Eccomi. Oggi inizia la scuola, stamattina me la prendo comoda e scrivo.
Riprendo da dove ho lasciato un mese fa. Non è mica finita.
E' un post un po' lungo e parecchio pesante, ma tant'è, la pagina è mia, scrivo per me, questo vi beccate se avete voglia di leggere.
Dunque. Tecnicamente.
L'oncologa mi ha visto, mi ha visitata bene, ha visionato i referti a disposizione, in mezz'ora di visita ha vagliato diverse ipotesi, "mastite si... mastite no... aspetti che parlo con la radiologia...". Mi ha messo sotto antibiotico per una settimana, con già fissato l'appuntamento per otto giorni dopo.
Bene, penso, vedrai che in una settimana me la sfilo via. Passata la paura.
Ma otto giorni dopo non è cambiato niente. Anzi. Il contrario.
Mi visita, stavolta, l'oncologo. Il lunedì seguente ho già fissato l'eco di controllo per l'altro seno, per il fibroadenoma trovato sei mesi fa, chiede che venga esaminato anche il seno sinistro, e mi dice di avvisare la radiologa perchè appena terminato l'esame vuole parlare con lei.
No, non è mastite, altrimenti avrebbe reagito alla cura farmacologica. Può essere altro. Può essere il granuloma vecchio che si è gonfiato (ma è poco probabile, visto che la "massa" non ha contorni definiti, così mi ha spiegato), può essere una ghiandola impazzita, può essere che avendo sospeso per un periodo la terapia ormonale gli estrogeni si siano sentiti autorizzati a fare un festino (ho scoperto quel giorno che gli estrogeni non dipendono esclusivamente dalle ovaie - che appunto non ho più - ,beata la mia ignoranza). Oppure, e stavolta me lo sono sentito dire dritto in viso, a differenza della volta scorsa, può esserci ripresa della malattia. E per saperlo c'è un solo mezzo.
Il lunedì successivo, cioè cinque giorni dopo, ho fatto l'eco. La radiologa con una mano fa l'esame, con l'altra parla al telefono con l'oncologo, e gli spiega quello che vede. L'oncologo scende subito. Mi viene rifatto l'esame. Lui, un punto di domanda alto un metro e ottanta con gli occhi sbarrati fissi sul monitor. Lei, un punto di domanda alto un po' meno, seduta davanti al monitor mentre smanetta. Io, un punto esclamativo che sul lettino non riesce a stare fermo, e inizia ad agitarsi nel vero senso della parola. Tremavo come una foglia, senza riuscire a controllarmi. Mi sono scusata, mi hanno chiesto se avessi freddo, e l'ho detto che no, non avevo freddo, ma ero nervosa come un gatto in mano al veterinario, e mi sono scusata di nuovo. E sono stata capita, perchè non me lo hanno fatto pesare. Nessuno dei due. Anzi, la radiologa mi ha sussurrato che sarebbe nervosa anche lei nel vedere i medici che si agitano.
La massa densa cresce settimana dopo settimana, prende circa mezzo seno (dei tre quarti rimasti di lui) o poco più, anche il seno destro dà segni di cambiamento di struttura.
E quindi biopsia sia. Verrò bucherellata in più punti, con anestesia locale, martedì 26. E poi che sarà sarà.
Ho paura. Lo so, è scontato, banale, il minimo della pena, ma lo devo dire. Ho paura.
Non ho paura dell'esito, ho affrontato il peggio una volta, ho visto che non è impossibile, nessuno mi impedisce di affrontarlo, se serve, di nuovo.
Ho paura dei miei nervi. Ho paura dello stato d'ansia che mi ha reinvestito, ho il terrore di non essere suffcientemente salda su me stessa quanto basta per non farmi prendere dal panico. Per non riversare su mio figlio, già ansioso di suo, il mio stato d'animo.
Sono in mani competenti, fidate, serie, scrupolose, ma quando chiudo gli occhi sono sola con me stessa. Sento addosso la preoccupazione della mia famiglia, soprattutto di mio marito che ha dall'altra parte due genitori che gli stanno dando seri problemi legati essenzialmente all'età, e alla degenerazione di problemi non indifferenti, e che vanno seguiti per dovere e per immenso affetto. Mi dice che mi vuole bene, me lo ripete mille volte al giorno, quasi avesse paura che non arrivi a esserne sicura. Ma è terrorizzato. E questa cosa mi sgomenta più di quello che mi sta accadendo.
Sono terribili, le attese. Nelle attese si infila il tutto e il niente. Nella mia attesa ho ricominciato a ricamare, perchè il ricamo richiede attenzione più di altre attività da svolgere quando riposo, se sbaglio disfare è un macello, perciò mentre lavoro la testa deve rimanere lì e solo lì, non può viaggiare altrove. Mentre ricamo si allenta la morsa allo stomaco. Ognuno ha i suoi modi per scappare, di tanto in tanto, dalla realtà. E non è una cosa che trovo sbagliata. Da qui al 26, e dal 26 al giorno in cui saprò qualcosa, ho bisogno di vivere, non posso ficcare la testa sotto al cuscino. Ricamo, sforno pane, controllo compiti, gioco col telefono, chiacchiero via whatsapp, faccio i miei lavori di tutti i giorni in casa e fuori, ma non ho voglia di vedere nessuno. Per la prima volta da anni, apprezzo quelle conversazioni in cui l'altro ti parla delle millemila cose sue ma non usa tre secondi del suo tempo per ascoltare le tue. Perchè oggi delle mie non ho voglia di parlare con nessuno.
E' la sera, prima di addormentarmi, che l'angoscia sale. Spesso sto sveglia fino alle due, le tre del mattino, senza riuscire a lasciarmi andare. Ogni tanto scendo, mi attacco alla fattoria virtuale (ho ricominciato a giocare anche con quella, dopo secoli), foffo i gatti a rotazione (con o senza il loro consenso, tanto con cinque che ne ho si possono dare il turno, e almeno quattro di loro fortunatamente apprezzano), poi risalgo. E fisso il buio. Piano piano scivolo giù nel sonno, ma faccio solo brutti sogni. Sogno uomini incattiviti che vogliono entrarmi in casa a forza. Sogno mio figlio piccolo, lo prendo in braccio per difenderlo da gente che vuole fargli del male. Sogno traslochi impellenti, suppellettili che non entrano nelle scatole, il bagagliaio della mia auto da riempire di mobili e scatoloni di libri, l'angoscia nel non riuscire a calcolare se ci sta tutto dentro o no. Ho sognato mio nonno, morto venticinque anni fa, seduto sul pavimento della cucina dove si viveva al tempo, che rassegnato mi diceva dondolando la testa "lasciala fare (tua nonna), quando ha finito di fare i suoi lavori mi alzo, se mi alzo adesso me ne dice di tutti i colori". Ho il dono di ricordare sempre i sogni che faccio, e io lo chiamo "dono" perchè quando ne parlo la maggior parte delle persone mi dice che, invece, li ricorda difficilmente. Io no. E dei sogni che faccio mi rimane sempre qualcosa addosso ogni giorno, nel bene e nel male. Come se non smettessi mai guardarmi dentro. Come se non staccassi mai la presa dalla corrente.
Le attese sono la parte peggiore delle cose. Non ho vissuto serenamente nemmeno l'attesa del giorno del mio matrimonio, quasi diciotto anni fa ormai, benchè fosse un evento lieto, preoccupata che qualcosa andasse storto, sempre in termini di ansia. Figuriamoci il tipo di attesa che vivo ora. E me la devo mettere via, mi sto sforzando di accettare che non può essere diverso da così. E' inutile che mi si dica "vedrai che andrà bene", mi viene da rispondere che la sfera magica non l'ha nessuno, e che se l'oncologo mi ha detto testuali parole "Non me la sento di tranquillizzarti" , lui che in sette anni e mezzo non l'ho sentito sbilanciarsi mai, non è certo la parola contraria di qualcun altro che mi allevia la tensione. Voglio che sia LUI a dirmi che va tutto bene. Io aspetto quello. Tutto il resto è fuffa.