martedì 28 febbraio 2017

Il mattoncino anarchico

Una manciata di giorni fa avevo preparato la bozza di un post in cui descrivevo la mia situazione di salute attuale, perchè nelle ultime settimane si è appesantita parecchio dal lato del dolore fisico. In soldoni, la terapia ormonale nuova (nuova si fa per dire, il letrozolo che ha preso il posto del Tam un anno fa) mi sta mettendo indirettamente fisicamente in ginocchio, e sto facendo accertamenti per capire se si può arrivare ad una soluzione che mi aiuti a vivere un po' meglio i quattro anni che ho ancora davanti di cura. Sempre che a caricare così violentemente non sia l'avanzare della malattia reumatica, il che mi mette davanti ad un percorso diverso. Ma non saprò nulla fino a metà marzo, quando avrò gli esiti degli esami in mano.
Non amo molto scrivere questo genere di post, e non so nemmeno perchè avessi preparato una manfrina del genere, ad essere sincera. Non so cosa mi spingesse a buttare lì una serie di dati di cui alla fine interessa solo a me. Di fatto un senso deve averlo avuto quando ho scritto quella pippa, fosse anche solo il volermi sentire per un po' il centro del mio mondo e cercare patpattate virtuali.
Ho scritto la mia bozza, l'ho riletta, ho avuto la sensazione di leggere un post qualsiasi di una blogger qualsiasi che ama sciorinare eternamente le sue magagne pietose, non l'ho sentita mia, non ho trovato un motivo valido per poi pubblicarla, e l'ho lasciata in standby.
E meno male, perchè dopo qualche giorno si è presentato un motivo valido per cancellarla del tutto. Come si dice, ubi maior, minor cessat. O meglio, "minor" lo mettiamo un po' in disparte per occuparci del più urgente "maior".

Giovedì scorso mia madre ha avuto la brillante idea di spezzarsi il polso destro (una frattura scomposta, perchè lei ricama ad ago il merletto col filo così sottile che Spiderman spostati, perciò le cose è abituata a farle proprio di fino-fino) , semplicemente cadendo a metà vialetto. Mattoncino non perfettamente allineato agli altri + bastone con donna ricurva al seguito (non il contrario) + osteoporosi = Mamigà pulisci di nuovo sangue, calma una madre con le convulsioni nervose, asciuga di nuovo lacrime di spavento, fatti aiutare a tirarla su e a sederla in auto, raccogli alla svelta il necessario, fai le capriole triplo carpiate per risolvere al volo il problema Power-at-school-and-then?-, ingoia la pasticca numero "ics" per impedire alle cervicali infiammate da tre giorni di farti svenire per strada, togli le ciabatte e metti le prime scarpe che capitano e fiondati al pronto soccorso. In quattro ore l'hanno visitata in PS, medicata (si è fatta un bucozzo sul mento assaggiando il mattoncino anarchico insurrezionalista... ma quanto cappero di sangue può uscire da un foro così piccolo su un punto del viso così insulso io proprio non me lo immaginavo :-O ), fotografata in radiologia, rivisitata in ortopedia, messa in trazione, ingessata, ri-fotografata in radiologia e rivisitata in ortopedia prima di dimetterla.
Prognosi: gesso per 35 giorni, controllo questo venerdì con radiografie e visita ortopedica per assicurarsi che la trazione sia stata sufficiente per avviare una guarigione corretta di ulna e radio. Se non lo è... sala operatoria.

Ora ha il braccio destro inservibile, con tutto ciò che ne consegue. Per lei. E per me che me ne occupo. Che in tutto questo, dal giorno in cui ha ricevuto la seconda diagnosi di cancro ed è stata operata al secondo intervento dopo meno di un mese (su cui non mi soffermo, perchè non tutto si può dire) fino a questa ennesima bastonata (più morale che fisica, perchè provate a mettervi nei suoi panni), ringrazio il cielo ogni giorno che:
  • -abitiamo a meno di 300 metri una dall'altra e posso occuparmene senza dovermi trasferire in pianta stabile, tranne quando le si alza la febbre (perchè io scusate, ma una donna di una certa età, che con un giramento di testa se mi cade sul pavimento rischia di spezzarsi un osso - come è successo anche prima di questo turno in sala gessi - quando ha la febbre col cavolo che la lascio da sola).
  • -non lavoro fuori casa
  • -non ho paura di niente tranne che delle bestie che strisciano e non mi fa schifo niente tranne gli animali morti sui cigli delle strade
  • -mio figlio è sufficientemente grande da adattarsi alle situazioni senza farne un dramma, anzi, quando può mi viene anche in supporto, per quanto può fare un tredicenne, e mio marito è l' Uomo che è e non un altro.
  • -mia madre con me non ha nessun pudore, nè per farsi curare fisicamente anche per le cose più intime, nè per togliersi la maschera di donna forte che si mette in pubblico e lasciar uscire tutto quello che ha dentro, piangendo.  E ultimamente l'ha fatto tanto. Tantissimo.  E si, io ringrazio anche per questo, perchè l'ho imparato crescendo mio figlio: quando capisci cosa passa nel cuore di una persona, è anche più facile capire di cosa ha bisogno e in che direzione provare a muoverti.

Di quello che mi/ci succede in questi ultimi mesi non parlo quasi con nessuno. Sul social soprattutto, non ne ho mai fatto parola. Non mi va. Non ne ho la forza, non lo ritengo necessario, non voglio.  E soprattutto io e mia madre vogliamo evitare a tutti i costi che queste cose arrivino all'orecchio della nonna, che ha 91 anni e vive in isola a più di 100km da qui, e gli anziani secondo me non vanno caricati di pesi oltre a quelli che già l'età gli dà da portare, quando è possibile. Tanto che in famiglia lo sanno solo una delle sue sorelle e la cugina con cui mi sento quasi tutti i giorni. E tra l' altro le persone che mi leggono qui e sanno chi sia realmente Mamigà e l'hanno vista in viso  le posso contare sulle dita di due mani, e avanza qualche dito. O forse la mano è addirittura una sola. E appunto, non tutto si può dire, non tutto si può esternare, non tutto si può, nel mio caso, anche sbloggare. Per un sacco di motivi. Un po' come fanno tutti, alla fine.

Ho passato la fase dello sconforto, a dicembre.
Ho passato la breve fase della rabbia, anche se ce n'è ancora in abbondanza, ma non di sicuro per le malattie.
E' in corso, da dicembre ormai, la fase attiva. Mio marito la chiama "la fase moglie-macchina da guerra".
Reggo. Rifuggo ciò che non è essenziale, in alcuni momenti mi rannicchio nel mio angolo per respirare e ricaricare le batterie tra i miei colori, i miei attivatori di positivo, i miei auto-regali per l'anima, i miei piccoli "ganci dall'alto". Finchè riesco ad immaginare, a creare, a vedere colori ovunque e a inventare modi sempre nuovi per dar loro forma ed espressione, va tutto bene.

Ma c'è che sono anche tanto, tanto stanca.








lunedì 6 febbraio 2017

Due peli sulle gambe e due brufoli in fronte

E arriva il giorno in cui ti vien voglia di salire sul tetto della scuola con un megafono in mano e urlare "ok, adesso prendete tutte le vostre belle teorie sull'educazione dei figli, tutte le congetture sul lavoro fatto male dai genitori degli altri, i vostri bei link di pedagogia tirati giù da Google, tutta la vostra saccenza... ripiegateli per bene, fateci un pacchettino bello ordinato, legatelo con uno spago rigorosamente in raffia naturale, ed usatelo per accendere le braci per il prossimo barbecue".

Quello che segue è un dialogo a tre. Una sono io. La seconda (in blu) è la mia coscienza. La terza, o il terzo, (in verde) è il giudizio che mi sento addosso. Che se pensavate che esistessero solo le "doppie personalità"... ta-daaaaan! vi sbagliavate, esistono anche le triple. Un lavoro arduo, quello di capire bene da che parte stare. O anche solo di leggere, penso.

Venerdì scorso dovevo portare mia madre a visita chirurgica, per avere l'esito dell'istologico del secondo intervento della seconda turnata (si, non avete fatto male i conti, è stata operata una seconda volta per il terzo tumore... cioè il secondo, che poi ha rivelato il terzo, quindi sotto un'altra volta dieci giorni fa... un bel macello di informazioni e di emozioni, ma se mi gira lo racconto un'altra volta). Avevamo appuntamento poco dopo mezzogiorno. Ero piuttosto tranquilla, perchè il Power avrebbe dovuto finire la scuola verso le tre del pomeriggio, quindi a posto. Alle dieci mi chiama la scuola: "signora, il Power sta poco bene, può venirlo a prendere?". Cappero. E ora che faccio? In pochi minuti chiamo la suocera, mi dà la sua disponibilità, mi cambio al volo (stavo facendo i soliti mestieri di casa leggi "tuta e ciabatte e ciappo in testa"), vado a prendere il Power. Lascio le persiane alzate e la stufa accesa, spengo solo i fornelli su cui avevo quasi finito di cuocere una minestra e chiudo le finestre. Avrei sistemato il resto dopo.
Lo porto dai nonni (15km più su), faccio benzina (riserva!), torno indietro, mi do una pettinata, un filo di mascara, chiudo casa, rimonto in auto, parto. Arriviamo all'appuntamento giuste giuste a filo-filo. Nel frattempo torna a casa il Gatto Alfa dal lavoro e va a riprendersi il pollo. Che aveva solo un po' di mal di pancia.

-Nel pomeriggio si presenta il problema di alcuni appunti di storia da chiedere ai compagni. Alla fine ha fatto solo due ore di scuola su 7, c'è da recuperare. Li chiede sulla chat di classe su whatsapp. Passa un'ora, di sedici partecipanti alla chat non risponde un'anima.
-Maleducati sono. Punto. E' già successo, e ho dato la colpa al fatto che il Power non aveva lo smartphone. Li ha chiesti alla fine dell'ora di atletica pomeridiana in palestra, ci sono due compagne di classe che frequentano, e nessuna delle due ha voluto (VOLUTO) darglieli, nè dargli il numero di telefono. Ho anche portato la questione in classe durante la riunione che si è tenuta pochi giorni dopo, le madri (che si sono identificate anche se non ho assolutamente fatto nomi) si sono scusate. Beh, quel pomeriggio siamo andati io e lui da un compagno la cui mamma è amica mia, glieli ha dati parziali. Il giorno seguente l'insegnante ha rimproverato il Power perchè mancavano compiti, quando lui si è giustificato lei non gli ha creduto, sono andata a colloquio un paio di giorni dopo per parargli il sedere, l'insegnante il giorno seguente ha fatto il predicozzo ai ragazzini perchè i compiti vanno dati. Insomma, ho fatto il mio dovere, no?
-Doveva passarti per la testa che se i figli degli altri snobbano il tuo un motivo ci deve essere. Svegliati.

-Passano un altro paio d'ore. Il Power torna a chiedere gli appunti. Nessuno gli risponde. Controlla la visualizzazione del messaggio, nel giro di pochi minuti lo hanno visualizzato tutti, ma non risponde un'anima.
-Mi monta il nervoso. Ma le altre mamme non controllano il cellulare dei figli come faccio io???
-Tu controlli il suo telefono? Violi la sua privacy. Devono arrangiarsi. Non intrometterti.

-Il mattino dopo viene a casa mia la mamma di un compagno per motivi di lavoro, doveva parlare col Gatto Alfa. Finito il colloquio ovviamente salta fuori il discorso "adolescenti", e lei inizia a lamentarsi delle stesse cose di cui ci lamentiamo un po' tutti: che sono incontrollabili, che sono difficili, che sono inattendibili. Talmente inattendibili che un giorno imprecisato suo figlio le è tornato da scuola dicendo che il mio gli avrebbe detto "c...ino tu e tua madre", e "mio figlio ingigantisce sempre le cose, sono sicura che il vostro queste cose non le dice".
-No, non le dice. Ma verifico. Vuoi mai che mi/ci si debba scusare per qualcosa. Lo sento tutti i giorni fuori dalla scuola, le mamme che si lamentano "ecco, vedi? Hanno litigato, mia figlia per colpa sua ha preso una nota, e sua madre nemmeno scusa è venuta a dirmi!". Mi vergognerei da morire se si parlasse di me.
-Ah no? Non le dice? Ma tu tuo figlio lo segui o fai finta? Coi professori non ci parli mai, ci scommetterei!

-All'uscita della scuola lo blocco prima di entrare nel parcheggio: "Power, hai dato del c...ino al Pi e a sua madre?". "No ma io...". "SI-O-NO???" perentoria. Mi sembrava di essere il giudice di una corte marziale. "A lui. A sua madre no. Giuro!".
Fermo la madre del Pi. Gli impongo di chiedere scusa. Lui si giustifica. Lei, di fretta, mi dice di lasciar perdere, che sono ragazzate, di non starci male.
-Eh no, caRso, sono ragazzate ma io non ho insegnato a mio figlio che le beghe si risolvono insultando le persone. E non voglio che così si pensi. Nè che si faccia.
-Intanto però l'ha fatto. Bella educazione che dai a tuo figlio. Non sei nemmeno in grado di tenerlo d'occhio. I genitori non sono mai dove dovrebbero essere. Chissà cosa sente in casa, sta creatura.

-Andiamo a casa, pranziamo. Il Power mi dice che a scuola nessuno aveva gli appunti di storia che aveva chiesto. Guarda la chat di classe, ancora nessuno li ha passati. Alchè io stizzita gli dico "senti, adesso scrivi un bel messaggio di ringraziamento per la cortesia che ti hanno riservato. Cappero".
Gli risponde il Pi.
"A scuola ci tratti male tutti quanti, ci riempi di parolacce, e adesso vuoi gli appunti? Arrangiati".
Sul momento mi monta il fumo per la maleducazione del Pi, intimo il Power di lasciare la chat (quando scrive nessuno lo calcola, per i compiti nessuno lo aiuta, si lamenta che si comunicano solo scemenze che a lui non interessano e gli blinka il telefono tutto il pomeriggio per niente, che ci sta a fare in chat? Fuori!").
-Ecco. Non dovevo intromettermi. Se già prima aveva difficoltà a relazionarsi, adesso gli ho troncato le gambe. Dovevo farmi i cavoli miei. Gli ho rovinato i rapporti. Al diavolo me e la mia lingua, e i freni che non ho più. Però qualcosa non mi torna. Mi si sta accendendo una lampadina. Petta petta...
-Certi gentitori fanno più danni dei ragazzini stessi. Non si hanno davvero più parole.

-"Power... io ti ho sempre difeso, ma non è che per caso... no, così sai, non è che "per caso" qualche parolaccia ti è uscita fuori? Perchè io e tuo padre in casa non le usiamo, ma hai insultato qualcuno???"
Al Power sembra salire una scalmana. Quelle che salgono a me da quando sono in menopausa, solo che io non divento viola in volto, inizio solo a sudare come un pezzo di formaggio al sole di luglio un secondo per l'altro, e mi dà fastidio all'improvviso anche l'ombra del moscerino che mi passa davanti, e cerco inutilmente di mandarla via con le mani. Ecco, lui ha iniziato a scalmanare come me, ma è diventato anche del colore della brace in un nanosecondo. Nemmeno balbetto durante una scalmana, credo di aver balbettato poche volte in vita mia. Lui ha iniziato anche a balbettare. E lui balbetta, e a me inizia a salire il fumo alle orecchie. Bell'esempio di causa-effetto.
"E, rarissimamente. No, ogni tanto. Beh si, qualche "str...zo" è volato. E mamma, ho litigato anche col mio compagno di banco. Per scherzare mi ha messo un dito sulla testa e ha iniziato a girarlo, ha detto che così mi passano le arrabbiature, io mi sono arrabbiato di più e ho urlato".
-Dove. Dove ho sbagliato. Per essermi sfuggita una cosa enorme, così "non-si-fa" come questa, dove cappero ho messo gli occhi? Sul cestone della sua biancheria sporca, anzichè dove dovevo metterli? Cioè, mio figlio insulta i compagni? Ma quando mai??? Ma dove, DOVE l'ha imparato???
-Tutta - colpa - dei - genitori. Se i figli si comportano male è tutta-colpa-dei-genitori. 

Già. Facile dirlo.
Che mio figlio non sia mai stato un compagnone è assodato. All'asilo e alle elementari le maestre ne hanno sempre fatto un dramma. Come se non ci dovessero essere persone come lui, come se l'essere solitari fosse la piaga più piaga di una carestia di sette anni senza sette anni di abbondanza prima. E noi giù di psicologa, e compra libri che parlano di come si crescono i figli, e iscriviti a forum di mamme, e cerca di saltarne fuori in tutte le maniere. L'ho portato per tre anni al "Tempo per la Famiglia", ha fatto sei mesi in più di scuola materna perchè ha perso l'anno essendo a gennaio e volevo che iniziasse il prima possibile a stare in mezzo ai suoi coetanei, non gli abbiamo fatto perdere un compleanno finchè arrivavano gli inviti, durante le vacanze c'è sempre stato il parco, quando quello del paese era deserto ci si spostava al parco del paese vicino, se pioveva si andava ai giochi per bambini del centro commerciale a 20km da qui, sotto ad una campana di vetro non lo abbiamo mai tenuto. Lo abbiamo iscritto ad una attività sportiva extra scolastica dalla prima elementare più per farlo stare con altri bambini che non per lo sport in sè. E lui niente: ha sempre allontanato tutti. Fino a credere di aver capito, in prima media, che non c'è proprio nulla da cui saltar fuori: io non ho una cerchia di amiche numerosa quanto la curva di uno stadio, mio marito nemmeno. Abbiamo pochi amici come coppia, pochi amici ma fidati singolarmente (io le mie amiche e mio marito i suoi amici), e stiamo bene. Non ci manca niente: se mi sento sola so con chi andare a prendere un caffè, a chi chiedere un consiglio, da chi farmi ascoltare, con chi togliermi due risate, con chi fare qualcosa di bello, da chi farmi ritirare il Power da scuola quando proprio non ne ho la possibilità e non può rientrare da solo. Eravamo così anche a scuola, ma nessuno ci ha mai chiamato "disadattati". Eravamo riservati, fine.  Io avevo Laura e Cinzia, mio marito non so chi avesse ma aveva due amici anche lui, il Power ha il Gi. Gi che ha sempre meno. Perchè, e lo sto intuendo in questo periodo, evidentemente si sta stufando del Power anche lui, dopo tredici anni. Che loro si conoscono da quando io e sua madre frequentavamo il corso preparto, per inciso.
I professori, fin dall'anno scorso, hanno sempre preso il Power per quello che abbiamo sempre pensato che sia, non per "un problema". Una volta soltanto, in occasione di una sua uscita poco felice (anzi, proprio fuori dai canoni della normale convivenza civile, successe durante la terza settimana della prima media... la prima ed ultima piazzata Poweresca alle medie) mi azzardai a chiedere all'insegnante prevalente se fosse il caso di contattare di nuovo la psicologa che lo ha seguito durante il periodo della mia malattia (cappero, le maestre delle elementari mi chiedevano se ce lo portassi ancora ogni volta che metteva piede a scuola infilando il sinistro prima del destro...). La prof, lo ricordo ancora, nella sua altezza (più alta di me... o forse la percepisco io così, vista la personalità) abbassò gli occhiali, mi guardò dritta e mi rispose "psicologa? E perchè? Non ne vedo il motivo. Queste, signora, sono cose che si sistemano a scuola, non fuori. Gliele togliamo noi certe abitudini, è il nostro lavoro". E così è parzialmente stato. Aveva undici anni. E a noi ancora non pare vero che l'ultima pagella riportasse un "nove" in condotta, nonostante tutto.

Lo dico fuori dai denti. Se fossi una compagna di scuola del Power, lo terrei lontana anche io come fanno gli altri. Ho sempre difeso mio figlio su questo aspetto della sua vita perchè pensavo, convinta, che lo tenessero a distanza perchè è particolare, perchè non si adegua, non si conforma alla massa.
Ma maltrattare le persone non è essere riservati e solitari. Insultarle non è solo non contenere le emozioni. Non è essere particolari. Dire parolacce in mezzo alla gente non è non adeguarsi alla massa, tantomeno dire le cose come le si pensa. E' maleducazione.

Sabato pomeriggio, dopo che sono caduta dal pero della madre che scopre che suo figlio adolescente non è più il bambino che conosceva, mentre lui stava in camera sua (a fare i compiti, pensavo. E invece no: alle sette di sera gli ho intimato di stoppare coi compiti e di andare a lavarsi, e lui candido "quali compiti? Non mi hai mica detto di fare i compiti, tu!". Volevo appenderlo al lampadario. Come è bravo a girare la frittata lui, io non arrivo) io ho fatto di tutto: ho cucinato, stirato, fatto un'ora di cyclette, tutto con foga. Tutto sperando di scaricare tensione nervosa senza urlare, che tanto urlare ormai non serve più a nulla se non a farmi stare peggio. Me.  E ho pianto.
Ho pianto perchè al di là delle parolacce che ha detto e del fatto che maltratta i compagni (che comunque sono cose che hanno un peso enorme, e cercherò di affrontarle, anche se non so ancora come, e per ora - per ora, poi si vedrà - intanto è scattata la punizione), mi sto chiedendo chi sia oggi mio figlio.
Io e mio marito (più io che lui, per forza di cose) non siamo mai mancati a riunioni e colloqui con gli insegnanti. Anzi, ne abbiamo fatti più di quelli previsti dal protocollo, proprio per cercare di farci sfuggire il meno possibile. Ma evidentemente non è bastato.
Non solo. Io e mio marito bisticciamo quando capita, come bisticcia qualsiasi coppia (dove "bisticciare" non è "litigare", che sia chiaro). Sfido chiunque a dire che col proprio partner non bisticcia mai, e se lo dichiara o mente, o non bisticcia perchè non comunica. Ne sono più che certa. Siamo sposati da quasi 17 anni. E in 17 anni di bisticci e rappacificazioni, ma anche di qualche (pochissime, ma ci sono state) litigata tosta, non ci siamo mai, MAI insultati. Mai. Non è mai volato uno "stupido" neanche sussurrato. Perchè si, perchè posso anche pensare che non hai capito niente, ma appellarti con un insulto è un disprezzo, e il disprezzo non riallaccia i rapporti, non risolve la questione, anzi, offende e apre il divario ancora di più. E "per favore-grazie-prego" anche per passarsi il sale a tavola, e "scusa-posso-ti serve?", e "buongiorno, ciao, a dopo". Mia suocera ci prende perfino in giro: "Non servono tanti convenevoli tra marito e moglie". Ma noi no, ligi, ferrei.

E allora, santi tutti del cielo, se tutti mi dicono che è con l'esempio che si educa un figlio, perchè cappero mio figlio sta facendo l'esatto contrario di quello che vede in casa? Non lo capisco, mi sto s-cervellando ma proprio non ci arrivo.
Dicono che con i propri figli bisogna parlare. E sono tredici anni che con mio figlio parlo. Lui parla con me più che con suo padre, perchè con lui passo più tempo, e forse la mamma ha più la vocazione del contenitore che non il papà, chissà. Sempre a spiegare, sempre ad approfondire le cose, sempre a rispondere ai suoi interrogativi, sempre ad analizzare gli eventi, si parla durante i pasti, durante i tragitti in auto, la sera, quando capita e quando serve. Dare spiegazioni quando gli si impone qualcosa, spiegazioni quando lo si sgrida, quando lo si punisce. E ascoltare, ascoltare, ascoltare sempre, anche quando quello che dice annoia da morire o riguarda solo le sue fantasie, ma ascoltare. Ore. E sentirmi orgogliosa perchè mio figlio ancora mi fa le sue confidenze, raccoglierle, trattnerle. Onestamente io non ricordo che i miei genitori, pur nella problematica della mia famiglia, mi abbiano mai parlato tanto. Ma adesso dicono che bisogna parlare ai figli, e non mi/ci siamo mai tirati indietro dal farlo. Bello, bellissimo, fantastico, difficile a volte, ma gratificante.
Fino a ieri.
Perchè adesso che ha tredici anni non va più bene: i suoi "si mamma" adesso servono a chiudermi la bocca perchè c'è altro da fare che non stare ad ascoltare, o "si mamma" perchè non ho voglia di intavolare un discorso, o "si mamma" ma quello che state dicendo non mi interessa perchè non è una cosa pheega, o "si mamma" ma tanto voi non capite niente e come va il mondo lo so io, o "si mamma, la solita pippa". "Si mamma", ma tanto quando sono fuori tiro agisco secondo il mio esclusivo giudizio. "No mamma, non ho niente da dire, posso prendere il pc?".
Come si fa a dialogare in questo modo? Non è il caso di dialogare più? Abbiamo dialogato troppo? Se parlare come prima non si riesce più, per capire perchè si comporta così cosa caspita devo fare???

L'ho letto scritto a caratteri cubitali su un link di Facebook, giusto ieri. Il link rimandava ad un articolo di non so che testata giornalistica online, scritto da non so quale luminare di pedagogia adolescenziale piuttosto che da una mamma-blogger che si inventa dispensatrice di consigli educativi dell'ultimo minuto:
MAMMA, SE TUO FIGLIO E' MALEDUCATO E' COLPA TUA.
Bam! Come una pugnalata sullo stomaco, dopo che hai appena scoperto che tu a tuo figlio insegni rosso e appena scompare dalla tua vista fa verde. Così. Perchè fa figo. Perchè ha deciso che lui è grande e capace di giudizio. Perchè a un certo punto ti si sveglia adolescente e ti rabalta tutte le teorie educative che ti sei pappato fino al giorno prima, e che hai cercato di seguire pedissequamente, sentendoti pure in colpa e inadeguata quando ti rendevi conto di aver saltato dei passaggi perchè, da persona umana perfettamente imperfetta, del mantello di Megawoman-maman in vendita alla sanitaria fuori dall'ospedale nel periodo in cui hai partorito, non sei riuscita ad accaparrarti che un modello in saldo, della taglia sbagliata e anche difettato (l'orlo era cucito male, e solo da lì avresti dovuto annusare la fregatura...). Ma non c'era altro. Un minuto prima c'era la ressa, e a te è rimasto quello. Era anche giorno festivo, e non potevi assolutamente andare a casa senza. Prendere o lasciare.

E non si tratta solo di maleducazione. A me tutto sto allontanare gli altri quando non conformi alle sue aspettative o quando non si comportano secondo i suoi dettami, fa paura. Tanta. Come mi spaventa quel suo modo di risolvere il problema con la filosofia del "non posso averlo ma tanto mi faceva pure schifo": "sto bene anche da solo".
No, quel "sto bene anche da solo" a tredici anni è un ripiego bello e buono per non dover fare lo sforzo di cambiare qualche cosa.
No, non stai bene da solo, se ci soffri così tanto perchè il Gi durante le vacanze ti aveva detto che sarebbe venuto a passare una giornata con te, e poi non l'ha fatto.
No, non stai bene da solo, se non vedi l'ora di avere lo smarphone per metterti in chat, e ci stai male perchè più di qualcuno non ti calcola.
E non stai bene da solo anche perchè quando stai assente da scuola hai bisogno che qualcuno i compiti te li passi. E gli altri non sono macchinette, che basta inserire la monetina e ti sputano il prodotto che desideri: sono persone, e se vuoi ricevere cortesia devi prima dare perlomeno cortesia. E figlio mio, imparalo alla svelta. Perchè domani avrai bisogno di un lavoro. Domani ti innamorerai. Domani vorrai costruirti un futuro. E a me questo fare spallucce, guardando al tuo domani, fa una paura che nemmeno immagini. Ne conoscevo una di persona che litigava anche con l'aria che respirava, e disprezzava anche le ombre di chiunque passava. E sta passando una vecchiaia ben triste.

Dicono che bisogna fregarsene dei giudizi altrui.
Provateci. Quando ascoltate i telegiornali, quando leggete i commenti a certi post su Facebook, quando sentite le chiacchiere delle altre donne fuori dalla scuola o in coda al supermercato, ovunque ci sia la possibilità di sparlare dei problemi altrui. Provate a non sentirvi addosso il giudizio quando il giorno prima ne avete dato uno anche voi, e vi mordereste la lingua un miliardo di volte per aver parlato a vanvera usando luoghi comuni per sentirvi migliori di qualcun altro.
Pure io ho sputato sentenze. Lo facciamo tutti. Ho sparato a voce troppo alta (e un sussurro è già troppo alto) "dove cappero sono quei genitori" nel vedere certe situazioni, prima di scoprire che pure io sono perfettamente cieca più e più volte, e non me ne capacito. 
Quando dite ai figli "la mamma ha gli occhi anche dietro la testa e ai lati", assicuratevi che ci credano, e non fate come me che quando mio figlio ha smesso di crederci non me ne sono manco accorta e ho continuato a crederci solo io. E ho scoperto anche che l'equazione "A+B=C" quando i figli oltrepassano una certa soglia di età anagrafica non vale più. Non ce n'è per nessuno. Vale la sfida. Vale la presunzione (loro), l'arroganza (loro), vale l'esatto contrario di tutto. Quando escono di casa, tu non ci sei. E ancora ti viene sussurrato in un orecchio che devi vigilare, e se tuo figlio si comporta male è sempre e comunque colpa tua. Ti guardi dentro come un pulitore di silos. Ti passi centimetro per centimetro.
Io, mi passo dentro centimetro per centimetro. E il più delle volte mi torna indietro solo il mio eco dentro al silos.

Ultimamente non ho voglia di parlare con nessuno. O quasi. Ci sono cose che non voglio sentirmi dire. Tipo "fai così e colà" da chi non ha figli suoi o li ha ancora piccoli (ti aspetto al varco, tesoro), o "eh aspetta, questo è niente, il peggio viene dopo" (grazie al cavolo, sarebbe di aiuto? Ah, volevi che sapessi che tu stai peggio, è di te che vuoi parlare?).
Quelle che mi fanno sentire meglio  sono solo le mamme che hanno i figli grandi. Oh, che sollievo quando ti dicono "tredici anni? Oh... ", e roteando gli occhi all'indietro "sono solo tre più dieci, nient'altro, mettitela via sai... è il periodo peggiore, ma passa. Si sono solo svegliati una mattina, si sono visti due peli sulle gambe e due brufoli in fronte e si credono uomini perchè sono costretti ad usare un deodorante. Ma gli passa. Tu c'entri relativamente". 
Ecco, ditemelo dieci, cento, mille volte, perchè adesso ne ho tanto bisogno. Mi fa sentire tanto normale. Adesso ho l'autostima sotto le scarpe. Adesso ho solo voglia di sbattere una testa contro un muro, che sia la mia o quella di mio figlio, e sapere che in entrami i casi l'operazione non risolverebbe una beneamata fava è alquanto frustrante.

E speriamo che queste ultime abbiano ragione. Perchè alla mia adolescenza sono sopravvissuta. A quella di mio figlio... non lo so.