^
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venerdì 6 novembre 2015
Discorsi non più nuovi
All'inizio la sensazione è stata quella di sbattere il naso, nel vero senso della parola: una è abituata a giostrarsi tra i cartoni animati e la nuova nave di Lego ultimo modello made by Power costata un'ora e mezzo di lavoro certosino, e di punto in bianco calano dal cielo novità che sembrano uscire dalla bocca di un alieno, o comunque un figlio non proprio. Ma ci sto facendo l'abitudine, e non è affatto spiacevole, dato che ho un interlocutore che si dimostra molto interessato, e piuttosto incline ad una sana (a me sembra) elaborazione dei concetti in questione, peraltro per niente semplici, dato che coinvolgono un mucchio di sensazioni fisiche ed emotive nuovissime da gestire.
Da settimane, quando siamo soli a tavola io e lui (e solo in queste situazioni, perchè, dice, "tu mi prendi sul serio quando parlo di queste cose"... e io mi alzo di venti centimetri da terra), vuole parlare di sesso, di omosessualità, di masturbazione, di perversioni, di amore. A volte ridacchia, e penso sia normale, ma la maggior parte del tempo lo passa a far domande. Sono sicura che una parte di lui è mossa dalla curiosità, dato che tra amici ormai ne parlano (e ne sparlano) ogni giorno: sono argomenti da fighi, e gli amici che hanno fratelli più grandi sono ancora più fighi perchè le sparano più grosse (alcune mi fanno rabaltare sulla sedia dal ridere, sono sincera!). L'altra parte, e per ora la percepisco ancora molto piccola, credo sia un inizio di rabaltamento di ormoni. Credo che il problema inizierà ad esserci quando le due parti si invertiranno. Non la vedo semplice, per lui e per me.
Tante mamme rimpiangono i pannolini, le pappe, il borotalco e la culla. Io no.
Sarò sincera: a me sta benissimo così. Perchè per quanto difficile, e difficile lo è sempre essere genitore, adesso mi sembra di godere di tutta la personalità di mio figlio ma senza sfinimenti, senza più i capricci esasperanti, senza la fatica di doverlo gestire fisicamente, senza ancora i problemi dell'adolescenza vera e propria. Ed è una personalità che adoro.
Da settimane, quando siamo soli a tavola io e lui (e solo in queste situazioni, perchè, dice, "tu mi prendi sul serio quando parlo di queste cose"... e io mi alzo di venti centimetri da terra), vuole parlare di sesso, di omosessualità, di masturbazione, di perversioni, di amore. A volte ridacchia, e penso sia normale, ma la maggior parte del tempo lo passa a far domande. Sono sicura che una parte di lui è mossa dalla curiosità, dato che tra amici ormai ne parlano (e ne sparlano) ogni giorno: sono argomenti da fighi, e gli amici che hanno fratelli più grandi sono ancora più fighi perchè le sparano più grosse (alcune mi fanno rabaltare sulla sedia dal ridere, sono sincera!). L'altra parte, e per ora la percepisco ancora molto piccola, credo sia un inizio di rabaltamento di ormoni. Credo che il problema inizierà ad esserci quando le due parti si invertiranno. Non la vedo semplice, per lui e per me.
Tante mamme rimpiangono i pannolini, le pappe, il borotalco e la culla. Io no.
Sarò sincera: a me sta benissimo così. Perchè per quanto difficile, e difficile lo è sempre essere genitore, adesso mi sembra di godere di tutta la personalità di mio figlio ma senza sfinimenti, senza più i capricci esasperanti, senza la fatica di doverlo gestire fisicamente, senza ancora i problemi dell'adolescenza vera e propria. Ed è una personalità che adoro.
domenica 25 ottobre 2015
Salvia, melissa e origano
L'anno scorso non ho potuto farlo questo lavoro, perchè ha piovuto troppo, le piante non si sono mai asciugate a sufficienza per essere raccolte a questo scopo. Inoltre proprio per via dell'eccessiva umidità persistente non sarei riuscita comunque a ricavarne qualcosa in una quantità utile minima.
Sto parlando dell'essiccazione delle mie piante aromatiche.
In questi giorni di sole l'aria si è resa ideale, e allora via. Salvia, melissa e (poco) origano erano davvero invitanti stamattina, e il fatto che sia domenica (la giornata in cui raramente ho orari che comandano le mie attività) è stato determinante.
Le piante di salvia che ho in giardino sono due, di due varietà diverse: una cresce più a cespuglio tanto in altezza quanto in diametro, e ha le foglie lunghe e strette, sottili ma piuttosto grandi, e rami morbidi.
L'altra rimane molto più bassa, ha le foglie più larghe e carnose (è la salvia che si può friggere, provata, buonissima) e di colore verde marcatamente argenteo, e rami legnosi. In realtà qui le piante sono due, la più piccola è sulla sinistra, indistinguibile nell'insieme.
La melissa (bella lei, baciata dal sole delle undici del mattino) è anch'essa in due cespugli, fotografato solo uno, ed è una di quelle piante che più taglio e più rinvigorisce.
Sulla destra si scorge appena la pianta di origano, cresciuta molto poco quest'anno, ma che ha dato a suo tempo dei fiori spettacolari.
Mi sarebbe piaciuto usare il classico cestino anzichè fare andirivieni con i rami, fa anche tanta scena (e a me la scena piace da morire!), ma ho fatto comunque un bel bottino.
Non so se mi sono beata più dei colori o dei profumi, fatto sta che quest'ora è stata piacevolissima. Avevo il sole che batteva sulle spalle, e attorno gli unici rumori che sentivo erano quelli della periferia del paese, attutiti, familiari.
Con immensa tranquillità e attenzione ho eliminato tutte le foglie che presentavano imperfezioni o macchie anche minime. Parte di queste piante, una volta essiccata, andrà usata in cucina (il resto servirà per i suffumigi per alleviare i sintomi degli inevitabili raffreddori invernali, per qualche pediluvio, e vorrei provare anche a fare un oleolito a freddo con la melissa): deve essere più che sana.
Legata in mazzetti non troppo grandi (deve poter circolare più aria possibile) e avvolti i mazzetti nella carta da giornale uno ad uno...
... sono finiti appesi come le altre volte sotto alla tettoia delle auto, dove non batte mai il sole, non si depositano mai l'umidità e di conseguenza la brina, e dove circola aria a sufficienza, essendo la tettoia aperta su tre lati.
E adesso aspettiamo le tre settimane canoniche, sperando che anche stavolta se ne ricavi sufficiente materiale secco e asciutto. Scrivo "sperando" perchè è un po' un terno al lotto: deve collaborare il meteo, e devono collaborare gli insetti, perchè un anno ho dovuto buttare tutto avendo trovato gli involti pieni di api e cimici. Una schifezza incredibile.
Lavarmi le mani, avendole intrise del profumo della salvia (adoro!) e della melissa assieme, è stato un sacrificio.
Sto parlando dell'essiccazione delle mie piante aromatiche.
In questi giorni di sole l'aria si è resa ideale, e allora via. Salvia, melissa e (poco) origano erano davvero invitanti stamattina, e il fatto che sia domenica (la giornata in cui raramente ho orari che comandano le mie attività) è stato determinante.
Le piante di salvia che ho in giardino sono due, di due varietà diverse: una cresce più a cespuglio tanto in altezza quanto in diametro, e ha le foglie lunghe e strette, sottili ma piuttosto grandi, e rami morbidi.
L'altra rimane molto più bassa, ha le foglie più larghe e carnose (è la salvia che si può friggere, provata, buonissima) e di colore verde marcatamente argenteo, e rami legnosi. In realtà qui le piante sono due, la più piccola è sulla sinistra, indistinguibile nell'insieme.
La melissa (bella lei, baciata dal sole delle undici del mattino) è anch'essa in due cespugli, fotografato solo uno, ed è una di quelle piante che più taglio e più rinvigorisce.
Sulla destra si scorge appena la pianta di origano, cresciuta molto poco quest'anno, ma che ha dato a suo tempo dei fiori spettacolari.
Mi sarebbe piaciuto usare il classico cestino anzichè fare andirivieni con i rami, fa anche tanta scena (e a me la scena piace da morire!), ma ho fatto comunque un bel bottino.
Non so se mi sono beata più dei colori o dei profumi, fatto sta che quest'ora è stata piacevolissima. Avevo il sole che batteva sulle spalle, e attorno gli unici rumori che sentivo erano quelli della periferia del paese, attutiti, familiari.
Con immensa tranquillità e attenzione ho eliminato tutte le foglie che presentavano imperfezioni o macchie anche minime. Parte di queste piante, una volta essiccata, andrà usata in cucina (il resto servirà per i suffumigi per alleviare i sintomi degli inevitabili raffreddori invernali, per qualche pediluvio, e vorrei provare anche a fare un oleolito a freddo con la melissa): deve essere più che sana.
Legata in mazzetti non troppo grandi (deve poter circolare più aria possibile) e avvolti i mazzetti nella carta da giornale uno ad uno...
... sono finiti appesi come le altre volte sotto alla tettoia delle auto, dove non batte mai il sole, non si depositano mai l'umidità e di conseguenza la brina, e dove circola aria a sufficienza, essendo la tettoia aperta su tre lati.
E adesso aspettiamo le tre settimane canoniche, sperando che anche stavolta se ne ricavi sufficiente materiale secco e asciutto. Scrivo "sperando" perchè è un po' un terno al lotto: deve collaborare il meteo, e devono collaborare gli insetti, perchè un anno ho dovuto buttare tutto avendo trovato gli involti pieni di api e cimici. Una schifezza incredibile.
Lavarmi le mani, avendole intrise del profumo della salvia (adoro!) e della melissa assieme, è stato un sacrificio.
giovedì 15 ottobre 2015
La prima riunione a scuola
E' stata oggi.
Credevo di essere preparata a tutto, ma mi sbagliavo. Questo ha superato di gran lunga la mia capacità di immaginazione. Capirete, dopo cinque anni passati a sentire sempre una certa musica ad ogni assemblea, ci si convince che di diversa non può esisterne.
"E' una classe splendida, lavora bene, sono tutti bene educati, collaborano con gli insegnanti, rispondono agli stimoli e ci stimolano a loro volta, non si sono divisi in gruppetti antagonisti, sono gentili fra di loro, hanno accettato le nuove regole senza problemi, sono preparati, accettano di buon grado anche i voti sotto il sei senza drammi, arrivano tutti a scuola di buon umore. Sono solo ancora molto piccoli, immaturi, molto bambini, devono ancora fare il salto che li porta ad essere ragazzini, ma a parte questo (per cui è necessario rispettare i loro tempi) siamo molto contenti".
No. Cioè. Ventidue mamme sedute, ventidue mascelle cadute sul pavimento in un unico tonfo. Credo che le ventidue teste si siano chieste la stessa cosa nello stesso istante: parliamo degli stessi bambini, noi e i professori? Gli stessi che per cinque anni abbiamo sentito appellare come "selvatici, senza freni, ostili alle regole del vivere comune" e fantasiosi sinonimi? Gli stessi che per tre quarti erano stati indirizzati dagli psicologi a turno per presunti problemi comportamentali? Fateci capire.
Sono sotto choc. Fatemici riprendere.
Credevo di essere preparata a tutto, ma mi sbagliavo. Questo ha superato di gran lunga la mia capacità di immaginazione. Capirete, dopo cinque anni passati a sentire sempre una certa musica ad ogni assemblea, ci si convince che di diversa non può esisterne.
"E' una classe splendida, lavora bene, sono tutti bene educati, collaborano con gli insegnanti, rispondono agli stimoli e ci stimolano a loro volta, non si sono divisi in gruppetti antagonisti, sono gentili fra di loro, hanno accettato le nuove regole senza problemi, sono preparati, accettano di buon grado anche i voti sotto il sei senza drammi, arrivano tutti a scuola di buon umore. Sono solo ancora molto piccoli, immaturi, molto bambini, devono ancora fare il salto che li porta ad essere ragazzini, ma a parte questo (per cui è necessario rispettare i loro tempi) siamo molto contenti".
No. Cioè. Ventidue mamme sedute, ventidue mascelle cadute sul pavimento in un unico tonfo. Credo che le ventidue teste si siano chieste la stessa cosa nello stesso istante: parliamo degli stessi bambini, noi e i professori? Gli stessi che per cinque anni abbiamo sentito appellare come "selvatici, senza freni, ostili alle regole del vivere comune" e fantasiosi sinonimi? Gli stessi che per tre quarti erano stati indirizzati dagli psicologi a turno per presunti problemi comportamentali? Fateci capire.
Sono sotto choc. Fatemici riprendere.
martedì 13 ottobre 2015
Rialzare la testa
Il tempo lenisce qualsiasi sofferenza, anche se a volte affidarcisi costa molto.
E a volte, oltre al tempo e al lavorìo interiore, un contributo essenziale è la fortuna di avere un paio di ottime amiche, facciamo tre, lontane centinaia di chilometri o vicine poco più di una decina, pronte a dire quella parola giusta al momento giusto (una o diecimila) che fa scattare il passo verso la risalita. E non è detto che sia una (o siano diecimila) parola comoda, sia chiaro.
E' passato circa un mese. Il dolore si attenua. Ce ne si fa una ragione. Non ci sono le risposte che volevo da chi le volevo, e quasi sicuramente non le avrò mai, ma ce ne sono altre molto plausibili, quanto basta per farmi dire "ok, forse vale la pena di provare a cambiare punto di vista".
Ma se in questi giorni lo sgabello accanto al mio posto sul divano è tornato ad essere ricoperto di colori,
e se da una camicia da notte vecchia di vent'anni
in meno di un'ora faccio nascere una cucciotta per i miei miciozzi...
... e ancora, perdo un quarto d'ora sulla bancarella degli indiani al mercato per rovistare e portarmi a casa un po' di chincaglieria, per una manciata di neuri si intende, adatta a proseguire con i miei progetti natalizi
(e non ditemi che è presto perchè NON è presto)...
....e ricomincio a tortificare, ad ascoltare la mia amata musica barocca e a scoprirne di nuova (ma anche a gustare il silenzio quando in casa ci siamo solo io e i miei gatti, oggi pomeriggio rotto solo dallo scroscio della pioggia incessante e dal fruscio quasi impercettibile del filo che mi scorreva sotto le dita, o dal tintinnare degli arnesi da cucina mentre lavoravo), a fare i miei acquisti preferiti in questo periodo pregustando le pause profumate davanti alla stufa accesa...
...ad accettare gli inviti domenicali a casa di amici con la famiglia, a ricevere gente a casa quando capita l'occasione, a scrivere pagine e pagine sul mio diario cartaceo, a partecipare ai gruppi sul web a cui sono iscritta e che da tempo avevo disertato, a fare progetti concreti per usare come avrei voluto da dodici anni in qua il tempo riconquistato adesso che il Power è diventato più indipendente...
... a perdere tempo a filmare i miei miciozzi (la Mayola in primis)...
...posso dire che si, tutto sommato piango di tanto in tanto perchè la ferita non è ancora rimarginata (ho un pessimo rapporto con le cicatrici sul corpo perchè si chiudono lentamente e male, e quelle sull'anima non sono da meno), ma la realtà dei fatti è che si, la testa la sto rialzando. In maniera inaspettata, tra l'altro. Alla facciazza di chi mi ha piegato.
Che tutto sommato devo ammettere a me stessa che non tutto il male viene (solo) per nuocere.
E a volte, oltre al tempo e al lavorìo interiore, un contributo essenziale è la fortuna di avere un paio di ottime amiche, facciamo tre, lontane centinaia di chilometri o vicine poco più di una decina, pronte a dire quella parola giusta al momento giusto (una o diecimila) che fa scattare il passo verso la risalita. E non è detto che sia una (o siano diecimila) parola comoda, sia chiaro.
E' passato circa un mese. Il dolore si attenua. Ce ne si fa una ragione. Non ci sono le risposte che volevo da chi le volevo, e quasi sicuramente non le avrò mai, ma ce ne sono altre molto plausibili, quanto basta per farmi dire "ok, forse vale la pena di provare a cambiare punto di vista".
Ma se in questi giorni lo sgabello accanto al mio posto sul divano è tornato ad essere ricoperto di colori,
e se da una camicia da notte vecchia di vent'anni
in meno di un'ora faccio nascere una cucciotta per i miei miciozzi...
... e ancora, perdo un quarto d'ora sulla bancarella degli indiani al mercato per rovistare e portarmi a casa un po' di chincaglieria, per una manciata di neuri si intende, adatta a proseguire con i miei progetti natalizi
(e non ditemi che è presto perchè NON è presto)...
....e ricomincio a tortificare, ad ascoltare la mia amata musica barocca e a scoprirne di nuova (ma anche a gustare il silenzio quando in casa ci siamo solo io e i miei gatti, oggi pomeriggio rotto solo dallo scroscio della pioggia incessante e dal fruscio quasi impercettibile del filo che mi scorreva sotto le dita, o dal tintinnare degli arnesi da cucina mentre lavoravo), a fare i miei acquisti preferiti in questo periodo pregustando le pause profumate davanti alla stufa accesa...
...ad accettare gli inviti domenicali a casa di amici con la famiglia, a ricevere gente a casa quando capita l'occasione, a scrivere pagine e pagine sul mio diario cartaceo, a partecipare ai gruppi sul web a cui sono iscritta e che da tempo avevo disertato, a fare progetti concreti per usare come avrei voluto da dodici anni in qua il tempo riconquistato adesso che il Power è diventato più indipendente...
... a perdere tempo a filmare i miei miciozzi (la Mayola in primis)...
...posso dire che si, tutto sommato piango di tanto in tanto perchè la ferita non è ancora rimarginata (ho un pessimo rapporto con le cicatrici sul corpo perchè si chiudono lentamente e male, e quelle sull'anima non sono da meno), ma la realtà dei fatti è che si, la testa la sto rialzando. In maniera inaspettata, tra l'altro. Alla facciazza di chi mi ha piegato.
Che tutto sommato devo ammettere a me stessa che non tutto il male viene (solo) per nuocere.
venerdì 9 ottobre 2015
Il professore dai vecchi sistemi
-Il prof di tecnica ha detto che da oggi in poi chi sgarra si becca un "cento volte".
-Il che mi dice che ti sei beccato un "cento volte" proprio oggi, giusto?
-Sbagliato. Mi sono beccato un "duecento", ossia un "cento più cento". Devo farli entro martedì.
-Complimenti! Complimenti vivissimi! E per cosa, di grazia?
-Il primo "cento" perchè ho dimenticato il righello. Devo scrivere cento volte "Quando c'è l'ora di tecnica devo portare il righello".
-E il secondo?
-Il secondo "cento" perchè ho ribattuto al professore che anche Elisabetta, che è la mia compagna di banco da lunedì scorso, l'ha dimenticato. E lui mi ha detto di scrivere cento volte anche "devo farmi i fatti miei".
Mi piace questo professore. Mi piace proprio. Pollice alzatissimo. Una ola.
-Il che mi dice che ti sei beccato un "cento volte" proprio oggi, giusto?
-Sbagliato. Mi sono beccato un "duecento", ossia un "cento più cento". Devo farli entro martedì.
-Complimenti! Complimenti vivissimi! E per cosa, di grazia?
-Il primo "cento" perchè ho dimenticato il righello. Devo scrivere cento volte "Quando c'è l'ora di tecnica devo portare il righello".
-E il secondo?
-Il secondo "cento" perchè ho ribattuto al professore che anche Elisabetta, che è la mia compagna di banco da lunedì scorso, l'ha dimenticato. E lui mi ha detto di scrivere cento volte anche "devo farmi i fatti miei".
Mi piace questo professore. Mi piace proprio. Pollice alzatissimo. Una ola.
sabato 3 ottobre 2015
Ottobre: il mese della prevenzione e della diagnosi precoce del tumore al seno. Io ci metto la faccia.
Quest'anno lo dico a modo mio.
Ieri sera sono andata a letto alle due di notte per completarlo, stamattina ci ho lavorato un'ultima mezz'ora per pubblicarlo ed editare l'audio (con i pochi domestici mezzi a disposizione, non sono una professionista). Non ci ho pensato per giorni, non lo avevo in mente. Semplicemente in queste settimane sto sistemando gli album di foto reali e quelli nel computer, dato che ero in arretrato con i primi, e i secondi andavano a tutti i costi alleggeriti dato che il pc sta per lasciarmi a piedi, e non voglio avere l'universo da salvare su supporto prima del black out definitivo. Ieri sera ravanavo tra i files e mi è venuta l'idea.
Accendete le casse, fa la differenza.
NOTA: non posso vietare la condivisione di questo video, ma chiedo la cortesia prima di farlo di lasciarmi un messaggio qui sotto, grazie.
Il mio volto e il mio sguardo prima, durante e dopo il tumore al seno.
Questo video serve a me, per ricordarmi, guardandolo nei momenti di tristezza, quanto a volte il tempo e la fiducia che camminano a braccetto in salita possano portare a vette straordinarie.
Ieri sera sono andata a letto alle due di notte per completarlo, stamattina ci ho lavorato un'ultima mezz'ora per pubblicarlo ed editare l'audio (con i pochi domestici mezzi a disposizione, non sono una professionista). Non ci ho pensato per giorni, non lo avevo in mente. Semplicemente in queste settimane sto sistemando gli album di foto reali e quelli nel computer, dato che ero in arretrato con i primi, e i secondi andavano a tutti i costi alleggeriti dato che il pc sta per lasciarmi a piedi, e non voglio avere l'universo da salvare su supporto prima del black out definitivo. Ieri sera ravanavo tra i files e mi è venuta l'idea.
Accendete le casse, fa la differenza.
Ci metto la faccia. I pensieri ce li ho già messi in questi cinque anni.
Voi metteteci l'amore per voi stesse: fate diagnosi precoce.
Il mio volto e il mio sguardo prima, durante e dopo il tumore al seno.
Questo video serve a me, per ricordarmi, guardandolo nei momenti di tristezza, quanto a volte il tempo e la fiducia che camminano a braccetto in salita possano portare a vette straordinarie.
mercoledì 30 settembre 2015
Reagire! Reagireeeeee!
Ciapàtevelo il lato positivo! Sono rientrata nel mio tubino taglia 46 datato A.D. 2000! Una sforbiciata all'orlo e via! Eh beh... Stai a vedere che tra un po' mi tocca anche dire grazie...
domenica 20 settembre 2015
In sella
Non ho tanta voglia di scrivere, ma magari mi aiuta.
Sto male. Sto male di quel male che dilania l'anima, che certi schiaffi non si possono spiegare nè tantomeno raccontare, ma se ne può percepire il dolore, e sperare che i vecchi mezzi per attutirlo, come il blog, possano dare quel minimo di sollievo necessario almeno per riaprire un po' lo stomaco. Che nell'ultima settimana ho perso un chilo di peso, e se in altri momenti potrebbe avermi fatto un gran favore, perderlo così non mi piace. Preferivo il chilo in più e dormire la notte.
Non posso sbloggare la causa, ma posso sbloggare la sensazione, ed è rovente. Rare volte mi sono sentita così lacerata per una cosa che non sia la malattia fisica, bensì la semplice non-comprensione di qualcosa di grande, enorme, immenso. Siamo fatte male noi donne, dovremmo imparare un po' dagli uomini e lasciarci scivolare le cose dalle spalle con più facilità. E invece no, ce le gustiamo tutte, ce le facciamo passare tutte dalla testa ai piedi attraversando ogni singola cellula. Che errore.
Però quello che voglio appuntarmi oggi è una conquista.
Anzichè rimanere nella mia tana a leccarmi le ferite come ho sempre fatto in passato, in questi giorni ho conquistato i chilometri. Letteralmente. Ho scoperto il potere taumaturgico della strada che scorre sotto alle ruote. Camminare non posso, e pedalo. Mai come negli ultimi sette giorni ho macinato strada con la mia dueruote. Ho la fortuna di vivere in un posto bellissimo, che offre luoghi da attraversare in bici spettacolari, tanti percorsi, tante piste ciclabili, tanto.
E pedalando, e ascoltando la strada che passa sotto di me, e soprattutto meravigliandomi di non sentire un minimo di fatica, assaporandone il beneficio nell'intimo, arrivo a comprendere che sul sellino che viaggia mi sento forte, come se potessi con la stessa facilità passare sopra a quello che mi ha ferita e soprattutto a chi mi ha ferita, andare oltre, calpestarlo senza toccarlo e senza sporcarmi. Una metafora che si concretizza. E l'aria che mi investe, la luce del sole contro gli occhi, i rumori della campagna, sono balsamo. Tanto che cerco la mia bici ancora e ancora, ogni giorno cerco di ritagliarmi un momento per montare in sella e partire, ho bisogno di lei.
E vado. Ovunque. In questi giorni mi ha portato anche degli incontri inaspettati e gradevoli, momenti di chiacchiere non messi in conto; anche oggi che ci si trovava (siamo usciti in bici in tre, non succede quasi mai di solito pedalo da sola e va bene così) in mezzo al boschetto dietro casa
e abbiamo fatto un pezzo di sentiero assieme a una famiglia di amici incontrati lì. Qualche giorno fa, con il desiderio di fare strada per smaltire lacrime e tensione allo stomaco, sono arrivata in uno dei paesi vicini e ho incontrato per la prima volta una amica conosciuta virtualmente, passando con lei un'ora piacevole. Sono partita col cuore pesante, sono tornata con il sorriso e la luce del tramonto negli occhi.
Pedalo, e giorno dopo giorno smaltisco calorie e calore. Faccio fiato. Se non mi trovate, aspettatemi sotto alla tettoia delle auto in fondo al vialetto, a fianco alla mia auto arancione, dove parcheggio lei. Prima o poi finisco il giro e torno a casa.
Sperando che piano piano passi.
Sto male. Sto male di quel male che dilania l'anima, che certi schiaffi non si possono spiegare nè tantomeno raccontare, ma se ne può percepire il dolore, e sperare che i vecchi mezzi per attutirlo, come il blog, possano dare quel minimo di sollievo necessario almeno per riaprire un po' lo stomaco. Che nell'ultima settimana ho perso un chilo di peso, e se in altri momenti potrebbe avermi fatto un gran favore, perderlo così non mi piace. Preferivo il chilo in più e dormire la notte.
Non posso sbloggare la causa, ma posso sbloggare la sensazione, ed è rovente. Rare volte mi sono sentita così lacerata per una cosa che non sia la malattia fisica, bensì la semplice non-comprensione di qualcosa di grande, enorme, immenso. Siamo fatte male noi donne, dovremmo imparare un po' dagli uomini e lasciarci scivolare le cose dalle spalle con più facilità. E invece no, ce le gustiamo tutte, ce le facciamo passare tutte dalla testa ai piedi attraversando ogni singola cellula. Che errore.
Però quello che voglio appuntarmi oggi è una conquista.
Anzichè rimanere nella mia tana a leccarmi le ferite come ho sempre fatto in passato, in questi giorni ho conquistato i chilometri. Letteralmente. Ho scoperto il potere taumaturgico della strada che scorre sotto alle ruote. Camminare non posso, e pedalo. Mai come negli ultimi sette giorni ho macinato strada con la mia dueruote. Ho la fortuna di vivere in un posto bellissimo, che offre luoghi da attraversare in bici spettacolari, tanti percorsi, tante piste ciclabili, tanto.
E pedalando, e ascoltando la strada che passa sotto di me, e soprattutto meravigliandomi di non sentire un minimo di fatica, assaporandone il beneficio nell'intimo, arrivo a comprendere che sul sellino che viaggia mi sento forte, come se potessi con la stessa facilità passare sopra a quello che mi ha ferita e soprattutto a chi mi ha ferita, andare oltre, calpestarlo senza toccarlo e senza sporcarmi. Una metafora che si concretizza. E l'aria che mi investe, la luce del sole contro gli occhi, i rumori della campagna, sono balsamo. Tanto che cerco la mia bici ancora e ancora, ogni giorno cerco di ritagliarmi un momento per montare in sella e partire, ho bisogno di lei.
E vado. Ovunque. In questi giorni mi ha portato anche degli incontri inaspettati e gradevoli, momenti di chiacchiere non messi in conto; anche oggi che ci si trovava (siamo usciti in bici in tre, non succede quasi mai di solito pedalo da sola e va bene così) in mezzo al boschetto dietro casa
e abbiamo fatto un pezzo di sentiero assieme a una famiglia di amici incontrati lì. Qualche giorno fa, con il desiderio di fare strada per smaltire lacrime e tensione allo stomaco, sono arrivata in uno dei paesi vicini e ho incontrato per la prima volta una amica conosciuta virtualmente, passando con lei un'ora piacevole. Sono partita col cuore pesante, sono tornata con il sorriso e la luce del tramonto negli occhi.
Pedalo, e giorno dopo giorno smaltisco calorie e calore. Faccio fiato. Se non mi trovate, aspettatemi sotto alla tettoia delle auto in fondo al vialetto, a fianco alla mia auto arancione, dove parcheggio lei. Prima o poi finisco il giro e torno a casa.
Sperando che piano piano passi.
sabato 19 settembre 2015
Come va alle medie?
Va così. Anzi, per la precisione torna così.
Ore 13,07. Entra in casa sudato come una spugna dopo la corsa in bicicletta (alle medie va e torna da solo, finalmente), zaino in spalla, sparato, si pianta in mezzo al soggiorno, gambe divaricate, braccia allargate e dita delle mani a pistola, la mano destra più avanti.
-CCCCCIAO MA', CCCCCIAO PA', COME BBBBBUTTA? OGGI POMERIGGIO DEVO FARE UNA PIALLATA IN CARTOLERIA, HO UN BOTTO DI ROBA DA PRENDERE PER ARTE.
Scusaaaaaaaaaaa???
Effetto metamorfosi da scuola media.
Che poi sta cosa della PIALLATA devo farmela spiegare per bene.
Ore 13,07. Entra in casa sudato come una spugna dopo la corsa in bicicletta (alle medie va e torna da solo, finalmente), zaino in spalla, sparato, si pianta in mezzo al soggiorno, gambe divaricate, braccia allargate e dita delle mani a pistola, la mano destra più avanti.
-CCCCCIAO MA', CCCCCIAO PA', COME BBBBBUTTA? OGGI POMERIGGIO DEVO FARE UNA PIALLATA IN CARTOLERIA, HO UN BOTTO DI ROBA DA PRENDERE PER ARTE.
Scusaaaaaaaaaaa???
Effetto metamorfosi da scuola media.
Che poi sta cosa della PIALLATA devo farmela spiegare per bene.
Parlando di
accade in fondo al vialetto,
preadolescenza che avventura
lunedì 14 settembre 2015
Segni di fine estate in fondo al vialetto: una cucchiaiata di facezie mie
In fondo al vialetto l'estate è finita.
Ogni anno finisce allo stesso modo, e mi sono ritrovata così per caso qualche giorno fa a notarlo: ci sono gesti che ogni anno si ripetono, tutti nel giro di due giorni al massimo, e che mettono i paletti tra una stagione e l'altra in casa mia.
So che potrà non importarvene una ceppa, ma...
In fondo al vialetto l'estate finisce quando le tende che pendono dal terrazzo a fermare la luce del sole un metro prima del muro e della portafinestra, pendono invece dai fili della biancheria, belle lavate (nella foto sembrano a righe rosa stile "materasso delle cliniche psichiatriche di fine ottocento", ma in realtà le righe sono belle arancioni).
Finisce quando anche le tende che stanno sul davanti, a proteggere dal sole l'ingresso, vengono rimosse (dalla sottoscritta) con i loro ganci e i loro bastoni di sostegno, e lavate.
E quando in giardino c'è un grande cerchio di terra battuta scura...
...lasciato dalla piscina, che è stata rimossa, pulita e stesa ad asciugare sotto alla tettoia.
Finisce quando in bagno tornano ad apparire i bagnoschiuma fioriti e spariscono quelli "freschi" (piccola nota frivolissima: io ho la MANIA dei bagnoschiuma, soprattutto se fioriti).
Quando lo split del condizionatore rimette il cappotto
e il gazebo si toglie il cappello, nonostante il sole.
E infine l'estate è finita del tutto stamattina, quando mi sono mossa in macchina mentre pioveva per fare una cosa non rimandabile, e ho dovuto spostare la posizione della manopola dell'aria sulla funzione "spannatore".
Ed è stata una bellissima estate. Ma ne parlerò in un altro post, mi ci vuole del tempo per scriverlo, e adesso non ne ho più :-)
Ogni anno finisce allo stesso modo, e mi sono ritrovata così per caso qualche giorno fa a notarlo: ci sono gesti che ogni anno si ripetono, tutti nel giro di due giorni al massimo, e che mettono i paletti tra una stagione e l'altra in casa mia.
So che potrà non importarvene una ceppa, ma...
In fondo al vialetto l'estate finisce quando le tende che pendono dal terrazzo a fermare la luce del sole un metro prima del muro e della portafinestra, pendono invece dai fili della biancheria, belle lavate (nella foto sembrano a righe rosa stile "materasso delle cliniche psichiatriche di fine ottocento", ma in realtà le righe sono belle arancioni).
Finisce quando anche le tende che stanno sul davanti, a proteggere dal sole l'ingresso, vengono rimosse (dalla sottoscritta) con i loro ganci e i loro bastoni di sostegno, e lavate.
E quando in giardino c'è un grande cerchio di terra battuta scura...
...lasciato dalla piscina, che è stata rimossa, pulita e stesa ad asciugare sotto alla tettoia.
Finisce quando in bagno tornano ad apparire i bagnoschiuma fioriti e spariscono quelli "freschi" (piccola nota frivolissima: io ho la MANIA dei bagnoschiuma, soprattutto se fioriti).
Quando lo split del condizionatore rimette il cappotto
e il gazebo si toglie il cappello, nonostante il sole.
E infine l'estate è finita del tutto stamattina, quando mi sono mossa in macchina mentre pioveva per fare una cosa non rimandabile, e ho dovuto spostare la posizione della manopola dell'aria sulla funzione "spannatore".
Ed è stata una bellissima estate. Ma ne parlerò in un altro post, mi ci vuole del tempo per scriverlo, e adesso non ne ho più :-)
venerdì 11 settembre 2015
Perchè le lezioni si imparano
Ieri verso le tre e mezzo bussano alla porta. Io sto pichignando al pc, il Power sta giocando con la Wii. Guardo l'ora, a quest'ora può essere una persona sola a bussare: il Gi. E chiedo al Power di andare ad aprire.
Effettivamente è il Gi. Sta sulla porta. Sento il dialogo tra i due undiciemezzenni.
-Ciao. La mia mamma ha bisogno di dormire. Posso stare qui da voi a giocare un po'?
-Ma ti ha mandato la tua mamma qui? O sei venuto perchè hai voglia di giocare con me?
Io dal soggiorno, sette od otto metri più in là circa, ascolto e sorrido nel cuore: il Power ha capito la lezione. Mette le mani avanti. La nasata dell'altro giorno qualcosa gli ha insegnato. Anche se il Gi ha sempre dimostrato di essere per lui come un fratello, adesso il Power ha imparato a mettere i paletti.
"Non si sa mai, ma se voglio evitare di soffrire ancora è meglio che mi protegga. Perchè ho capito che a volte mi faccio un'idea sbagliata delle persone. Meglio chiarire subito."
Bravo Power. E' così che si cresce.
-La mia mamma ha detto che ha bisogno di dormire perchè è stanca, tra un'ora e mezzo dobbiamo andare via, e io ho pensato di passare con te questo tempo invece di stare a casa ad aspettare che la mamma si svegli. Posso entrare?
-Mamma, il Gi può stare con noi e blablabla?
-More, ho sentito tutto. Gi, vieni dentro e stai qui quanto vuoi. Non dobbiamo andare da nessuna parte. Basta che non facciate chiasso, che il Gatto Alfa è a letto che sta poco bene.
Sono stati a giocare alla Wii per mezz'ora, e con le carte per un'ora al tavolo dell'ingresso. Hanno riso tutto il tempo trattenendo il volume il più possibile, per il Gatto Alfa. E quando è arrivata per il Gi l'ora di tornare a casa, il Power lo ha accompagnato come sempre: con una mano sulla sua spalla fino in fondo al vialetto.
Effettivamente è il Gi. Sta sulla porta. Sento il dialogo tra i due undiciemezzenni.
-Ciao. La mia mamma ha bisogno di dormire. Posso stare qui da voi a giocare un po'?
-Ma ti ha mandato la tua mamma qui? O sei venuto perchè hai voglia di giocare con me?
Io dal soggiorno, sette od otto metri più in là circa, ascolto e sorrido nel cuore: il Power ha capito la lezione. Mette le mani avanti. La nasata dell'altro giorno qualcosa gli ha insegnato. Anche se il Gi ha sempre dimostrato di essere per lui come un fratello, adesso il Power ha imparato a mettere i paletti.
"Non si sa mai, ma se voglio evitare di soffrire ancora è meglio che mi protegga. Perchè ho capito che a volte mi faccio un'idea sbagliata delle persone. Meglio chiarire subito."
Bravo Power. E' così che si cresce.
-La mia mamma ha detto che ha bisogno di dormire perchè è stanca, tra un'ora e mezzo dobbiamo andare via, e io ho pensato di passare con te questo tempo invece di stare a casa ad aspettare che la mamma si svegli. Posso entrare?
-Mamma, il Gi può stare con noi e blablabla?
-More, ho sentito tutto. Gi, vieni dentro e stai qui quanto vuoi. Non dobbiamo andare da nessuna parte. Basta che non facciate chiasso, che il Gatto Alfa è a letto che sta poco bene.
Sono stati a giocare alla Wii per mezz'ora, e con le carte per un'ora al tavolo dell'ingresso. Hanno riso tutto il tempo trattenendo il volume il più possibile, per il Gatto Alfa. E quando è arrivata per il Gi l'ora di tornare a casa, il Power lo ha accompagnato come sempre: con una mano sulla sua spalla fino in fondo al vialetto.
giovedì 3 settembre 2015
Powernasate da rapporti umani - e inauguriamo un nuovo tag
Oggi il Gatto Alfa ha progettato di portare il Power al cinema, a vedere i Minions. Gli ha proposto di invitare il Pi (lo chiamerò così, è un compagno di scuola del Power dall'asilo e lo sarà anche alle medie, uno dei pochi che il Power ritiene un amico-co da un paio di anni). Si sono sentiti quindi via SMS. Nel frattempo io sono di sopra in camera mia a mettere la biancheria pulita, asciutta, ritirata dallo stendino e piegata nei cassetti.
Il Power chiede al Pi di venire al cinema.
Il Pi risponde "si ma solo se non andiamo a vedere i Minions, che li ho già visti".
Il Power ribatte che è l'unico film che danno oggi, e gli piacerebbe vederlo assieme a lui, per poi fermarsi a mangiare al Mac Donald's che il papà offre per tutti.
Il Pi rifiuta.
Il Power fa le scale lentamente, lo sento passare dalle scale alla sua stanza. Singhiozza. Lo chiamo, appare alla porta, lo invito ad entrare, ci sediamo sul lettone. Inizialmente non vuole dirmi cosa lo fa piangere, ma io insisto: ha la faccia del dolore dell'animo. Non del capriccio, non della rabbia, ma del dolore, con gli occhi gonfi, rossi e spalancati, la bocca a smorfia come i neonati ma che tentava di contrarre per dimostrare a forza (e invano) un minimo di orgoglio da testosterone incalzante, cosa che fa stringere lo stomaco a qualunque madre come solo una madre sa.
Poi piano piano si apre e mi racconta cosa è successo. E la frase che gli esce a sillabe tra un singhiozzo e l'altro mi strappa un pezzo di cuore:
"io però pur di stare insieme con lui mi sono pur visto lo stesso film due volte, prima di Natale, e non glie l'ho neanche detto che lo avevo già visto per non farlo restare male!".
E quindi ci siamo arrivati.
Siamo arrivati a quel punto della crescita nel quale essere considerati dagli amici è più importante di qualunque soddisfazione diano mamma e papà. La cosa bella non era il fatto che papà gli proponesse di passare un pomeriggio insieme al cinema tra loro due ("tra uomini, mamma", mi diceva una volta), ma l'idea che ci andasse un amico. Altre volte ci sono andati lui, il papà e uno o due amici, ma che ci fossero o meno gli amici era un dettaglio irrilevante. Oggi qualcosa è cambiato. Se il cinema fosse stato in paese anzichè a 35 chilometri da casa, ci scommetterei che avrebbe detto al papà "rimani a casa, non servi".
Ci siamo passati tutti.
Siamo arrivati alle prime nasate, le prime delusioni umane, che a quell'età fanno un male cane perchè si è sempre vissuti nell'illusione che "siamo tutti amici e le litigate si aggiustano con poco", e ogni "no" valeva quanto un "si", non faceva male dentro. E anche da qui ci siamo passati tutti.
E ho la sensazione che l'avergli fatto una bonaria maternale su quanto lo capissi, sul fatto che lo so che fa male quando una persona non risponde alle nostre aspettative ma lo sbaglio è nostro a darle un peso esagerato, e che gli Amici-ci con la A maiuscola si contano sulle dita di una mano e avanzano sempre delle dita, sia servito a poco. Il Power inizia a dare molto, moltissimo peso al modo con cui i suoi amici rispondono ai suoi inviti, alle sue iniziative, alla sua presenza. Vuole essere stimato. Ci tiene ad essere accettato.
Noi, mamma e papà, non gli bastiamo più. Non c'è più nella sua testa il "chi se ne frega, se non mi vogliono torno da mamma e papà", gliene frega eccome.
E a me addolora che debba scontrarsi già adesso con queste cose, con il fatto che i rapporti umani sono la cosa più difficile della vita da gestire, soprattutto per uno come lui che non è mai stato per carattere il compagnone di tutti, così come suo padre e sua madre, e proprio perchè so quanto difficile sia trovare la propria dimensione e soprattutto quanto tempo ci voglia prima di maturare in questo senso, so quanto soffre. Ma non posso farci nulla. E' la sua strada. E' la sua crescita. Tutti siamo cresciuti prendendo nasate con amici che credevamo Amici e che almeno una volta ci hanno deluso, ed è stata la strada obbligata per capire che le persone non sono tutte uguali. Per queste nasate posso solo offrirgli una spalla su cui appoggiarsi finchè non riprende le forze. Non posso nemmeno più mediare tra lui e il Pi o chi per lui come facevo fino a un po' di tempo fa, perchè il Power non vuole più che mi metta in mezzo su queste cose, e ha ragione: è grande per avere la mamma che gli gestisce le amicizie. L'unico lavoro che può fare la mamma è per dietro.
Il Power è partito con quella che "basta, col Pi ho chiuso, questa cosa di oggi significa che non mi vuole e io non voglio più lui".
Ma anche no, Power. Se ci pensi, il Pi è sempre venuto a cercarti quando faceva comodo a lui: per i compiti, perchè gli mancava uno per completare la sua squadretta di calcio in strada, per fargli da compagno di strada per andare al centro estivo senza mamme appresso dato che abitiamo a cinquanta metri da lui (unica condizione che abbiamo posto io e sua madre per lasciarceli andare in autonomia, almeno per questa estate). Per giocare semplicemente insieme lo sei sempre andato a cercare tu, fai mente locale e te ne rendi conto da solo. E un milione di volte ti ha detto "o giochiamo a calcio o non giochiamo insieme", e te ne sei tornato a casa con le pive nel sacco dopo cinque minuti di partita perchè tu a calcio sei una frana e lui e gli altri suoi amici ti prendono in giro, togliendoti il divertimento. Tante persone sono così. Bisogna prenderne atto e accettarle come sono. Il Pi non è cattivo, è solo un po' egoista, e se ci pensi un po' egoisti lo siamo anche io e te per altri versi. Il Pi ha pensato al film, non a te che lo invitavi. Non ha nemmeno proposto una alternativa, nè ti ha detto qualcosa tipo "ci vediamo un altro giorno". Ha solo detto "allora no", stop. Non è una cosa che puoi cambiare. Solo, visto che hai capito che il Pi è così, la prossima volta che ti cerca per qualcosa e non per la tua compagnia, accetta solo se va anche a te, non "pur di stare con lui". Questo carico di affetto riservalo per qualcun altro che lo merita, come il Gi, che per te farebbe qualsiasi cosa da quando avevate tre anni. Ti ricordi l'altro giorno? Stavate giocando con la Wii, lo stavi inondando di commenti logorroici e di consigli non richiesti ogni volta che faceva una mossa con il suo personaggio, ero stufa di sentirti perfino io che stavo dietro di voi a tagliare la verdura per la cena e non giocavo; gli ho chiesto ironicamente se gli venisse mai voglia di mandarti a quel paese, hai sentito cosa mi ha risposto? "No, a me il Power va bene così".
Oggi inauguro un nuovo TAG: lo chiamo "preadolescenza che avventura". Ci sta a pieno.
No, il Power non è più un bambino. E' un ragazzino che inizia a fare i conti con le sue emozioni.
E io, di riflesso, per certi versi, con le mie.
Il Power chiede al Pi di venire al cinema.
Il Pi risponde "si ma solo se non andiamo a vedere i Minions, che li ho già visti".
Il Power ribatte che è l'unico film che danno oggi, e gli piacerebbe vederlo assieme a lui, per poi fermarsi a mangiare al Mac Donald's che il papà offre per tutti.
Il Pi rifiuta.
Il Power fa le scale lentamente, lo sento passare dalle scale alla sua stanza. Singhiozza. Lo chiamo, appare alla porta, lo invito ad entrare, ci sediamo sul lettone. Inizialmente non vuole dirmi cosa lo fa piangere, ma io insisto: ha la faccia del dolore dell'animo. Non del capriccio, non della rabbia, ma del dolore, con gli occhi gonfi, rossi e spalancati, la bocca a smorfia come i neonati ma che tentava di contrarre per dimostrare a forza (e invano) un minimo di orgoglio da testosterone incalzante, cosa che fa stringere lo stomaco a qualunque madre come solo una madre sa.
Poi piano piano si apre e mi racconta cosa è successo. E la frase che gli esce a sillabe tra un singhiozzo e l'altro mi strappa un pezzo di cuore:
"io però pur di stare insieme con lui mi sono pur visto lo stesso film due volte, prima di Natale, e non glie l'ho neanche detto che lo avevo già visto per non farlo restare male!".
E quindi ci siamo arrivati.
Siamo arrivati a quel punto della crescita nel quale essere considerati dagli amici è più importante di qualunque soddisfazione diano mamma e papà. La cosa bella non era il fatto che papà gli proponesse di passare un pomeriggio insieme al cinema tra loro due ("tra uomini, mamma", mi diceva una volta), ma l'idea che ci andasse un amico. Altre volte ci sono andati lui, il papà e uno o due amici, ma che ci fossero o meno gli amici era un dettaglio irrilevante. Oggi qualcosa è cambiato. Se il cinema fosse stato in paese anzichè a 35 chilometri da casa, ci scommetterei che avrebbe detto al papà "rimani a casa, non servi".
Ci siamo passati tutti.
Siamo arrivati alle prime nasate, le prime delusioni umane, che a quell'età fanno un male cane perchè si è sempre vissuti nell'illusione che "siamo tutti amici e le litigate si aggiustano con poco", e ogni "no" valeva quanto un "si", non faceva male dentro. E anche da qui ci siamo passati tutti.
E ho la sensazione che l'avergli fatto una bonaria maternale su quanto lo capissi, sul fatto che lo so che fa male quando una persona non risponde alle nostre aspettative ma lo sbaglio è nostro a darle un peso esagerato, e che gli Amici-ci con la A maiuscola si contano sulle dita di una mano e avanzano sempre delle dita, sia servito a poco. Il Power inizia a dare molto, moltissimo peso al modo con cui i suoi amici rispondono ai suoi inviti, alle sue iniziative, alla sua presenza. Vuole essere stimato. Ci tiene ad essere accettato.
Noi, mamma e papà, non gli bastiamo più. Non c'è più nella sua testa il "chi se ne frega, se non mi vogliono torno da mamma e papà", gliene frega eccome.
E a me addolora che debba scontrarsi già adesso con queste cose, con il fatto che i rapporti umani sono la cosa più difficile della vita da gestire, soprattutto per uno come lui che non è mai stato per carattere il compagnone di tutti, così come suo padre e sua madre, e proprio perchè so quanto difficile sia trovare la propria dimensione e soprattutto quanto tempo ci voglia prima di maturare in questo senso, so quanto soffre. Ma non posso farci nulla. E' la sua strada. E' la sua crescita. Tutti siamo cresciuti prendendo nasate con amici che credevamo Amici e che almeno una volta ci hanno deluso, ed è stata la strada obbligata per capire che le persone non sono tutte uguali. Per queste nasate posso solo offrirgli una spalla su cui appoggiarsi finchè non riprende le forze. Non posso nemmeno più mediare tra lui e il Pi o chi per lui come facevo fino a un po' di tempo fa, perchè il Power non vuole più che mi metta in mezzo su queste cose, e ha ragione: è grande per avere la mamma che gli gestisce le amicizie. L'unico lavoro che può fare la mamma è per dietro.
Il Power è partito con quella che "basta, col Pi ho chiuso, questa cosa di oggi significa che non mi vuole e io non voglio più lui".
Ma anche no, Power. Se ci pensi, il Pi è sempre venuto a cercarti quando faceva comodo a lui: per i compiti, perchè gli mancava uno per completare la sua squadretta di calcio in strada, per fargli da compagno di strada per andare al centro estivo senza mamme appresso dato che abitiamo a cinquanta metri da lui (unica condizione che abbiamo posto io e sua madre per lasciarceli andare in autonomia, almeno per questa estate). Per giocare semplicemente insieme lo sei sempre andato a cercare tu, fai mente locale e te ne rendi conto da solo. E un milione di volte ti ha detto "o giochiamo a calcio o non giochiamo insieme", e te ne sei tornato a casa con le pive nel sacco dopo cinque minuti di partita perchè tu a calcio sei una frana e lui e gli altri suoi amici ti prendono in giro, togliendoti il divertimento. Tante persone sono così. Bisogna prenderne atto e accettarle come sono. Il Pi non è cattivo, è solo un po' egoista, e se ci pensi un po' egoisti lo siamo anche io e te per altri versi. Il Pi ha pensato al film, non a te che lo invitavi. Non ha nemmeno proposto una alternativa, nè ti ha detto qualcosa tipo "ci vediamo un altro giorno". Ha solo detto "allora no", stop. Non è una cosa che puoi cambiare. Solo, visto che hai capito che il Pi è così, la prossima volta che ti cerca per qualcosa e non per la tua compagnia, accetta solo se va anche a te, non "pur di stare con lui". Questo carico di affetto riservalo per qualcun altro che lo merita, come il Gi, che per te farebbe qualsiasi cosa da quando avevate tre anni. Ti ricordi l'altro giorno? Stavate giocando con la Wii, lo stavi inondando di commenti logorroici e di consigli non richiesti ogni volta che faceva una mossa con il suo personaggio, ero stufa di sentirti perfino io che stavo dietro di voi a tagliare la verdura per la cena e non giocavo; gli ho chiesto ironicamente se gli venisse mai voglia di mandarti a quel paese, hai sentito cosa mi ha risposto? "No, a me il Power va bene così".
Oggi inauguro un nuovo TAG: lo chiamo "preadolescenza che avventura". Ci sta a pieno.
No, il Power non è più un bambino. E' un ragazzino che inizia a fare i conti con le sue emozioni.
E io, di riflesso, per certi versi, con le mie.
domenica 23 agosto 2015
Cinque anni senza te. (post lungo)
Vi avviso da ora: il post è lungo. Volevo scrivere poche parole, ci ho provato, ma rileggendole mi sono detta no, oggi dentro di parole ne ho tante, non mi va di sintetizzarle. Non oggi, non in questa occasione. Perciò se avete solo cinque minuti di tempo, ripassate quando e se siete disposti a perderne di più per leggere. Parecchi di più.
Vediamo un po'... da dove inizio?
Inizio dal principio. Dal primo post che scrissi sull'argomento. E' breve. L'ho scritto un martedì mattina, il 9 febbraio 2010, alle cinque e mezzo, dopo una notte in cui ho dormito si e no un paio d'ore. Non è difficile capire il perchè, leggendolo. Mi meraviglio di averle dormite, quelle due ore.
E il post dice così. Copincollo (e riformatto, perchè la formattazione era quella di Splinder).
Proprio non riesco a tenermi tutto dentro. Non ce la faccio. Forse scrivendolo esorcizzo la paura, a costo di sembrare sciocca o esibizionista. Ma il blog è mio e visto che quello che sto per intraprendere non è proprio un viaggio di piacere, non posso più scrivere solo vaccate.
Ho il cancro.
Ho ricevuto la notizia ieri mattina. Ho un tumore al seno. A me non piace definirlo "brutto male", come fanno in molti, non mi piace nemmeno dargli altri appellativi per farlo apparire meno grave, meno reale, o farlo passare in sordina.
La bastonata è stata violenta. Ho l'impressione che il mio corpo mi si stia rivoltando contro, prima con la spondilite, ora con questo. Mi domando cosa gli ho fatto di tanto male per essere ripagata così.
Vi prego, non ditemi cosa devo o non devo fare. Non è il caso. Da domani mi affido alle cure del reparto oncologico di Latisana, mi farò aiutare dalla psicologa del centro, e mi lascerò sostenere dall'amore della mia famiglia, tutta quanta, non solo mio marito e mio figlio.
Guarirò. Sono le mamme che accompagnano i figli il primo giorno di scuola, che si fermano due metri più in là del cancello per non farsi vedere piangere, e io voglio essere lì come le altre, fosse con un cappellino o con un bandana in testa, ma voglio essere lì. E quando sarò vecchia voglio rileggere queste pagine come un brutto, bruttissimo ricordo.
E' iniziata così. Anzi no, il mio racconto è iniziato così. La "faccenda" è iniziata concretamente il giorno prima, un giorno assurdo, che ancora ricordo tanto perfettamente quanto ricordo di essermi sentita in una dimensione alternativa, parallela, sopra le righe, come catapultata in una fiaba, da protagonista e spettatrice in una volta sola. Solo chi ci è passato lo sa. Solo chi si è sentito dire le parole "c'è un tumore" può comprendere. Parti per la tangente. Di tutto quello che il medico che hai davanti dice dopo, afferri solo dei tratti, qualche verbo, le parole più pesanti. Io ho perso le virgole, ho perso l'espressione del medico mentre parlava perchè davanti vedevo solo la fòrmica pallida della scrivania, e sentivo rimbombare nella testa solo le parole che uno non vorrebbe sentire mai rivolte verso sè stesso, senza peraltro comprenderle: "chemioterapia, resezione, cicli, radio, flebo, ormoni, chirurgo, menopausa, perderà i capelli, effetti collaterali, un anno o poco più, anticorpo monoclonale, linfonodi, scavo ascellare, G2, niente più figli". Bam! Tutte in una volta, scaricate come un pacco pieno di ritagli di stoffa che devi ricucirti a casa uno per uno, per capire che disegno salta fuori da quel patchwork fuori dal mondo e che soprattutto non hai progettato tu.
E poi ho alzato gli occhi, ho girato la testa verso destra, e ho incontrato lo sguardo di mio marito. Ah già, c'era anche lui. Me ne sono ricordata solo dopo. Dopo la raffica di paroloni pesanti. Aveva il volto paonazzo, gli occhi lucidi. Mi guardava. E in un attimo compresi che era spaventato almeno quanto io mi sentivo fuori posto. Me lo disse solo molto, molto tempo dopo, solo dopo quattro anni cosa pensava in quel momento: pensava che mi avrebbe perso. Ma a me, sono sincera, il pensiero "morte" quel giorno sfiorò la mia testa solo per un momento, poi lo relegai in un angolo, non lo volli mai più prendere in considerazione. Successe quando il dottor Clooney parlò di "statistiche di sopravvivenza", e disse qualcosa tipo "la sopravvivenza a cinque anni per questo tipo di tumore, con le terapie del caso, è del novanta e qualcosa per cento". Lì per lì non capii, e mi feci ripetere il concetto, perchè io di tumori proprio non mi sono interessata mai, e dico "per fortuna", perchè significa che ho avuto la grazia di non dovermene occupare. E chiesi nella mia ignoranza se significava che sarei vissuta solo altri cinque anni. Mi rispose che no, il concetto era un altro, e me lo spiegò per bene.
La verità? Non ricordo cosa disse con esattezza. Ma ricordo che sapevo di dover attendere cinque anni per sentirmi più sicura, che se trascorrevano cinque anni dal giorno dell'intervento (che si sarebbe svolto da lì a mesi, dopo la chemioterapia) senza che si ripresentassero recidive o metastasi, il rischio di riammalarmi di cancro si sarebbe abbassato drasticamente. O, come lo semplificò la mia mamma (che non è medico, ma è la mamma) in seguito, "se ti passi i zinque anni ti xe fora. Io dize tutti!". Forse la mia mamma l'ha banalizzato un po', ma l'espressione è davvero bella.
Feci l'asportazione del linfonodo sentinella la settimana successiva, che risultò poi metastatico.
Mi feci tutto il percorso di chemioterapia sommata alla prima tranche di infusioni di Herceptin, con tutto il corredo di effetti collaterali a breve e a medio termine, di paure, di incertezze, di domande di cui mi sono ben sfogata su questo blog al tempo. E fu vita. Che quando mi sento dire "puoi dimenticarla" rispondo che no, non sia mai. Perchè non mi sentivo una sopravvissuta come non mi ci sento ora, mi sentivo viva e basta. Con un problema grosso come un macigno da affrontare, ma viva.
Finchè il 24 agosto feci l'intervento. Se ne andò una fetta del mio seno, e un pugno di linfonodi ascellari con lei.
E iniziai a contare.
2010, partenza; 2011, 2012, 2013, 2014.
Questo giorno, al tempo, sembrava lontanissimo. Ed invece eccolo. Ci siamo arrivati. E i pensieri nella testa sono confusi.
Mi sento ottimista: i controlli sono sempre andati bene, con qualche intoppo, qualche nodo particolarmente noioso da sciogliere, ma risoltosi sempre bene.
Oggi ho le mie cicatrici, chiare ma larghe, cicatrizzo male io. Sotto alle cicatrici diversi granulomi che rendono dolorose le visite, le mammografie e le ecografie, ma così devono rimanere. Non ho un bel rapporto con il mio seno rovinato. Non vado volentieri al mare per non mostrare i segni della battaglia, in realtà il fastidio ce l'ho io ad averli sotto agli occhi, che finchè ho il reggiseno imbottito che mimetizza l'ambaradan e la maglietta che copre il tutto va tutto bene, ma in costume mi sento a disagio. Ci sono due cicatrici, tre con quella del port, e c'è il buco, l'avallamento. Che non si può riempire, perchè sta sopra, tra i due quadranti superiori. Anzi, dove c'erano i due quadranti, perchè non ci sono più. Non ne parlo mai con nessuno, perchè le prime volte che accennavo a qualcuno di questo mio disagio mi sentivo rispondere che l'aspetto estetico è la cosa di minore importanza; sarà anche vero, ci arrivo da sola a capire che meglio con un seno visibilmente segnato, di volume dimezzato e diverso dall'altro ma viva che tre metri sotto terra, ma mi sono stufata di ribattere "vuoi provare? Ti prendi anche il resto però, altrimenti non vale". E' come augurare il cancro a qualcuno. E non voglio fare la parte della merdaccia. Non è corretto. Anzi, è proprio meschino. Ma a volte ti viene dal cuore questo moto di acidità, è inutile fingere che non sia così.
Ma se sei donna, sai anche che il seno non è solo carne che sporge, soprattutto se sei giovane. E' come quando il ciclo viene a mancare. Io senza ciclo sto bene, ma non venitemi a dire che a 37 anni una donna che se lo vede interrompere a forza e a vita (anche per motivi diversi dal mio) grida al mondo quanto è felice, o anche solo che non le importa nulla.
Ci sono i controlli. I primi due anni sono stati permeati da (normale, dicono) angoscia costante, poi via via questa è andata alleggerendosi fino a diventare un po' di semplice nervosismo a ridosso degli appuntamenti. Ad ora sono ancora ogni 6-8 mesi, il prossimo appuntamento con l'oncologo ce l'ho a gennaio 2016, e tra novembre e dicembre c'è tutto l'ambaradan di mammografia, eco mammaria, visita ginecologica, markers, cardiologo, menatine varie ed eventuali. Con una corsa veloce dall'oncologo anche a dicembre solo per cambiare la terapia ormonale.
La terapia ormonale inizialmente era stata programmata per cinque anni, poi è stata prospettata una proroga a dieci. L'oncologo sostiene che, vista l'età e il tipo di tumore che avevo, è più sicuro. Decapeptyl e Tam fino a dicembre, e a dicembre mi cambia il tipo di pastiglia. E facciamoli questi ulteriori cinque anni di caramelle. Facciamoli, se serve a tenere stretta la buccia.
Di chemio e radio mi sono rimasti solo pochi segni, nessuno ad oggi visibile dal di fuori. Ho una cascata di capelli lunghi, il cortisone che mi davano prima e dopo le infusioni e che mi aveva gonfiato come un pallone se ne è andato (facendomi ritrovare finalmente una figura di tutto rispetto, e soprattutto in perfetto normopeso, cioè con una BMI ottima), attiro le zanzare come il miele le mosche (a differenza di prima della chemio, che manco mi si filavano), ho una cicatrice da radio sul polmone sinistro che fa impallidire i radiologi ogni volta che mi fanno le lastre (e devo ogni volta spiegare loro cos'è quell'ombra prima che mi spediscano sotto ad altri scanner), non posso tenere lo smalto sulle unghie delle mani per più di quattro o cinque giorni di fila altrimenti si sfaldano (e prima della chemio le pittavo regolarmente che erano più dure dei sassi), a periodi soffro di reflusso, la pelle sotto al seno sinistro è più scura (dove avevo l'ustione da radio, ero rimasta in carne viva), ho tutta la parte di carne dietro alla spalla e la parte dietro e sotto a tutto l'avambraccio a sinistra completamente insensibile. Cioè lì mi posso graffiare, tagliare, mi può pungere una vespa, che non sento assolutamente nulla. Ma uso il braccio come se non fosse successo mai nulla, mantengo solo l'accortezza di non farmi prelevare da lì il sangue nè misurare la pressione, ligia agli ordini di chi di dovere. Sotto all'ascella sinistra non mi cresce che un gruppo sparuto di quattro o cinque peli in croce: risparmio in rasoi.
Altre cose non mi vengono in mente.
Dentro di me mi porto tutto il resto. Che non è sofferenza, non più. Non è nemmeno paura. Mi sento di dire che è vigilanza. Pura e semplice vigilanza.
A chi tempo fa mi disse "passati i cinque anni rischi di ammalarti quanto me che non ho avuto il cancro, scommetto", risposi una cosa molto semplice: che "tu che non lo hai avuto mai non fai le mammografie e le analisi dei markers una volta l'anno per tutta la vita, non prendi farmaci per sopprimere la produzione ormonale, non vedi gli oncologi, un motivo ci sarà, ti pare?".
Io però, appunto, a tutto questo rischio non ci penso quasi mai. Non si può vivere tutta la vita convinti che ci si riammalerà di tumore solo perchè lo si ha avuto una volta. E' vero che a volte succede, ma come anche no, siamo realisti. La mia nonna paterna ha fatto la mastectomia bilaterale da giovane, ed è morta vecchia, dopotutto. Malata, ma non di cancro. E se la mia prognosi è eccellente, e me lo dicono gli oncologi, e lo confermano gli esami, io vado avanti via veloce, portandomi nella testa ogni giorno i problemi che possono avere più o meno tutti: il mutuo da pagare, un ragazzino che cresce, le piccole noie domestiche, un occhio vigile verso mia madre che invecchia e due verso i suoceri che invecchiano molto più rapidamente, l'artrite che ogni tanto mi piega e mi blocca, due ernie cervicali e altre rognette fisiche di poco conto, e perdendo anche il quarto d'ora frivolo nel dilemma dello scegliere il colore giusto di un rossetto, del giusto soggetto da ricamare su un trovaforbici o del modo alternativo di cuocere il pollo per la cena. Ne ho tutto il diritto, visto che per un pezzo di strada non è potuto essere così. Il cancro non è il primo dei miei pensieri. Rivolevo le mie noie di prima, e ora che sono stata accontentata me le tengo belle strette e mi ci lamento anche sopra ogni tanto come fanno tutti, che va benissimo così. Ho dato e in abbondanza, e adesso, cappero, prendo.
Vigilante. Con la vita di chiunque altro per le mani, i pensieri che avevo prima di ammalarmi per la testa al mattino appena sveglia, ma vigilante quando se ne presenta la necessità, che tradotto significa "non dimenticare il tamoxifene la sera", e altre piccole cose. Serenamente.
A cinque anni di distanza (ma questo anche molto prima) ho imparato che se ho avuto il tumore al seno posso prendermi una bronchite come chiunque altro senza che sia necessariamente una possibile metastasi polmonare, che se mi fanno male le ossa è perchè soffro di artrite e di artrite non si muore, non corro dal medico se non lo ritengo estremamente necessario e se prima non ho tentato di curarmi da sola come mi è stato insegnato in questi anni (ammalandoti gravemente tante cose le impari).
E poi ci sono i tumori degli altri; ho imparato che se io parlo di tumore con la facilità con cui parlo di cosa ho mangiato a pranzo non è detto che per gli altri debba essere così, che le storie degli altri riguardo alla malattia vanno accolte ma non giudicate, che davanti allo Spettro siamo tutti diversi. Ci ho preso anche delle belle nasate, lo confesso. Le figure demmerd si sono sprecate in questi cinque anni. Ma credo che il mio apprendimento del concetto "a volte è meglio tacere" sia a buon punto. Che io sono tarda a capire le cose, ma ci arrivo.
Ci sono le lezioni di vita. C'è stato un lutto profondo e doloroso. Ci sono i cambiamenti al modo di guardare alle cose, e c'è l'apprezzamento ancora più forte verso le cose leggere della vita, le piccolezze, perchè sono quelle che permettono di fare scorta di buon umore, e di energia da usare per sopravvivere quando a pensare alle cose pesanti ci si è costretti. Ci sono i rapporti di amicizia che il cancro, suo malgrado, mi ha portato a stringere, e di cui oggi non so se potrei fare a meno, perchè sono speciali. Anche i legàmi che sono stati rotti dal cancro stesso erano speciali. A volte mi chiedo... se fossi rimasta sulle mie durante la malattia, senza guardarmi attorno, forse avrei sofferto di meno in questo senso. Poi però mi rendo conto che avrei perso anche il resto. Ne sarebbe valsa la pena?
E ancora si, per certi versi la "faccenda" mi ha anche abbruttito. Non parlo nel senso fisico, ma nei pensieri. Non riesco più a tollerare chi si dà per morto senza prima aver provato a battersi per rimanere in vita, senza aver cercato di trovare una soluzione, qualsiasi sia il problema. Non tollero l'arrendevolezza. Non tollero più, e questo è un mio limite, chi parla della sua malattia, qualsiasi essa sia, come se fosse l'unica persona malata sulla terra, come se "come lui/lei nessuno mai", e "nessuno può capirmi". Ho il vomito quando sento dire "beata te che sei giovane, che quando si invecchia iniziano i problemi", che io non porto scritta in fronte la mia storia perchè non ne ho il dovere, ma a volte sbattere in faccia la realtà alle persone (solo ed esclusivamente quando non ne potevo proprio più di ascoltare passivamente) ha chiuso tante belle bocche. Mi irrita moltissimo quando sento giudicare la felicità di qualcuno dal suo aspetto fisico, dal vestire, dal trucco, dalle movenze, seguita dalla frase "beata lei/lui, si vede che sta bene, io invece...". Ecco, sono le situazioni in cui taccio per non rispondere male, per non ferire, perchè non ne ricaverei nulla. Ma faccio davvero fatica.
E' sbagliato. Lo so che non dovrei prendermela. Ma c'è anche questo.
Ecco, domani per me è festa. Ma festa vera, con tanto di torta, che ho promesso al Power di fare la cheese-cake a casa ma non ne ho nessuna voglia, ho mal di schiena in questi giorni e fatico a stare in piedi, perciò mi sa che noi si fila in pasticceria prima di pranzo. Avrei voluto fare una festa grande con tutta la famiglia, ma qualcosa mi trattiene. Ho paura di non essere capita. Perchè cinque anni hanno un significato particolare per chi sa, ma non dicono niente a chi non lo vive, e io non ho voglia di stare a spiegare, anche se mi viene voglia di urlare al mondo con un megafono dalla cima del tetto di casa mia "gente, ho passato i cinque anni, sono viva, vi rendete conto? L'ho spuntata! L'ho fottuto!". Dopotutto tutti siamo impegnati a vivere la nostra personale vita, ognuno ha i suoi problemi e i suoi successi, e questo traguardo riguarda solo me. Me e chi mi vive accanto ogni giorno. Che ha ancora un po' paura di perdermi, me lo ha detto. Ma da oggi di meno.
Mi sento come se da oggi ogni giorno fosse, per me, un giorno regalato.
Una vita gratis.
Vediamo un po'... da dove inizio?
Inizio dal principio. Dal primo post che scrissi sull'argomento. E' breve. L'ho scritto un martedì mattina, il 9 febbraio 2010, alle cinque e mezzo, dopo una notte in cui ho dormito si e no un paio d'ore. Non è difficile capire il perchè, leggendolo. Mi meraviglio di averle dormite, quelle due ore.
E il post dice così. Copincollo (e riformatto, perchè la formattazione era quella di Splinder).
Proprio non riesco a tenermi tutto dentro. Non ce la faccio. Forse scrivendolo esorcizzo la paura, a costo di sembrare sciocca o esibizionista. Ma il blog è mio e visto che quello che sto per intraprendere non è proprio un viaggio di piacere, non posso più scrivere solo vaccate.
Ho il cancro.
Ho ricevuto la notizia ieri mattina. Ho un tumore al seno. A me non piace definirlo "brutto male", come fanno in molti, non mi piace nemmeno dargli altri appellativi per farlo apparire meno grave, meno reale, o farlo passare in sordina.
La bastonata è stata violenta. Ho l'impressione che il mio corpo mi si stia rivoltando contro, prima con la spondilite, ora con questo. Mi domando cosa gli ho fatto di tanto male per essere ripagata così.
Vi prego, non ditemi cosa devo o non devo fare. Non è il caso. Da domani mi affido alle cure del reparto oncologico di Latisana, mi farò aiutare dalla psicologa del centro, e mi lascerò sostenere dall'amore della mia famiglia, tutta quanta, non solo mio marito e mio figlio.
Guarirò. Sono le mamme che accompagnano i figli il primo giorno di scuola, che si fermano due metri più in là del cancello per non farsi vedere piangere, e io voglio essere lì come le altre, fosse con un cappellino o con un bandana in testa, ma voglio essere lì. E quando sarò vecchia voglio rileggere queste pagine come un brutto, bruttissimo ricordo.
E' iniziata così. Anzi no, il mio racconto è iniziato così. La "faccenda" è iniziata concretamente il giorno prima, un giorno assurdo, che ancora ricordo tanto perfettamente quanto ricordo di essermi sentita in una dimensione alternativa, parallela, sopra le righe, come catapultata in una fiaba, da protagonista e spettatrice in una volta sola. Solo chi ci è passato lo sa. Solo chi si è sentito dire le parole "c'è un tumore" può comprendere. Parti per la tangente. Di tutto quello che il medico che hai davanti dice dopo, afferri solo dei tratti, qualche verbo, le parole più pesanti. Io ho perso le virgole, ho perso l'espressione del medico mentre parlava perchè davanti vedevo solo la fòrmica pallida della scrivania, e sentivo rimbombare nella testa solo le parole che uno non vorrebbe sentire mai rivolte verso sè stesso, senza peraltro comprenderle: "chemioterapia, resezione, cicli, radio, flebo, ormoni, chirurgo, menopausa, perderà i capelli, effetti collaterali, un anno o poco più, anticorpo monoclonale, linfonodi, scavo ascellare, G2, niente più figli". Bam! Tutte in una volta, scaricate come un pacco pieno di ritagli di stoffa che devi ricucirti a casa uno per uno, per capire che disegno salta fuori da quel patchwork fuori dal mondo e che soprattutto non hai progettato tu.
E poi ho alzato gli occhi, ho girato la testa verso destra, e ho incontrato lo sguardo di mio marito. Ah già, c'era anche lui. Me ne sono ricordata solo dopo. Dopo la raffica di paroloni pesanti. Aveva il volto paonazzo, gli occhi lucidi. Mi guardava. E in un attimo compresi che era spaventato almeno quanto io mi sentivo fuori posto. Me lo disse solo molto, molto tempo dopo, solo dopo quattro anni cosa pensava in quel momento: pensava che mi avrebbe perso. Ma a me, sono sincera, il pensiero "morte" quel giorno sfiorò la mia testa solo per un momento, poi lo relegai in un angolo, non lo volli mai più prendere in considerazione. Successe quando il dottor Clooney parlò di "statistiche di sopravvivenza", e disse qualcosa tipo "la sopravvivenza a cinque anni per questo tipo di tumore, con le terapie del caso, è del novanta e qualcosa per cento". Lì per lì non capii, e mi feci ripetere il concetto, perchè io di tumori proprio non mi sono interessata mai, e dico "per fortuna", perchè significa che ho avuto la grazia di non dovermene occupare. E chiesi nella mia ignoranza se significava che sarei vissuta solo altri cinque anni. Mi rispose che no, il concetto era un altro, e me lo spiegò per bene.
La verità? Non ricordo cosa disse con esattezza. Ma ricordo che sapevo di dover attendere cinque anni per sentirmi più sicura, che se trascorrevano cinque anni dal giorno dell'intervento (che si sarebbe svolto da lì a mesi, dopo la chemioterapia) senza che si ripresentassero recidive o metastasi, il rischio di riammalarmi di cancro si sarebbe abbassato drasticamente. O, come lo semplificò la mia mamma (che non è medico, ma è la mamma) in seguito, "se ti passi i zinque anni ti xe fora. Io dize tutti!". Forse la mia mamma l'ha banalizzato un po', ma l'espressione è davvero bella.
Feci l'asportazione del linfonodo sentinella la settimana successiva, che risultò poi metastatico.
Mi feci tutto il percorso di chemioterapia sommata alla prima tranche di infusioni di Herceptin, con tutto il corredo di effetti collaterali a breve e a medio termine, di paure, di incertezze, di domande di cui mi sono ben sfogata su questo blog al tempo. E fu vita. Che quando mi sento dire "puoi dimenticarla" rispondo che no, non sia mai. Perchè non mi sentivo una sopravvissuta come non mi ci sento ora, mi sentivo viva e basta. Con un problema grosso come un macigno da affrontare, ma viva.
Finchè il 24 agosto feci l'intervento. Se ne andò una fetta del mio seno, e un pugno di linfonodi ascellari con lei.
E iniziai a contare.
2010, partenza; 2011, 2012, 2013, 2014.
E 2015. 24 Agosto. Domani.
Questo giorno, al tempo, sembrava lontanissimo. Ed invece eccolo. Ci siamo arrivati. E i pensieri nella testa sono confusi.
Mi sento ottimista: i controlli sono sempre andati bene, con qualche intoppo, qualche nodo particolarmente noioso da sciogliere, ma risoltosi sempre bene.
Oggi ho le mie cicatrici, chiare ma larghe, cicatrizzo male io. Sotto alle cicatrici diversi granulomi che rendono dolorose le visite, le mammografie e le ecografie, ma così devono rimanere. Non ho un bel rapporto con il mio seno rovinato. Non vado volentieri al mare per non mostrare i segni della battaglia, in realtà il fastidio ce l'ho io ad averli sotto agli occhi, che finchè ho il reggiseno imbottito che mimetizza l'ambaradan e la maglietta che copre il tutto va tutto bene, ma in costume mi sento a disagio. Ci sono due cicatrici, tre con quella del port, e c'è il buco, l'avallamento. Che non si può riempire, perchè sta sopra, tra i due quadranti superiori. Anzi, dove c'erano i due quadranti, perchè non ci sono più. Non ne parlo mai con nessuno, perchè le prime volte che accennavo a qualcuno di questo mio disagio mi sentivo rispondere che l'aspetto estetico è la cosa di minore importanza; sarà anche vero, ci arrivo da sola a capire che meglio con un seno visibilmente segnato, di volume dimezzato e diverso dall'altro ma viva che tre metri sotto terra, ma mi sono stufata di ribattere "vuoi provare? Ti prendi anche il resto però, altrimenti non vale". E' come augurare il cancro a qualcuno. E non voglio fare la parte della merdaccia. Non è corretto. Anzi, è proprio meschino. Ma a volte ti viene dal cuore questo moto di acidità, è inutile fingere che non sia così.
Ma se sei donna, sai anche che il seno non è solo carne che sporge, soprattutto se sei giovane. E' come quando il ciclo viene a mancare. Io senza ciclo sto bene, ma non venitemi a dire che a 37 anni una donna che se lo vede interrompere a forza e a vita (anche per motivi diversi dal mio) grida al mondo quanto è felice, o anche solo che non le importa nulla.
Ci sono i controlli. I primi due anni sono stati permeati da (normale, dicono) angoscia costante, poi via via questa è andata alleggerendosi fino a diventare un po' di semplice nervosismo a ridosso degli appuntamenti. Ad ora sono ancora ogni 6-8 mesi, il prossimo appuntamento con l'oncologo ce l'ho a gennaio 2016, e tra novembre e dicembre c'è tutto l'ambaradan di mammografia, eco mammaria, visita ginecologica, markers, cardiologo, menatine varie ed eventuali. Con una corsa veloce dall'oncologo anche a dicembre solo per cambiare la terapia ormonale.
La terapia ormonale inizialmente era stata programmata per cinque anni, poi è stata prospettata una proroga a dieci. L'oncologo sostiene che, vista l'età e il tipo di tumore che avevo, è più sicuro. Decapeptyl e Tam fino a dicembre, e a dicembre mi cambia il tipo di pastiglia. E facciamoli questi ulteriori cinque anni di caramelle. Facciamoli, se serve a tenere stretta la buccia.
Di chemio e radio mi sono rimasti solo pochi segni, nessuno ad oggi visibile dal di fuori. Ho una cascata di capelli lunghi, il cortisone che mi davano prima e dopo le infusioni e che mi aveva gonfiato come un pallone se ne è andato (facendomi ritrovare finalmente una figura di tutto rispetto, e soprattutto in perfetto normopeso, cioè con una BMI ottima), attiro le zanzare come il miele le mosche (a differenza di prima della chemio, che manco mi si filavano), ho una cicatrice da radio sul polmone sinistro che fa impallidire i radiologi ogni volta che mi fanno le lastre (e devo ogni volta spiegare loro cos'è quell'ombra prima che mi spediscano sotto ad altri scanner), non posso tenere lo smalto sulle unghie delle mani per più di quattro o cinque giorni di fila altrimenti si sfaldano (e prima della chemio le pittavo regolarmente che erano più dure dei sassi), a periodi soffro di reflusso, la pelle sotto al seno sinistro è più scura (dove avevo l'ustione da radio, ero rimasta in carne viva), ho tutta la parte di carne dietro alla spalla e la parte dietro e sotto a tutto l'avambraccio a sinistra completamente insensibile. Cioè lì mi posso graffiare, tagliare, mi può pungere una vespa, che non sento assolutamente nulla. Ma uso il braccio come se non fosse successo mai nulla, mantengo solo l'accortezza di non farmi prelevare da lì il sangue nè misurare la pressione, ligia agli ordini di chi di dovere. Sotto all'ascella sinistra non mi cresce che un gruppo sparuto di quattro o cinque peli in croce: risparmio in rasoi.
Altre cose non mi vengono in mente.
Dentro di me mi porto tutto il resto. Che non è sofferenza, non più. Non è nemmeno paura. Mi sento di dire che è vigilanza. Pura e semplice vigilanza.
A chi tempo fa mi disse "passati i cinque anni rischi di ammalarti quanto me che non ho avuto il cancro, scommetto", risposi una cosa molto semplice: che "tu che non lo hai avuto mai non fai le mammografie e le analisi dei markers una volta l'anno per tutta la vita, non prendi farmaci per sopprimere la produzione ormonale, non vedi gli oncologi, un motivo ci sarà, ti pare?".
Io però, appunto, a tutto questo rischio non ci penso quasi mai. Non si può vivere tutta la vita convinti che ci si riammalerà di tumore solo perchè lo si ha avuto una volta. E' vero che a volte succede, ma come anche no, siamo realisti. La mia nonna paterna ha fatto la mastectomia bilaterale da giovane, ed è morta vecchia, dopotutto. Malata, ma non di cancro. E se la mia prognosi è eccellente, e me lo dicono gli oncologi, e lo confermano gli esami, io vado avanti via veloce, portandomi nella testa ogni giorno i problemi che possono avere più o meno tutti: il mutuo da pagare, un ragazzino che cresce, le piccole noie domestiche, un occhio vigile verso mia madre che invecchia e due verso i suoceri che invecchiano molto più rapidamente, l'artrite che ogni tanto mi piega e mi blocca, due ernie cervicali e altre rognette fisiche di poco conto, e perdendo anche il quarto d'ora frivolo nel dilemma dello scegliere il colore giusto di un rossetto, del giusto soggetto da ricamare su un trovaforbici o del modo alternativo di cuocere il pollo per la cena. Ne ho tutto il diritto, visto che per un pezzo di strada non è potuto essere così. Il cancro non è il primo dei miei pensieri. Rivolevo le mie noie di prima, e ora che sono stata accontentata me le tengo belle strette e mi ci lamento anche sopra ogni tanto come fanno tutti, che va benissimo così. Ho dato e in abbondanza, e adesso, cappero, prendo.
Vigilante. Con la vita di chiunque altro per le mani, i pensieri che avevo prima di ammalarmi per la testa al mattino appena sveglia, ma vigilante quando se ne presenta la necessità, che tradotto significa "non dimenticare il tamoxifene la sera", e altre piccole cose. Serenamente.
A cinque anni di distanza (ma questo anche molto prima) ho imparato che se ho avuto il tumore al seno posso prendermi una bronchite come chiunque altro senza che sia necessariamente una possibile metastasi polmonare, che se mi fanno male le ossa è perchè soffro di artrite e di artrite non si muore, non corro dal medico se non lo ritengo estremamente necessario e se prima non ho tentato di curarmi da sola come mi è stato insegnato in questi anni (ammalandoti gravemente tante cose le impari).
E poi ci sono i tumori degli altri; ho imparato che se io parlo di tumore con la facilità con cui parlo di cosa ho mangiato a pranzo non è detto che per gli altri debba essere così, che le storie degli altri riguardo alla malattia vanno accolte ma non giudicate, che davanti allo Spettro siamo tutti diversi. Ci ho preso anche delle belle nasate, lo confesso. Le figure demmerd si sono sprecate in questi cinque anni. Ma credo che il mio apprendimento del concetto "a volte è meglio tacere" sia a buon punto. Che io sono tarda a capire le cose, ma ci arrivo.
Ci sono le lezioni di vita. C'è stato un lutto profondo e doloroso. Ci sono i cambiamenti al modo di guardare alle cose, e c'è l'apprezzamento ancora più forte verso le cose leggere della vita, le piccolezze, perchè sono quelle che permettono di fare scorta di buon umore, e di energia da usare per sopravvivere quando a pensare alle cose pesanti ci si è costretti. Ci sono i rapporti di amicizia che il cancro, suo malgrado, mi ha portato a stringere, e di cui oggi non so se potrei fare a meno, perchè sono speciali. Anche i legàmi che sono stati rotti dal cancro stesso erano speciali. A volte mi chiedo... se fossi rimasta sulle mie durante la malattia, senza guardarmi attorno, forse avrei sofferto di meno in questo senso. Poi però mi rendo conto che avrei perso anche il resto. Ne sarebbe valsa la pena?
E ancora si, per certi versi la "faccenda" mi ha anche abbruttito. Non parlo nel senso fisico, ma nei pensieri. Non riesco più a tollerare chi si dà per morto senza prima aver provato a battersi per rimanere in vita, senza aver cercato di trovare una soluzione, qualsiasi sia il problema. Non tollero l'arrendevolezza. Non tollero più, e questo è un mio limite, chi parla della sua malattia, qualsiasi essa sia, come se fosse l'unica persona malata sulla terra, come se "come lui/lei nessuno mai", e "nessuno può capirmi". Ho il vomito quando sento dire "beata te che sei giovane, che quando si invecchia iniziano i problemi", che io non porto scritta in fronte la mia storia perchè non ne ho il dovere, ma a volte sbattere in faccia la realtà alle persone (solo ed esclusivamente quando non ne potevo proprio più di ascoltare passivamente) ha chiuso tante belle bocche. Mi irrita moltissimo quando sento giudicare la felicità di qualcuno dal suo aspetto fisico, dal vestire, dal trucco, dalle movenze, seguita dalla frase "beata lei/lui, si vede che sta bene, io invece...". Ecco, sono le situazioni in cui taccio per non rispondere male, per non ferire, perchè non ne ricaverei nulla. Ma faccio davvero fatica.
E' sbagliato. Lo so che non dovrei prendermela. Ma c'è anche questo.
Ecco, domani per me è festa. Ma festa vera, con tanto di torta, che ho promesso al Power di fare la cheese-cake a casa ma non ne ho nessuna voglia, ho mal di schiena in questi giorni e fatico a stare in piedi, perciò mi sa che noi si fila in pasticceria prima di pranzo. Avrei voluto fare una festa grande con tutta la famiglia, ma qualcosa mi trattiene. Ho paura di non essere capita. Perchè cinque anni hanno un significato particolare per chi sa, ma non dicono niente a chi non lo vive, e io non ho voglia di stare a spiegare, anche se mi viene voglia di urlare al mondo con un megafono dalla cima del tetto di casa mia "gente, ho passato i cinque anni, sono viva, vi rendete conto? L'ho spuntata! L'ho fottuto!". Dopotutto tutti siamo impegnati a vivere la nostra personale vita, ognuno ha i suoi problemi e i suoi successi, e questo traguardo riguarda solo me. Me e chi mi vive accanto ogni giorno. Che ha ancora un po' paura di perdermi, me lo ha detto. Ma da oggi di meno.
Mi sento come se da oggi ogni giorno fosse, per me, un giorno regalato.
Una vita gratis.
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