Chissà perchè quello che accade di notte sembra essere lungo il doppio di quello che accade di giorno. Forse è il silenzio, forse la penombra della abat-jour, forse è la mente che è in stand-by mentre il resto del corpo compie delle azioni per conto suo.
L'altra notte PRMF non ha dormito: ha pianto per sei interminabili ore, con qualche quarto d'ora di pisolino agitato qua e là. Ha l'otite, un'otite acuta con infiammazione alle tonsille e alla laringe. Sinceramente, in cinque anni e quasi mezzo non è la prima notte in bianco che faccio con lui malato, ma è una di quelle poche notti in bianco che ho vissuto da sola, senza mio marito. Se da una parte mi sono detta "cavolo, proprio stanotte", dall'altra confesso che il più delle volte Papigà si agita il doppio di nostro figlio in questi casi, quindi tutto sommato me la sono sbrigata anche con più pace del solito. Pace relativa si intende. Sfido chiunque a chiamare una notte del genere una notte tranquilla. Ma non è questo che mi voglio soffermare.
Ovviamente nei momenti di pisolo del malatuccio non è che io abbia approfittato per dormire. Non ci sono riuscita. Non ci riesco mai.
In quei momenti io appoggio la testa su due cuscini, la testa di mio figlio (che in questi casi mi porto nel lettone per comodità, lo ammetto) posata sul mio petto, la luce delle scale accesa, chiudo gli occhi e penso.
Penso ai bambini che ho visto giacere nei lettini del reparto di pediatria l'ultima volta che ci sono stata, e ai loro genitori. Quelli si devono essere momenti interminabili: notti passate in una stanza di ospedale a vegliare un figlio per il quale non si può fare altro che star lì, aver fiducia, sperare e cercare di tollerare la propria sofferenza per far fronte alla sua. Per un genitore l'egoismo è bandito in certe situazioni. E per fortuna io, con mio figlio, non ho pesi così grandi da portare sulle spalle.
Penso che l'indomani per fortuna avrò Papigà a casa per un po' di ore, mi sento fortunata perchè dal pediatra ce lo porterà lui così posso recuperare un paio di ore di sonno per arrivare a sera a mente lucida, ma mi sento anche un po' triste perchè è da ammettere che per certe cose mio figlio preferisce avere accanto il papà anzichè la mamma, e la visita dal pediatra è una di quelle. Sono orgogliosa ma anche un po' ferita, ma poi so che al suo ritorno non vorrà altro che le mie braccia e mi consolo profondamente.
Penso "cavolo, devo chiamare l'ospedale per rimandare il prick test, e il vaccino, e l'asilo per avvisare che sarà assente per dei giorni, poi chiamare la suocera per dire che non vado da lei per almeno due giorni, e l'altra nonna per chiederle se viene a darmi il cambio per un'ora per lasciarmi fare una doccia e andare a prendere il latte che sono senza, e accidenti, non ho sottomano carta e penna per segnarmele tutte ste cose, vedrai che domani sicuramente me ne scordo almeno un terzo". E poi mi rendo conto di aver fatto tutto un caos di pensieri dei quali metà sono perfettamente inutili, e mi passa per la testa una sciocchezza: qual'è il mio numero di telefono? 0432xxxxxx... 0432xpxdeg... 04...0324hhs... cacchio non mi ricordo nemmeno più il mio numero di telefono. Ma sono le quattro e ventitrè del mattino, così dice il display luminoso della mia sveglia, sarà per questo che non me lo ricordo? Ma a cosa serve poi ricordarmelo? Ah si, per darlo alla segretaria del pediatra domattina quando chiamo. Giusto, anche quella chiamata devo fare, ecco vedi? Non l'avevo messa in conto mentre è la più importante. Ma perchè in queste notti il senno se ne va per i fatti suoi? Ah si, forse perchè sono aperti i locali notturni, e lui è in astinenza di sgnappa da almeno sei. Un caffè corretto, ecco quello che ci vorrebbe. Corretto sgnappa.
Ma il pensiero più profondo, oltre a quello classico che mi attanaglia ogni volta che mio figlio soffre (vorrei togliergli il male con un abbraccio ma non so come si fa), è... mi sento sola... E a quest'ora chi mai posso chiamare? Eppure il bisogno di dirlo a qualcuno è insistente, prepotente, ha la lama affilata, non vuole soluzioni ma solo sapere che qualcuno sa che sono sveglia, che sono lì a vegliare, che mi prepari anche una camomilla magari, perchè sono talmente stanca che non riesco a fare le scale senza il terrore di ruzzolare giù come un pero. Di primo acchito mi vien da pensare che mi basterebbero anche solo le mie gatte, che di solito di notte si danno il turno per fare i loro giretti, ma stranamente quando PRMF piange loro si teletrasportano chissà dove, ovunque fuorchè in camera. Come dice Meg, sono gatte con i loro princìpi, di notte si fa silenzio, non è detto che si dorma ma si fa silenzio. Si, in quei momenti mi sento sola. Non mi pesa più da anni, ci ho fatto il callo, ma la sensazione c'è.
Poi guardo quel faccino biancastro, le palpebre contratte dal dolore di un sonno leggero e tutt'altro che tranquillo, io calcolo il tempo che rimane da qui al termine dell'effetto dell'analgesico e penso "beh, piccolo faccino che di solito sembra pù da grande, ora mi fai compagnia tu, che tra poco ti sveglierai di nuovo e mi ricorderai che d'ora in poi è il caso di seguire il consiglio del medico di guardia: SIGNORA SUO FIGLIO DEVE ASSUMERE FARMACI DA RAGAZZO, COSA VUOLE CHE GLI FACCIANO 250MG DI PARACETASGNAUSS... CON 25 CHILI DI PESO...". Macchè ragazzo... hai cinque anni e mezzo, ne dimostri sette ma non li hai, e in fondo in fondo per me ne avrai sempre due e anche meno, anche se da tempo ho smesso di trattarti come quando ne avevi due. Ma non crescere più, ti prego, non crescere più, così sei meraviglioso. Domani potrei svegliarmi ed accorgermi che il tempo è passato troppo in fretta, e non ti attenderò più con la certezza che al tuo ritorno mi affonderai tra le braccia.
Ok, è ora di alzarsi. La notte è passata, per fortuna è l'alba. L'alba di ieri.
L'altra notte PRMF non ha dormito: ha pianto per sei interminabili ore, con qualche quarto d'ora di pisolino agitato qua e là. Ha l'otite, un'otite acuta con infiammazione alle tonsille e alla laringe. Sinceramente, in cinque anni e quasi mezzo non è la prima notte in bianco che faccio con lui malato, ma è una di quelle poche notti in bianco che ho vissuto da sola, senza mio marito. Se da una parte mi sono detta "cavolo, proprio stanotte", dall'altra confesso che il più delle volte Papigà si agita il doppio di nostro figlio in questi casi, quindi tutto sommato me la sono sbrigata anche con più pace del solito. Pace relativa si intende. Sfido chiunque a chiamare una notte del genere una notte tranquilla. Ma non è questo che mi voglio soffermare.
Ovviamente nei momenti di pisolo del malatuccio non è che io abbia approfittato per dormire. Non ci sono riuscita. Non ci riesco mai.
In quei momenti io appoggio la testa su due cuscini, la testa di mio figlio (che in questi casi mi porto nel lettone per comodità, lo ammetto) posata sul mio petto, la luce delle scale accesa, chiudo gli occhi e penso.
Penso ai bambini che ho visto giacere nei lettini del reparto di pediatria l'ultima volta che ci sono stata, e ai loro genitori. Quelli si devono essere momenti interminabili: notti passate in una stanza di ospedale a vegliare un figlio per il quale non si può fare altro che star lì, aver fiducia, sperare e cercare di tollerare la propria sofferenza per far fronte alla sua. Per un genitore l'egoismo è bandito in certe situazioni. E per fortuna io, con mio figlio, non ho pesi così grandi da portare sulle spalle.
Penso che l'indomani per fortuna avrò Papigà a casa per un po' di ore, mi sento fortunata perchè dal pediatra ce lo porterà lui così posso recuperare un paio di ore di sonno per arrivare a sera a mente lucida, ma mi sento anche un po' triste perchè è da ammettere che per certe cose mio figlio preferisce avere accanto il papà anzichè la mamma, e la visita dal pediatra è una di quelle. Sono orgogliosa ma anche un po' ferita, ma poi so che al suo ritorno non vorrà altro che le mie braccia e mi consolo profondamente.
Penso "cavolo, devo chiamare l'ospedale per rimandare il prick test, e il vaccino, e l'asilo per avvisare che sarà assente per dei giorni, poi chiamare la suocera per dire che non vado da lei per almeno due giorni, e l'altra nonna per chiederle se viene a darmi il cambio per un'ora per lasciarmi fare una doccia e andare a prendere il latte che sono senza, e accidenti, non ho sottomano carta e penna per segnarmele tutte ste cose, vedrai che domani sicuramente me ne scordo almeno un terzo". E poi mi rendo conto di aver fatto tutto un caos di pensieri dei quali metà sono perfettamente inutili, e mi passa per la testa una sciocchezza: qual'è il mio numero di telefono? 0432xxxxxx... 0432xpxdeg... 04...0324hhs... cacchio non mi ricordo nemmeno più il mio numero di telefono. Ma sono le quattro e ventitrè del mattino, così dice il display luminoso della mia sveglia, sarà per questo che non me lo ricordo? Ma a cosa serve poi ricordarmelo? Ah si, per darlo alla segretaria del pediatra domattina quando chiamo. Giusto, anche quella chiamata devo fare, ecco vedi? Non l'avevo messa in conto mentre è la più importante. Ma perchè in queste notti il senno se ne va per i fatti suoi? Ah si, forse perchè sono aperti i locali notturni, e lui è in astinenza di sgnappa da almeno sei. Un caffè corretto, ecco quello che ci vorrebbe. Corretto sgnappa.
Ma il pensiero più profondo, oltre a quello classico che mi attanaglia ogni volta che mio figlio soffre (vorrei togliergli il male con un abbraccio ma non so come si fa), è... mi sento sola... E a quest'ora chi mai posso chiamare? Eppure il bisogno di dirlo a qualcuno è insistente, prepotente, ha la lama affilata, non vuole soluzioni ma solo sapere che qualcuno sa che sono sveglia, che sono lì a vegliare, che mi prepari anche una camomilla magari, perchè sono talmente stanca che non riesco a fare le scale senza il terrore di ruzzolare giù come un pero. Di primo acchito mi vien da pensare che mi basterebbero anche solo le mie gatte, che di solito di notte si danno il turno per fare i loro giretti, ma stranamente quando PRMF piange loro si teletrasportano chissà dove, ovunque fuorchè in camera. Come dice Meg, sono gatte con i loro princìpi, di notte si fa silenzio, non è detto che si dorma ma si fa silenzio. Si, in quei momenti mi sento sola. Non mi pesa più da anni, ci ho fatto il callo, ma la sensazione c'è.
Poi guardo quel faccino biancastro, le palpebre contratte dal dolore di un sonno leggero e tutt'altro che tranquillo, io calcolo il tempo che rimane da qui al termine dell'effetto dell'analgesico e penso "beh, piccolo faccino che di solito sembra pù da grande, ora mi fai compagnia tu, che tra poco ti sveglierai di nuovo e mi ricorderai che d'ora in poi è il caso di seguire il consiglio del medico di guardia: SIGNORA SUO FIGLIO DEVE ASSUMERE FARMACI DA RAGAZZO, COSA VUOLE CHE GLI FACCIANO 250MG DI PARACETASGNAUSS... CON 25 CHILI DI PESO...". Macchè ragazzo... hai cinque anni e mezzo, ne dimostri sette ma non li hai, e in fondo in fondo per me ne avrai sempre due e anche meno, anche se da tempo ho smesso di trattarti come quando ne avevi due. Ma non crescere più, ti prego, non crescere più, così sei meraviglioso. Domani potrei svegliarmi ed accorgermi che il tempo è passato troppo in fretta, e non ti attenderò più con la certezza che al tuo ritorno mi affonderai tra le braccia.
Ok, è ora di alzarsi. La notte è passata, per fortuna è l'alba. L'alba di ieri.