E niente, mi ero stufata di fiocchetti, merletti, trine e pallini.
Per ora va così.
mercoledì 14 novembre 2018
venerdì 2 novembre 2018
Unselfieperledonne
Faccio rimbalzare volentieri questa iniziativa che mi è stata segnalata via MP. Io ho partecipato.
#UNSELFIEPERLEDONNE nasce per dare a tutti, non solo alla donne, la
possibilità di dare un contributo mettendosi in gioco, grazie
all’utilizzo del digitale, per veicolare il progetto e sostenere la
raccolta fondi. Accedendo alla piattaforma
dedicata https://www.unselfieperledonne.it/
è possibile lasciare messaggi di solidarietà e caricare il proprio
selfie con l’obiettivo di sensibilizzare più utenti possibili e
raccogliere
fondi. L’intero importo raccolto sarà devoluto a Fondazione IEO-CCM.
sabato 27 ottobre 2018
Per il mese della diagnosi precoce. Ma soprattutto per chi inizia la battaglia.
Ne avete abbastanza di messaggi sulla sensibilizzazione per la diagnosi precoce (non confondetela con la prevenzione o VE MAGNO) del tumore al seno?
No?
Siamo in ottobre, noblesse oblige, perciò pappatevi questa. Poi fate mente locale e ricordate quando avete fatto l'ultima mammografia/ecografia/autopalpazione, e se è il caso provvedete o VE MAGNO naltra volta.
Buona visione!
martedì 9 ottobre 2018
Di date e di radioterapia
Le date che ti si tatuano in testa: nove ottobre, un anno fa è
arrivata la seconda legnata sulla schiena. In realtà è arrivata
settimane prima, quando l'oncologo dopo cicli inutili di antibiotici e
antinfiammatori si è impuntato per farmi fare una biopsia, contro il
parere della radiologa. Ci sono arrivata in quei giorni. Che certe cose,
con l'esperienza, le capisci oltre le parole dette.
Ma un anno fa è arrivato nero su bianco. E non ho pianto quel giorno, perchè ho pianto i giorni precedenti. Ho pianto quando al telefono mi hanno comunicato che anzichè ritirare il referto della biopsia al CUP (come feci per i fibroadenomi e i granulomi tempo addietro) me lo avrebbe consegnato l'oncologo. La prassi, quella è. Entrai in ambulatorio dicendogli "non serve che mi dici, già so. Dimmi solo come procedo stavolta".
- "Come fai a saperlo? Chi te lo ha detto?"
- "Doctor, sono otto anni che ci conosciamo. Tra me e mia madre è la quarta volta che entro qui dentro seguendo la stessa identica prassi. Vai avanti, salta la parte "c'è un tumore", ti risparmio l'imbarazzo".
Diventò rosso in viso. Povero, mi mette una tenerezza. Forse avrei dovuto andarci io più cauta. Deve essere difficile anche per loro. Per i medici.
Ragazze belle, oggi ha telefonato l'ospedale. Dopodomani all'una inizio i miei nuovi 25 avanti-e-indietro a farmi illuminare di immenso solo dove avevo le metastasi. Per la parete toracica speriamo e preghiamo solo che chirurgia e chemioterapia siano stati sufficienti a quadrettargli le chiappe definitivamente, a sto secondo schifo che si era pure montato la testa. La scorsa settimana, come ho anticipato nel video, ho dovuto rifare la TAC di centratura. Cerco di spiegarlo con parole semplici, ovviamente non sono un tecnico. Quella che ho fatto la settimana prima ha rilevato un problema sulla parete toracica, appunto: è troppo sottile, irradiandola nella migliore delle ipotesi provocherebbero una polmonite attinica, nella peggiore un buco sul polmone (dove peraltro c'è già anche la cicatrice post-attinica della radioterapia del 2010, lunga in verticale, e già lì devono fare - hanno detto - i salti mortali per non "prenderla" durante l'irraggiamento della metastasi sovraclaveare). Durante la TAC di venerdì scorso hanno tentato di sopperire alla mancanza di spessore applicando sulla pelle una specie di placca in silicone alta circa mezzo centimetro. Ma il problema permane, perchè non essendo piatta sul torace ma scavata (mi hanno tolto anche una parte del muscolo pettorale) la placca non aderisce, e sembra che questo cuscinetto d'aria non permetta al fascio di radiazioni di arrivare all'obiettivo nella maniera corretta.
Quando me lo hanno comunicato, durante il colloquio che è seguito immediatamente dopo in ambulatorio, non l'ho proprio presa benissimo. Mi dà sempre parecchio fastidio quando i medici cercano di arrivare al centro dei discorsi facendo il giro dell'oca, anche se capisco che lo fanno per cercare di spiegare bene le motivazioni che li spingono a prendere determinate decisioni (non tutti, dico la verità: chi ti butta lì la sentenza senza darti la possibilità di prendere parola o chiedere spiegazioni, perchè tanto "tu comune mortale devi solo adeguarti senza far perdere tempo che tanto non capisci" c'è ancora, e sono tanti). E infatti a un certo punto la dottoressa (gentilissima e disponibilissima, quel che c'è da dire va detto) l'ho fermata io, chiedendole se in sostanza ho tolto l'espansore per niente.
-Si... no... mah... l'intervento andava fatto comunque, andava tolto il lembo di pelle... già che c'erano i chirurghi hanno scavato ulteriormente... sa signora, era recidiva, era mastite carcinomatosa, era molto vasto, le metastasi, il triplo negativo, la prudenza, questo e quello...
-Lei mi aveva detto che irradiando la parete toracica avrei avuto le costole fragili come grissini, sarei stata soggetta a fratture spontanee, a necrosi ossea... Che comunque il gioco valeva la candela... Niente più di tutto questo? Solo ustione, aumento del rischio di linfedema al braccio e problemi temporanei alla gola, quindi?
-Si signora, sarà così.
Ho respirato a fondo. Ho deglutito saliva inesistente. Ho realizzato in una frazione di secondo che ormai arrabbiarsi non aveva senso, che in fondo era un seno, solo un seno, non un occhio o un rene. Questo è il lato positivo di passarci per la seconda volta riuscendo nonostante tutto, con la più alta probabilità possibile per il mio tipo di tumore, a sfangarla: diventa tutto relativo. Basta sfangarla.
- E tant'è dottoressa, non importa, ormai è fatta. Va bene anche così. Serenamente, le assicuro.
E certo. Facciamola andare bene. L'obiettivo non è riavere una tetta. Non lo è più, non mi importa più niente. Non mi cambia la vita. Mi importa uscire da questa cosa ed uscirne definitivamente.
E quindi sotto, avanti coi carri, anzi, con la mia Peugeottina color zucca. Anzi, è il caso che domattina le faccia il pieno
Ma un anno fa è arrivato nero su bianco. E non ho pianto quel giorno, perchè ho pianto i giorni precedenti. Ho pianto quando al telefono mi hanno comunicato che anzichè ritirare il referto della biopsia al CUP (come feci per i fibroadenomi e i granulomi tempo addietro) me lo avrebbe consegnato l'oncologo. La prassi, quella è. Entrai in ambulatorio dicendogli "non serve che mi dici, già so. Dimmi solo come procedo stavolta".
- "Come fai a saperlo? Chi te lo ha detto?"
- "Doctor, sono otto anni che ci conosciamo. Tra me e mia madre è la quarta volta che entro qui dentro seguendo la stessa identica prassi. Vai avanti, salta la parte "c'è un tumore", ti risparmio l'imbarazzo".
Diventò rosso in viso. Povero, mi mette una tenerezza. Forse avrei dovuto andarci io più cauta. Deve essere difficile anche per loro. Per i medici.
Ragazze belle, oggi ha telefonato l'ospedale. Dopodomani all'una inizio i miei nuovi 25 avanti-e-indietro a farmi illuminare di immenso solo dove avevo le metastasi. Per la parete toracica speriamo e preghiamo solo che chirurgia e chemioterapia siano stati sufficienti a quadrettargli le chiappe definitivamente, a sto secondo schifo che si era pure montato la testa. La scorsa settimana, come ho anticipato nel video, ho dovuto rifare la TAC di centratura. Cerco di spiegarlo con parole semplici, ovviamente non sono un tecnico. Quella che ho fatto la settimana prima ha rilevato un problema sulla parete toracica, appunto: è troppo sottile, irradiandola nella migliore delle ipotesi provocherebbero una polmonite attinica, nella peggiore un buco sul polmone (dove peraltro c'è già anche la cicatrice post-attinica della radioterapia del 2010, lunga in verticale, e già lì devono fare - hanno detto - i salti mortali per non "prenderla" durante l'irraggiamento della metastasi sovraclaveare). Durante la TAC di venerdì scorso hanno tentato di sopperire alla mancanza di spessore applicando sulla pelle una specie di placca in silicone alta circa mezzo centimetro. Ma il problema permane, perchè non essendo piatta sul torace ma scavata (mi hanno tolto anche una parte del muscolo pettorale) la placca non aderisce, e sembra che questo cuscinetto d'aria non permetta al fascio di radiazioni di arrivare all'obiettivo nella maniera corretta.
Quando me lo hanno comunicato, durante il colloquio che è seguito immediatamente dopo in ambulatorio, non l'ho proprio presa benissimo. Mi dà sempre parecchio fastidio quando i medici cercano di arrivare al centro dei discorsi facendo il giro dell'oca, anche se capisco che lo fanno per cercare di spiegare bene le motivazioni che li spingono a prendere determinate decisioni (non tutti, dico la verità: chi ti butta lì la sentenza senza darti la possibilità di prendere parola o chiedere spiegazioni, perchè tanto "tu comune mortale devi solo adeguarti senza far perdere tempo che tanto non capisci" c'è ancora, e sono tanti). E infatti a un certo punto la dottoressa (gentilissima e disponibilissima, quel che c'è da dire va detto) l'ho fermata io, chiedendole se in sostanza ho tolto l'espansore per niente.
-Si... no... mah... l'intervento andava fatto comunque, andava tolto il lembo di pelle... già che c'erano i chirurghi hanno scavato ulteriormente... sa signora, era recidiva, era mastite carcinomatosa, era molto vasto, le metastasi, il triplo negativo, la prudenza, questo e quello...
-Lei mi aveva detto che irradiando la parete toracica avrei avuto le costole fragili come grissini, sarei stata soggetta a fratture spontanee, a necrosi ossea... Che comunque il gioco valeva la candela... Niente più di tutto questo? Solo ustione, aumento del rischio di linfedema al braccio e problemi temporanei alla gola, quindi?
-Si signora, sarà così.
Ho respirato a fondo. Ho deglutito saliva inesistente. Ho realizzato in una frazione di secondo che ormai arrabbiarsi non aveva senso, che in fondo era un seno, solo un seno, non un occhio o un rene. Questo è il lato positivo di passarci per la seconda volta riuscendo nonostante tutto, con la più alta probabilità possibile per il mio tipo di tumore, a sfangarla: diventa tutto relativo. Basta sfangarla.
- E tant'è dottoressa, non importa, ormai è fatta. Va bene anche così. Serenamente, le assicuro.
E certo. Facciamola andare bene. L'obiettivo non è riavere una tetta. Non lo è più, non mi importa più niente. Non mi cambia la vita. Mi importa uscire da questa cosa ed uscirne definitivamente.
E quindi sotto, avanti coi carri, anzi, con la mia Peugeottina color zucca. Anzi, è il caso che domattina le faccia il pieno
giovedì 4 ottobre 2018
domenica 15 luglio 2018
Progressi
Mi sto riprendendo, stavolta, alla velocità della luce.
Ho fatto le medicazioni necessarie.
Sono stata siringata di siero un paio di volte.
Lunedì scorso ho tolto i punti. Ne ho contati undici.
Non ho dolore, solo un leggero fastidio di quando in quando. Una specie di prurito. Sono i tessuti che si rimarginano.
Da circa tre giorni sono senza cerotto, e ho potuto riprendere ad usare la doccia per lavarmi.
Solo ieri ho avuto il coraggio di guardarmi. E di toccarmi.
Non è il dramma che credevo. Ci ho sprecato sopra, davanti allo specchio, un paio di lacrime. Due, non di più. Il minimo sindacale. Anzi, senza espansore mi giro meglio nel letto, non c'è più quel "coso" che si spostava e mi dava la sensazione (ingiustificata) di dovermelo trovare da un momento all'altro piantato sullo sterno o rivolto verso la gola.
Ho buttato il puntatore magnetico. Nella mia smania di riciclare l'improbabile ci ho pensato un po' prima di destinarlo alla differenziata, ma non mi è venuto in mente niente per quell'oggetto dalla forma così strana. Non sono riuscita nemmeno a togliere il magnete pendulo dal supportino, perciò via.
Sto ancora aspettando la protesi definitiva. Il chirurgo non sapeva, o non ricordava, che c'è una pratica burocratica da fare per averla, e che in questa regione dura una ventina di giorni. Nel frattempo mi sono ingegnata con una retina elastica, dell'ovatta e un fazzoletto di cotone. Dal di fuori, quando indosso i miei vestiti, nessuno direbbe che mi manca un seno.
L'istologico deve ancora arrivare, ma siamo nei tempi. Sono passate solo due settimane dal giro in chirurgia.
Ho la testa ricoperta di capelli, e le gambe e le ascelle di nuovo ricoperte di peli (anche se sull'ascella operata ce ne sono molti meno, come è normale). Dei secondi farei volentieri a meno, i primi mi fanno obbrobrio. Troppo corti per potergli dare una forma, troppo lunghi per ricoprirli con un foulard senza che si intraveda qualcosa. Il più delle volte giro senza nulla in testa, anche perchè fa un caldo per cui il foulard è gradevole quanto lo è il casco ad aria calda delle parrucchiere. Ma quando vado in luoghi molto affollati di gente che non conosco (tipo il super, per capirci) o dove so esserci l'aria condizionata, copro. Non mi piaccio così, non c'è niente da fare, aspetto che crescano e che siano adatti al lavoro della parrucchiera per poter dire "adesso si, via tutto".
E per i sostenitori della tesi "prima della chemio dritti e neri, dopo la chemio ricci e biondi", vi informo che no, mi sta accadendo la stessa cosa di otto anni fa: stanno tornando dritti come fusi tali e quali a prima. Ma con tutto il grigiore acquisito negli ultimi otto anni.
Domani vado ad acquistare, finalmente, di nuovo una tinta per capelli. E piano piano, a forza di allungare i tempi delle mie corse in bicicletta quasi quotidiane, spero che se ne vadano assieme al grigiore anche la valanga di attacchi d'ansia che continuano a perseguitarmi dallo scorso settembre. Anche se so che per quelli non basteranno i 30 minuti di posa della tinta.
Ho fatto le medicazioni necessarie.
Sono stata siringata di siero un paio di volte.
Lunedì scorso ho tolto i punti. Ne ho contati undici.
Non ho dolore, solo un leggero fastidio di quando in quando. Una specie di prurito. Sono i tessuti che si rimarginano.
Da circa tre giorni sono senza cerotto, e ho potuto riprendere ad usare la doccia per lavarmi.
Solo ieri ho avuto il coraggio di guardarmi. E di toccarmi.
Non è il dramma che credevo. Ci ho sprecato sopra, davanti allo specchio, un paio di lacrime. Due, non di più. Il minimo sindacale. Anzi, senza espansore mi giro meglio nel letto, non c'è più quel "coso" che si spostava e mi dava la sensazione (ingiustificata) di dovermelo trovare da un momento all'altro piantato sullo sterno o rivolto verso la gola.
Ho buttato il puntatore magnetico. Nella mia smania di riciclare l'improbabile ci ho pensato un po' prima di destinarlo alla differenziata, ma non mi è venuto in mente niente per quell'oggetto dalla forma così strana. Non sono riuscita nemmeno a togliere il magnete pendulo dal supportino, perciò via.
Sto ancora aspettando la protesi definitiva. Il chirurgo non sapeva, o non ricordava, che c'è una pratica burocratica da fare per averla, e che in questa regione dura una ventina di giorni. Nel frattempo mi sono ingegnata con una retina elastica, dell'ovatta e un fazzoletto di cotone. Dal di fuori, quando indosso i miei vestiti, nessuno direbbe che mi manca un seno.
L'istologico deve ancora arrivare, ma siamo nei tempi. Sono passate solo due settimane dal giro in chirurgia.
Ho la testa ricoperta di capelli, e le gambe e le ascelle di nuovo ricoperte di peli (anche se sull'ascella operata ce ne sono molti meno, come è normale). Dei secondi farei volentieri a meno, i primi mi fanno obbrobrio. Troppo corti per potergli dare una forma, troppo lunghi per ricoprirli con un foulard senza che si intraveda qualcosa. Il più delle volte giro senza nulla in testa, anche perchè fa un caldo per cui il foulard è gradevole quanto lo è il casco ad aria calda delle parrucchiere. Ma quando vado in luoghi molto affollati di gente che non conosco (tipo il super, per capirci) o dove so esserci l'aria condizionata, copro. Non mi piaccio così, non c'è niente da fare, aspetto che crescano e che siano adatti al lavoro della parrucchiera per poter dire "adesso si, via tutto".
E per i sostenitori della tesi "prima della chemio dritti e neri, dopo la chemio ricci e biondi", vi informo che no, mi sta accadendo la stessa cosa di otto anni fa: stanno tornando dritti come fusi tali e quali a prima. Ma con tutto il grigiore acquisito negli ultimi otto anni.
Domani vado ad acquistare, finalmente, di nuovo una tinta per capelli. E piano piano, a forza di allungare i tempi delle mie corse in bicicletta quasi quotidiane, spero che se ne vadano assieme al grigiore anche la valanga di attacchi d'ansia che continuano a perseguitarmi dallo scorso settembre. Anche se so che per quelli non basteranno i 30 minuti di posa della tinta.
mercoledì 4 luglio 2018
Il test BRCA
Oggi ho fatto il test BRCA1 e 2. Attendo risposta entro tre-quattro mesi.
Credo di essere stata adeguatamente informata circa ciò che comporta l'eventuale esito positivo. Che non è poi tutto sto gran dramma in più, vista la mia attuale posizione rispetto alla malattia oncologica, anzi, qualsiasi sia l'esito lo considero comunque una opportunità di avere per me ciò che più si adatta, ora e soprattutto in futuro. Il colloquio con la genetista è durato un'ora, un'ora in cui mi si è aperto davanti un mondo (devo dirlo) affascinante, e molto più vasto del banale "se sei mutata è più probabile che ti riammali". Dire così è estremamente riduttivo. Non saprei ripetere quanto mi è stato spiegato però, a parte il succo, cioè ciò che mi riguarda personalmente. La genetica è un universo. Se ci fosse stato con me il Power avrebbe portato via alla genetista una mattinata intera solo per discuterne, e avrebbe fissato ulteriori appuntamenti per approfondire e saziare la sua sete di conoscenza in merito. Lui ci nuota in queste cose, come un ranocchio. Giorni fa ha impiegato mezz'ora abbondante per cercare di spiegarmi perchè, secondo il suo professore di scienze (al quale ha fatto appositamente la domanda al di fuori dell'ora di lezione), lui è nato con il gruppo sanguigno 0+ mentre suo padre è A- e sua madre A+. Per lui il concetto era semplice come per me è semplice fare una teglia di sugo, io dopo i primi cinque minuti avevo già chiuso a chiave in un baule una carriola di sinapsi.
Rimango in attesa serenamente, davvero. Comunque vada.
Credo di essere stata adeguatamente informata circa ciò che comporta l'eventuale esito positivo. Che non è poi tutto sto gran dramma in più, vista la mia attuale posizione rispetto alla malattia oncologica, anzi, qualsiasi sia l'esito lo considero comunque una opportunità di avere per me ciò che più si adatta, ora e soprattutto in futuro. Il colloquio con la genetista è durato un'ora, un'ora in cui mi si è aperto davanti un mondo (devo dirlo) affascinante, e molto più vasto del banale "se sei mutata è più probabile che ti riammali". Dire così è estremamente riduttivo. Non saprei ripetere quanto mi è stato spiegato però, a parte il succo, cioè ciò che mi riguarda personalmente. La genetica è un universo. Se ci fosse stato con me il Power avrebbe portato via alla genetista una mattinata intera solo per discuterne, e avrebbe fissato ulteriori appuntamenti per approfondire e saziare la sua sete di conoscenza in merito. Lui ci nuota in queste cose, come un ranocchio. Giorni fa ha impiegato mezz'ora abbondante per cercare di spiegarmi perchè, secondo il suo professore di scienze (al quale ha fatto appositamente la domanda al di fuori dell'ora di lezione), lui è nato con il gruppo sanguigno 0+ mentre suo padre è A- e sua madre A+. Per lui il concetto era semplice come per me è semplice fare una teglia di sugo, io dopo i primi cinque minuti avevo già chiuso a chiave in un baule una carriola di sinapsi.
Rimango in attesa serenamente, davvero. Comunque vada.
lunedì 2 luglio 2018
La parola più bella
In sala preoperatoria.
-Come si chiama?
-Mamigà.
-Nata il?
-20 novembre 1972.
-Quanti anni ha?
-45.
.....
-Come si chiama?
-Mamigà.
-Nata il?
-20 novembre 1972.
-Quanti anni ha?
-45.
...
-Come si chiama?
-Mamigà.
-Nata il?
-20 nov...mmm. 20 novembre. 1972. Si, 72 mi sembra.
-Quanti anni ha?
-Quarantac... no, quar... sei, quarantas... no aspetti... li vedo sul soffitto, sono quarantaaaaaa... sei? No, devo ancora compierli. Quarantacinque. Credo quarantacinque.
-Ottimo. Imidazolam è entrato in circolo. Adesso, signora, le farò alcune beccatine di anestetico attorno all'espansore, sotto ecografia. La pizzico qui e là, mi dica se le faccio male.
-Si, adesso si. Ahia. Ahia. Ahi... no. Sta facendo ancora? Non sento niente.
-Perfetto. La portiamo di là.
Mi portano nella stanza operatoria vera e propria. Accendono l'ombrello di fari. Arriva la mascherina.
-Respiri bene, un po' di aria fresca la rilassa, vedrà.
-Ok, infermiere, vi do la buonanotte.
-Guardi che non è l'anestesia, è solo aria fresca.
-Mi prendete in giro? Fosse la prima volta... Lo so che dietro di me in silenzio c'è il chirurgo.
-Si Mamigà, sono qui.
-Visto? E allora avanti, uno due, tre... arriveder....
Buio.
Chi dice che sono coraggiosa non sa che prima di farmi portar via con il letto dalla mia stanza in reparto ho avuto una crisi di panico corredata da tipici conati di vomito. Improduttivi ovviamente, ma inevitabili. E poi niente, quello che c'era da fare doveva essere fatto.
Sono stata operata venerdì scorso, quattro giorni fa. Sono a casa in convalescenza. Si fa per dire, visto che mi sento bene, e il bisogno di riposo lo sento relativamente. E' stato un intervento semplice, in anestesia totale: mi è stato asportato l'espansore ed è stata eliminata l'ultima fetta di pelle del seno tolto ad ottobre, quella che secondo l'istologico di ottobre era allora ancora malata. In parole schiette: sono stata piallata come una tavola. Nessun drenaggio, solo una ulteriore cicatrice che divide in due metà torace. Tutta scena, davvero: è stata toccata solo la pelle, perchè il resto se ne è andato con la mastectomia, linfonodi compresi. Non ho dolore, ho solo fastidio, perlopiù causato dall'intolleranza al cerotto di carta (e glie l'avevo anche detto alle infermiere, durante la medicazione di ieri, che ho la pelle ipersensibile alla colla di quel tipo di cerotti... e loro "non a questo, vedrà". E come no... Giovedì me lo faccio cambiare). Domani andrò a prendere la mia bella protesi esterna, che chiamo "tetta da comodino", con la richiesta del chirurgo che mi permette (grazie, Stato) di averla gratuitamente. Entro due o tre settimane avrò l'istologico nuovo, farò la visita radioterapica, e si inizierà il penultimo capitolo di questa oncostoria, che cappero, è iniziata un anno fa e sembra non finire mai. Partorire è stato decisamente più facile. L'ultimo capitolo, la ricostruzione definitiva, per ora non lo voglio prendere in considerazione. Voglio vedere almeno una fetta discreta di controlli negativi, prima di imbarcarmi in un intervento così consistente. E poi che sarà mai, mica vado in giro nuda come un verme, sotto reggiseno e magliette mica si vede che un seno è posticcio. I problemi, quelli per cui perdere il sonno, sono altri.
Sono stata operata, ergo: la Pet è negativa. Vede le stesse macchie che vede la Tac, ma il radiofarmaco non si è fissato. I medici le imputano ad un peggioramento repentino della malattia reumatica, ma ovviamente mi terranno sotto controllo come è comunque dovuto. Presto me la vedrò con la reumatologa, che non mi visita da un po' troppo tempo. E si, il dolore alle articolazioni da qualche settimana, smaltita l'ultima chemio e smesso il cortisone, si è ben che incazzato.
La malattia reumatica, una spondiloartrite indifferenziata sieronegativa, mi è stata diagnosticata nel settembre 2009 (ne raccontai anche qui sul blog, al tempo, se ricordo bene... non ho voglia di andare a spulciare indietro). E' esordita a luglio dello stesso anno, esattamente nove anni fa, in questo periodo. Iniziò circa due o tre settimane dopo una breve influenza con laringospasmo (in seguito mi è stato spiegato dalla reumatologa che spessissimo la malattia, latente dalla nascita per predisposizione genetica, si attiva dopo una apparentemente banale malattia alle vie respiratorie), prendendo le articolazioni delle dita del piede destro, spostandosi anche sul sinistro e sul dito anulare della mano destra in qualche giorno, attaccandosi via via alle altre articolazioni velocemente, mettendomi letteralmente a letto in due settimane. Tre mesi per avere una diagnosi (e in seguito ho scoperto essere anche pochi). Tre mesi di sofferenza, di avvilimento, di corse a destra e sinistra per ambulatori, di esami, di bombe inutili di farmaci antinfiammatori e cortisonici, un iter pesante. Ricordo che la reumatologa non ebbe il coraggio di dirmi schiettamente che non sarei guarita mai, mi ci fece arrivare con un giro di parole. Piansi, piansi tanto. Mi sentivo addosso tutte le tragedie di questo mondo. Mi ci disperai sopra però per pochi mesi, perchè il febbraio seguente arrivò il primo tumore al seno, e iniziò un'altra storia. Come si dice, "ubi maior, minor cessat". E comunque, a seguire, col dolore ho imparato a convivere. Ho cambiato priorità e modi di fare le cose. Si vive anche con l'artrite, complica un po' (in certi giorni, vi assicuro, tanto) le cose, costringe a parecchie rinunce, ma non è la fine del mondo. Si fa diverso, si impara ad essere felici diversamente, stop.
Si può essere contenti di sentirsi dire "l'artrite sta facendo il suo lavoro"? Forse sto dicendo un'eresia, secondo qualcuno. Però si, si può. Si può, quando si ha sperimentato un terrore peggiore. Si può, quando l'alternativa sarebbe stata ben più amara, devastante, aberrante. Ve lo giuro. Si, sono contenta che sia "solo" artrite, e non avrei mai pensato nove anni fa che un giorno sarei arrivata a fare un pensiero del genere.
Perchè c'è solo una parola al mondo più bella di tutte, dopo la parola "mamma", nella vita di tante persone, compresa me.
E' la parola
REMISSIONE
domenica 17 giugno 2018
La terza media si è...
La terza media si è liberata del Power.
No, non il contrario. Pare che durante una delle ultime battaglie (chiamiamola così, una accesa divergenza) con la professoressa di ginnastica, il Power a corto di argomentazioni in sua difesa se ne sia uscito con un drastico "ok, mi bocci, cosi imparo meglio la sua materia". In tutta risposta la prof in questione gli ha piazzato un altrettanto diretto "no no, te ne vai dritto alle superiori, che chi ti vuole tra i piedi un altro anno?".
Non si salti alle conclusioni. Niente a che vedere con la gioventù maleducata di oggi ed altri luoghi comuni. Se conosceste la professoressa di ginnastica (ex, ormai) del Power capireste subito che è il loro proprio personale modo di dimostrare reciproco affetto e profonda fiducia. E lo so che è strano, ma d'altra parte il Power è il Power, e per fortuna ha, tra gli insegnanti, chi una strada per arrivare alla sua zucca fuori dagli schemi è riuscito a trovarla.
Comunque è il libretto scolastico che conta, si capisce, e poco ci voleva a sapere che signore e signori, agli esami si va dritti come fusi. Basta fare la media dei voti. "Non benissimo, ma assolutamente dignitosamente ammesso col 7". Venerdi prova di italiano, ieri prova di matematica, domani lingue, il 26 giugno prova orale.
Sta studiando. Più o meno. È certo che se paragono quello che vedo a quello che vivevo io durante i miei esami di terza mi metto le mani nei capelli (ops... In senso figurato, dai, fate finta che li abbia), che io tutta questa scioltezza e sicurezza a fronte dei miei carichi di ansia proprio non la comprendo. Ma è meglio così, per carità. Il tempo del fucile piantato sul collo è finito da quel di, il mister in questione è un bestione di un metro e 80 per 75 chili di peso e 45 di scarpe, ha pelazzi come travi sulle gambe e non solo e un discreto corredo di brufoli in faccia, io sto in fiducia. Non è facile alzare le mani (nel senso di non stargli addosso), ma prima o poi la palla deve pur passare nelle sue mani. E a dirla per intero sono anche stufa di parargli colpi, così come di fargli le maternali (quelle che, ne sono certa, entrano da un orecchio ed escono dall'altro... E lo capisco dall'espressione tipica adolescenziale da "ok, che brava che sei a parlare, hai finito?" dipinta in faccia; ma voglio tenermi una piccolissima illusione che almeno un filino entrino in quella teca cranica) sull'importanza di quello che è un esame di Stato. Andrà come andrà, dipende da lui.
Comunque.
-Mamma, ti faccio il riassunto della terza media.
E ride. Si, perché sa di essersi comunque fatto voler bene a modo suo alle medie, nonostante tutto. Ha fatto vedere i sorci verdi a professori e bidelle, ma ciò nonostante mi parlano di lui con affetto. E nonostante tutto è arrivato a dirmi che gli dispiace che sia finita.
Aggiornerò quanto prima.
No, non il contrario. Pare che durante una delle ultime battaglie (chiamiamola così, una accesa divergenza) con la professoressa di ginnastica, il Power a corto di argomentazioni in sua difesa se ne sia uscito con un drastico "ok, mi bocci, cosi imparo meglio la sua materia". In tutta risposta la prof in questione gli ha piazzato un altrettanto diretto "no no, te ne vai dritto alle superiori, che chi ti vuole tra i piedi un altro anno?".
Non si salti alle conclusioni. Niente a che vedere con la gioventù maleducata di oggi ed altri luoghi comuni. Se conosceste la professoressa di ginnastica (ex, ormai) del Power capireste subito che è il loro proprio personale modo di dimostrare reciproco affetto e profonda fiducia. E lo so che è strano, ma d'altra parte il Power è il Power, e per fortuna ha, tra gli insegnanti, chi una strada per arrivare alla sua zucca fuori dagli schemi è riuscito a trovarla.
Comunque è il libretto scolastico che conta, si capisce, e poco ci voleva a sapere che signore e signori, agli esami si va dritti come fusi. Basta fare la media dei voti. "Non benissimo, ma assolutamente dignitosamente ammesso col 7". Venerdi prova di italiano, ieri prova di matematica, domani lingue, il 26 giugno prova orale.
Sta studiando. Più o meno. È certo che se paragono quello che vedo a quello che vivevo io durante i miei esami di terza mi metto le mani nei capelli (ops... In senso figurato, dai, fate finta che li abbia), che io tutta questa scioltezza e sicurezza a fronte dei miei carichi di ansia proprio non la comprendo. Ma è meglio così, per carità. Il tempo del fucile piantato sul collo è finito da quel di, il mister in questione è un bestione di un metro e 80 per 75 chili di peso e 45 di scarpe, ha pelazzi come travi sulle gambe e non solo e un discreto corredo di brufoli in faccia, io sto in fiducia. Non è facile alzare le mani (nel senso di non stargli addosso), ma prima o poi la palla deve pur passare nelle sue mani. E a dirla per intero sono anche stufa di parargli colpi, così come di fargli le maternali (quelle che, ne sono certa, entrano da un orecchio ed escono dall'altro... E lo capisco dall'espressione tipica adolescenziale da "ok, che brava che sei a parlare, hai finito?" dipinta in faccia; ma voglio tenermi una piccolissima illusione che almeno un filino entrino in quella teca cranica) sull'importanza di quello che è un esame di Stato. Andrà come andrà, dipende da lui.
Comunque.
-Mamma, ti faccio il riassunto della terza media.
- Power (cognome)!
- Power taci!
- Power stai zitto!
- Power dammi il libretto!
E ride. Si, perché sa di essersi comunque fatto voler bene a modo suo alle medie, nonostante tutto. Ha fatto vedere i sorci verdi a professori e bidelle, ma ciò nonostante mi parlano di lui con affetto. E nonostante tutto è arrivato a dirmi che gli dispiace che sia finita.
Aggiornerò quanto prima.
venerdì 18 maggio 2018
Di respiri e di sospiri
Non è facile riassumere tutto quello che è accaduto in questi due mesi in un post di una lunghezza accettabile. E per "accettabile" intendo "che non faccia crollare dal sonno dopo le prime venti o trenta righe". Ma ci provo.
Dove ero rimasta?Alla seconda chemio, mi pare. Dunque.
E' andata la terza ritardata di una settimana a causa della neutropenia, con il corredo di fattori di crescita fatti in via preventiva a casa (da sola, sur panza) dopo 72 ore, il dolore osseo e muscolare che ne è derivato, la febbre, la forte nausea, l'incalzare deciso dell'onicomicosi (fa abbastanza senso), l'astenia, tutto l'ambaradan previsto e gestito come da protocollo.
E' andata la quarta. La quarta chemio mi ha portato un inizio di linfedema alla mano sinistra, oltre al resto del pacchetto. Ma anche questa la sto gestendo bene. Ah si, mi sono anche gonfiata leggermente a causa del cortisone, tre chili, niente a confronto degli oltre venti accumulati nel 2010. Ma mi ha portato anche una conoscenza simpatica in stanza, su cui non voglio soffermarmi qui per la delicatezza della situazione che la coinvolge e ci coinvolge. Insomma, ciao ciao lettino, ciao ciao pompa per l'infusione, ciao ciao boccioni di veleno, è stato (non) bello finchè è durato, ma ora basta.
E adesso?
Già, me lo sto chiedendo da giorni... E adesso?
Faccio qualche passo indietro. Prima della terza chemio ho rifatto la visita radioterapica. Pare che nel mio caso, visto l'istologico particolarmente nefasto derivato dalla polpetta tolta lo scorso 24 ottobre, ci sia indicazione a fare radioterapia anche sulla parete toracica. Ma per farlo bisogna togliere l'espansore. E togliere anche tutta la fetta di pelle attorno alla cicatrice già esistente, perchè sempre dall'istologico risulta che i margini di resezione non erano puliti, fortunatamente (perchè si, guardiamo il lato meno peggiore della cosa) dalla parte della cute. Il che significa portarmi mezzo torace, come ha detto ieri mia nonna per telefono, "a piatto". E quindi protesi esterna, la pallotta da infilare nel reggiseno in poche parole. E quindi, ancora, ricostruzione più in là con lembo addominale.
Sono sincera: sul momento non l'ho presa bene. Ma siccome "indicazione" non significa " sei obbligata a farla", mi sono presa un po' di tempo per pensarci su, con riserva di dire "si" o "no" dopo un paio di settimane. In quelle due settimane ho letto tanto, mi sono confrontata con altre donne di un gruppo Facebook in cui sono iscritta da qualche mese (solo donne giovani con tumore al seno, l'unico gruppo a tema in cui finora mi trovo abbastanza bene), mica potevo dire "si, mutilatemi di nuovo" senza pensarci due nanosecondi, la pellaccia è mia e prima di autografare un consenso fammici raccapezzare; ho fatto una lunga chiacchierata con una mia amica (reale) che ha fatto più o meno lo stesso mio percorso cinque anni fa ma si è rifiutata di fare la radioterapia, e mi ha esposto tutta una lunghissima teoria che ha tirato giù da non so dove che, in soldoni, dimostra che la radio non alza la probabilità di sopravvivenza di sto granchè. "In oncologia mi detestano per questa cosa, sai... perchè sono uscita dai loro protocolli". E ok, ho pensato, sono scelte... sono punti di vista, sono pippe mentali, sono boh, ma se ero lì lì per rifiutare la radio non è per queste motivazioni, ma perchè l'idea di togliere l'espansore mi faceva orrore. Cavolo, ho sofferto tanto per accettarlo, sia dentro sia fuori. Cacchio se è stato doloroso. Quel senso di oppressione fortissimo al torace delle prime settimane, quelle crisi di ansia domate a colpi di di ansiolitici, tisane di malva e camomilla, e di "è tutto normale, è tutto transitorio, il chirurgo ha detto che è tutto a posto", il percorso che ormai vedevo davanti ben delineato, tanto impegnativo quanto risolutivo e in tempi che avevo ormai accettato, buttare via tutto? Per cosa? Per uno "zero virgola acchiappalo"?
Per sopravvivere. Perchè, e ci sono arrivata in seguito ad una chiacchierata col mio (sant'uomo) medico di base, una recidiva mutata (se lo è, perchè non si capisce ancora se sia questo o un tumore novo, e credo che non lo sapremo mai) non ha gli stessi rischi di un tumore primario, ma sono moltiplicati. Tanto più se ha "camminato" così velocemente e ha un istologico che non ha nulla a che vedere con quello del tumore precedente: un triplo negativo è una parrocchia diversa da quella di un ormonale, e io l'ho sempre saputo dato che il primo tumore di mia madre lo era, tanto più che ho il vizio di voler sapere tutto, e chiedo, e cerco, e parlo. Ma non so perchè, è un dato che nella mia testa non si vuole fissare. La prognosi, se non si agisce con criterio, cambia decisamente, e non in meglio. Ma il mio medico me lo ha detto in un modo così familiare che mi ha fatto, non so come, tornare la testa dove deve stare, cioè sopra al collo. Sam è meglio di una flebo di neuroni. Ho visto la strada più chiara dopo aver parlato con lui, e ho firmato, due settimane fa, il consenso.
E che sarà mai avere una tetta da rimettere sul comodino la sera? Io sono quella che si sente pheega anche col foulard, che non nasconde la malattia a nessuno perchè è convinta che il valore di una donna non sta nè nei capelli nè nel numero di figli che fa (o che non fa), ho tolto utero ed ovaie e mi sono ripresa psicologicamente in tempi che non avrei mai pensato, avrò un seno tascabile per un po' di tempo, non sarà la fine del mondo. La sofferenza che ho già passato? Me ne farò una ragione, sarà servita a qualcosa, non lo so, ogni tanto me lo chiedo e mi rispondo dopo poco che chissà, magari lo scoprirò più avanti. Perchè io ho questa strampalata convinzione che tutto serva a costruire qualcosa, anche se non nell'immediato, perciò aspetterò. Di nuovo.
Passate le tre settimane per smaltire l'ultima chemio sono tornata, come previsto, in forze. Ho impiegato qualche giorno in più a dire il vero, ma l'effetto accumulo fa il suo lavoro, perciò non mi sono spaventata, bensì ho assecondato il mio corpo, e ora sto davvero bene. Ho ripreso la mia vita di sempre o quasi, mi stanco ancora molto facilmente, ma non è fortunatamente un gran problema: ogni tanto mi fermo, poi riparto. La scorsa settimana sono tornata anche a fare la spesa "grande", quella che faccio ogni circa otto giorni e che mi tiene fuori una mattinata intera a girare tra due supermercati e un discount a 15 chilometri da qui, e da qualche giorno ho ricominciato anche a cucinare "da cristiani " (sempre come dice la nonna) come facevo prima. Due settimane fa sono risalita anche in bicicletta, niente di che, un giretto con mio figlio fino in piazza e a seguire a votare, mi è parso di scalare una montagna, ma in cima ci sono arrivata. Non pare vero di sentire di nuovo la terra sotto ai piedi.
Piano piano tutto torna a posto. Il naso non sanguina più, non sento più l'odore delle gallette di riso della colazione di mio marito fino al piano di sopra (che per settimane mi ha ribaltato lo stomaco non si può capire quanto), non mi danno più nausea gli odori dei saponi nè mi fanno venire il vomito i sapori delle verdure e dei sughi. La pelle sta perdendo il grigiore e le macchie sul viso vanno via via schiarendosi, le unghie hanno ancora la micosi, il sole non mi fa più venire le chiazze rosse su viso e mani, il dolore alle articolazioni è di nuovo quello ormai famigliare dell'artrite e non la bastonata di Neulasta.
Capelli ancora non ne ho. Ma da qualche giorno il colore della calotta è tornato grigio, finalmente, e mi sto riempiendo di una discreta peluria fina fina, quasi invisibile, chiara, che si sente quando si passa la mano sulla testa. Tutto normale, tutto come avevo previsto, tutto secondo i tempi di otto anni fa, tutto sotto controllo.
Quasi.
Perchè quello che sta succedendo "dentro", quello che non vedo, non sta filando proprio liscio.
A tre settimane esatte dall'ultima infusione ho anche iniziato, così, subito, di botto, i controlli. Prelievo di sangue con i markers, ECG, TAC, scintigrafia ossea, vediamo un po' se i drink hanno fatto il loro lavoro, và. E già che ci siamo infiliamoci il prericovero, facciamo le cose vit vit, che il tempo, in oncologia, ha un peso che in altri reparti per fortuna no.
E quindi... Un marker è fuori limite di un bel po'. E io non ci avrei dato nemmeno peso (esperienza e letteratura insegnano che i marcatori tumorali possono indicare una quantità di altre cose oltre alla malattia oncologica, si alterano molto più facilmente per un raffreddore) se non me lo avesse fatto notare con aria seriosa l'oncologo.
Poi è arrivata la TAC, che ho portato in visione sapendo di dover tornare in un secondo momento per una visita. Ma la visita me l'hanno voluta fare subito, appena l'oncologo ha dato una guardata al referto. Mi ha fatto attendere in sala d'attesa un quarto d'ora per visionare bene il CD, e mi è venuto a prendere per portarmi subito in ambulatorio.
Odio quegli sguardi seriosi. Odio quando dice "dobbiamo parlare", odio quando mi appoggia la mano sulla spalla e mi cammina a fianco senza precedermi, perchè ormai conosco quel modo di fare che non porta niente di rassicurante. Anzi, si, una certezza la porta, ed è quella che c'è un problema. Sempre. Ormai lui, quando c'è lui, certe parole con me non le usa nemmeno più. Gli basta guardarmi in quel certo modo, e le parole gliele metto in bocca io. Come il 9 ottobre scorso, quando è venuto a prendermi in sala d'attesa e prima che aprisse bocca gli ho detto sottovoce "guarda che so. Se fosse stato negativo avrei ritirato l'istologico al CUP, come per la nocciolina al seno destro dell'anno scorso". Stavolta sono bastati tre "no" con le gambe che tremavano e una richiesta di consenso a poter dire "merda", ovviamente accordata. Il resto me lo ha spiegato lui, seduto vicino a me, non dietro la scrivania. Credo che fosse davvero sinceramente dispiaciuto.
Fine dei preamboli. La TAC vede lesioni ossee. Tante, piccole e diffuse, e delle concentrazioni intense alla base di una vertebra cervicale, su una vertebra dorsale, e sull'ala iliaca destra. Avallate dal marker stronzo. Lo sapete che "lesioni" in oncologia non vuol dire "rotture" ma un'altra cosa, vero?
Il giorno dopo è arrivato l'esito della scintigrafia, che invece non vede assolutamente nulla. L'esito è arrivato direttamente al chirurgo (aveva chiesto l'esame in regime di prericovero, perciò non l'ho ritirato io), che l'ha subito passato all'oncologo. E l'oncologo mi ha chiamato alle 5 del pomeriggio di venerdì scorso per dirmelo.
E quindi? E' metastasi o non lo è?
Mercoledì, l'altro ieri, gli oncologi si sono consultati con il medico di medicina nucleare e con i radiologi che hanno refertato la TAC, e hanno giustamente concluso che è necessario un ulteriore esame per capirci qualcosa: mi fisseranno una PET in tempi il più brevi possibili, entro due settimane. L'oncologo mi ha anticipato che, se la PET dovesse confermare la sua diagnosi (metastasi ossee), ci sarà da valutare un percorso di radioterapia o, in alternativa, ancora chemioterapia, ma di un altro tipo, meno pesante di quella fatta finora. Nel frattempo l'intervento al seno è rimandato per la terza volta.
Ho pianto tanto nei giorni scorsi. In silenzio e da sola, per non farmi vedere dal Power che sta preparando gli esami di terza e non voglio che abbia un altro peso inutile addosso, perchè ne ha già a sufficienza. Ho pianto di paura. Ho pianto di senso di fragilità, di insicurezza, di ansia. Mi sento di nuovo mancare la terra sotto ai piedi. Ho chiuso i rubinetti delle condivisioni, della socializzazione, del sorriso forzato, per giorni. Ho spedito a quel paese l'ottimismo e il pensiero positivo. Al diavolo, non si può essere sempre carichi ed energici. Non si può essere sempre l'immagine della combattività. Non si può sempre tollerare i "andrà tutto bene" detti da chi non ha la sfera magica in mano, tantomeno i "non fasciarti la testa" da chi non ha alba di cosa significhi entrare in tunnel come questo, non ha mai messo piede in un reparto di oncologia, non ha mai giocato a briscola con la morte.
Di nuovo ho cercato informazioni. Ho letto di metastasi ossee ma anche di storie di remissione, di cronicizzazione, di terapie meno violente della chemio fatta finora. Ho iniziato ad attaccarmi con foga al lavoro domestico, che si, ne ho di arretrato finchè si vuole (tre mesi affidando la casa a marito e figlio hanno lasciato i loro inevitabili strascichi), ma lo sto svolgendo con smania, per non pensare. Non ho granchè voglia di parlare con chiunque. Qualche giorno fa è stata qui mia madre col solito pacchetto di pettegolezzi famigliari (è stata ad una cerimonia in isola per una intera giornata dopo tre anni di assenza), di istinto dopo la terza sciocchezza riguardante gli affari degli altri ho sbottato, e di cattiveria le ho chiuso la bocca. Subito mi sono scusata. Ma non ho proprio voglia di sentire niente che non sia mirato esclusivamente a tirarmi su. Chiudo le orecchie e la testa. Non ce la faccio a fare diversamente. Tanto più che sono quasi sempre sola, visto che mia suocera è in ospedale e mio marito, tra lavoro e lei, è preso altrove. Vorrei solo belle notizie, belle novità, qualsiasi cosa che possa farmi ridere, o anche piangere ma di contentezza, anche cose che non mi riguardano, ma buone.
Perchè è di nuovo attesa, ed attesa pesantissima. Nel mentre spero fortemente in un'avaria del macchinario della TAC (non della scinti, please) e un errore di calcolo dei valori dei markers. Magari mi va dritta.
Dove ero rimasta?Alla seconda chemio, mi pare. Dunque.
E' andata la terza ritardata di una settimana a causa della neutropenia, con il corredo di fattori di crescita fatti in via preventiva a casa (da sola, sur panza) dopo 72 ore, il dolore osseo e muscolare che ne è derivato, la febbre, la forte nausea, l'incalzare deciso dell'onicomicosi (fa abbastanza senso), l'astenia, tutto l'ambaradan previsto e gestito come da protocollo.
E' andata la quarta. La quarta chemio mi ha portato un inizio di linfedema alla mano sinistra, oltre al resto del pacchetto. Ma anche questa la sto gestendo bene. Ah si, mi sono anche gonfiata leggermente a causa del cortisone, tre chili, niente a confronto degli oltre venti accumulati nel 2010. Ma mi ha portato anche una conoscenza simpatica in stanza, su cui non voglio soffermarmi qui per la delicatezza della situazione che la coinvolge e ci coinvolge. Insomma, ciao ciao lettino, ciao ciao pompa per l'infusione, ciao ciao boccioni di veleno, è stato (non) bello finchè è durato, ma ora basta.
E adesso?
Già, me lo sto chiedendo da giorni... E adesso?
Faccio qualche passo indietro. Prima della terza chemio ho rifatto la visita radioterapica. Pare che nel mio caso, visto l'istologico particolarmente nefasto derivato dalla polpetta tolta lo scorso 24 ottobre, ci sia indicazione a fare radioterapia anche sulla parete toracica. Ma per farlo bisogna togliere l'espansore. E togliere anche tutta la fetta di pelle attorno alla cicatrice già esistente, perchè sempre dall'istologico risulta che i margini di resezione non erano puliti, fortunatamente (perchè si, guardiamo il lato meno peggiore della cosa) dalla parte della cute. Il che significa portarmi mezzo torace, come ha detto ieri mia nonna per telefono, "a piatto". E quindi protesi esterna, la pallotta da infilare nel reggiseno in poche parole. E quindi, ancora, ricostruzione più in là con lembo addominale.
Sono sincera: sul momento non l'ho presa bene. Ma siccome "indicazione" non significa " sei obbligata a farla", mi sono presa un po' di tempo per pensarci su, con riserva di dire "si" o "no" dopo un paio di settimane. In quelle due settimane ho letto tanto, mi sono confrontata con altre donne di un gruppo Facebook in cui sono iscritta da qualche mese (solo donne giovani con tumore al seno, l'unico gruppo a tema in cui finora mi trovo abbastanza bene), mica potevo dire "si, mutilatemi di nuovo" senza pensarci due nanosecondi, la pellaccia è mia e prima di autografare un consenso fammici raccapezzare; ho fatto una lunga chiacchierata con una mia amica (reale) che ha fatto più o meno lo stesso mio percorso cinque anni fa ma si è rifiutata di fare la radioterapia, e mi ha esposto tutta una lunghissima teoria che ha tirato giù da non so dove che, in soldoni, dimostra che la radio non alza la probabilità di sopravvivenza di sto granchè. "In oncologia mi detestano per questa cosa, sai... perchè sono uscita dai loro protocolli". E ok, ho pensato, sono scelte... sono punti di vista, sono pippe mentali, sono boh, ma se ero lì lì per rifiutare la radio non è per queste motivazioni, ma perchè l'idea di togliere l'espansore mi faceva orrore. Cavolo, ho sofferto tanto per accettarlo, sia dentro sia fuori. Cacchio se è stato doloroso. Quel senso di oppressione fortissimo al torace delle prime settimane, quelle crisi di ansia domate a colpi di di ansiolitici, tisane di malva e camomilla, e di "è tutto normale, è tutto transitorio, il chirurgo ha detto che è tutto a posto", il percorso che ormai vedevo davanti ben delineato, tanto impegnativo quanto risolutivo e in tempi che avevo ormai accettato, buttare via tutto? Per cosa? Per uno "zero virgola acchiappalo"?
Per sopravvivere. Perchè, e ci sono arrivata in seguito ad una chiacchierata col mio (sant'uomo) medico di base, una recidiva mutata (se lo è, perchè non si capisce ancora se sia questo o un tumore novo, e credo che non lo sapremo mai) non ha gli stessi rischi di un tumore primario, ma sono moltiplicati. Tanto più se ha "camminato" così velocemente e ha un istologico che non ha nulla a che vedere con quello del tumore precedente: un triplo negativo è una parrocchia diversa da quella di un ormonale, e io l'ho sempre saputo dato che il primo tumore di mia madre lo era, tanto più che ho il vizio di voler sapere tutto, e chiedo, e cerco, e parlo. Ma non so perchè, è un dato che nella mia testa non si vuole fissare. La prognosi, se non si agisce con criterio, cambia decisamente, e non in meglio. Ma il mio medico me lo ha detto in un modo così familiare che mi ha fatto, non so come, tornare la testa dove deve stare, cioè sopra al collo. Sam è meglio di una flebo di neuroni. Ho visto la strada più chiara dopo aver parlato con lui, e ho firmato, due settimane fa, il consenso.
E che sarà mai avere una tetta da rimettere sul comodino la sera? Io sono quella che si sente pheega anche col foulard, che non nasconde la malattia a nessuno perchè è convinta che il valore di una donna non sta nè nei capelli nè nel numero di figli che fa (o che non fa), ho tolto utero ed ovaie e mi sono ripresa psicologicamente in tempi che non avrei mai pensato, avrò un seno tascabile per un po' di tempo, non sarà la fine del mondo. La sofferenza che ho già passato? Me ne farò una ragione, sarà servita a qualcosa, non lo so, ogni tanto me lo chiedo e mi rispondo dopo poco che chissà, magari lo scoprirò più avanti. Perchè io ho questa strampalata convinzione che tutto serva a costruire qualcosa, anche se non nell'immediato, perciò aspetterò. Di nuovo.
Passate le tre settimane per smaltire l'ultima chemio sono tornata, come previsto, in forze. Ho impiegato qualche giorno in più a dire il vero, ma l'effetto accumulo fa il suo lavoro, perciò non mi sono spaventata, bensì ho assecondato il mio corpo, e ora sto davvero bene. Ho ripreso la mia vita di sempre o quasi, mi stanco ancora molto facilmente, ma non è fortunatamente un gran problema: ogni tanto mi fermo, poi riparto. La scorsa settimana sono tornata anche a fare la spesa "grande", quella che faccio ogni circa otto giorni e che mi tiene fuori una mattinata intera a girare tra due supermercati e un discount a 15 chilometri da qui, e da qualche giorno ho ricominciato anche a cucinare "da cristiani " (sempre come dice la nonna) come facevo prima. Due settimane fa sono risalita anche in bicicletta, niente di che, un giretto con mio figlio fino in piazza e a seguire a votare, mi è parso di scalare una montagna, ma in cima ci sono arrivata. Non pare vero di sentire di nuovo la terra sotto ai piedi.
Piano piano tutto torna a posto. Il naso non sanguina più, non sento più l'odore delle gallette di riso della colazione di mio marito fino al piano di sopra (che per settimane mi ha ribaltato lo stomaco non si può capire quanto), non mi danno più nausea gli odori dei saponi nè mi fanno venire il vomito i sapori delle verdure e dei sughi. La pelle sta perdendo il grigiore e le macchie sul viso vanno via via schiarendosi, le unghie hanno ancora la micosi, il sole non mi fa più venire le chiazze rosse su viso e mani, il dolore alle articolazioni è di nuovo quello ormai famigliare dell'artrite e non la bastonata di Neulasta.
Capelli ancora non ne ho. Ma da qualche giorno il colore della calotta è tornato grigio, finalmente, e mi sto riempiendo di una discreta peluria fina fina, quasi invisibile, chiara, che si sente quando si passa la mano sulla testa. Tutto normale, tutto come avevo previsto, tutto secondo i tempi di otto anni fa, tutto sotto controllo.
Quasi.
Perchè quello che sta succedendo "dentro", quello che non vedo, non sta filando proprio liscio.
A tre settimane esatte dall'ultima infusione ho anche iniziato, così, subito, di botto, i controlli. Prelievo di sangue con i markers, ECG, TAC, scintigrafia ossea, vediamo un po' se i drink hanno fatto il loro lavoro, và. E già che ci siamo infiliamoci il prericovero, facciamo le cose vit vit, che il tempo, in oncologia, ha un peso che in altri reparti per fortuna no.
E quindi... Un marker è fuori limite di un bel po'. E io non ci avrei dato nemmeno peso (esperienza e letteratura insegnano che i marcatori tumorali possono indicare una quantità di altre cose oltre alla malattia oncologica, si alterano molto più facilmente per un raffreddore) se non me lo avesse fatto notare con aria seriosa l'oncologo.
Poi è arrivata la TAC, che ho portato in visione sapendo di dover tornare in un secondo momento per una visita. Ma la visita me l'hanno voluta fare subito, appena l'oncologo ha dato una guardata al referto. Mi ha fatto attendere in sala d'attesa un quarto d'ora per visionare bene il CD, e mi è venuto a prendere per portarmi subito in ambulatorio.
Odio quegli sguardi seriosi. Odio quando dice "dobbiamo parlare", odio quando mi appoggia la mano sulla spalla e mi cammina a fianco senza precedermi, perchè ormai conosco quel modo di fare che non porta niente di rassicurante. Anzi, si, una certezza la porta, ed è quella che c'è un problema. Sempre. Ormai lui, quando c'è lui, certe parole con me non le usa nemmeno più. Gli basta guardarmi in quel certo modo, e le parole gliele metto in bocca io. Come il 9 ottobre scorso, quando è venuto a prendermi in sala d'attesa e prima che aprisse bocca gli ho detto sottovoce "guarda che so. Se fosse stato negativo avrei ritirato l'istologico al CUP, come per la nocciolina al seno destro dell'anno scorso". Stavolta sono bastati tre "no" con le gambe che tremavano e una richiesta di consenso a poter dire "merda", ovviamente accordata. Il resto me lo ha spiegato lui, seduto vicino a me, non dietro la scrivania. Credo che fosse davvero sinceramente dispiaciuto.
Fine dei preamboli. La TAC vede lesioni ossee. Tante, piccole e diffuse, e delle concentrazioni intense alla base di una vertebra cervicale, su una vertebra dorsale, e sull'ala iliaca destra. Avallate dal marker stronzo. Lo sapete che "lesioni" in oncologia non vuol dire "rotture" ma un'altra cosa, vero?
Il giorno dopo è arrivato l'esito della scintigrafia, che invece non vede assolutamente nulla. L'esito è arrivato direttamente al chirurgo (aveva chiesto l'esame in regime di prericovero, perciò non l'ho ritirato io), che l'ha subito passato all'oncologo. E l'oncologo mi ha chiamato alle 5 del pomeriggio di venerdì scorso per dirmelo.
E quindi? E' metastasi o non lo è?
Mercoledì, l'altro ieri, gli oncologi si sono consultati con il medico di medicina nucleare e con i radiologi che hanno refertato la TAC, e hanno giustamente concluso che è necessario un ulteriore esame per capirci qualcosa: mi fisseranno una PET in tempi il più brevi possibili, entro due settimane. L'oncologo mi ha anticipato che, se la PET dovesse confermare la sua diagnosi (metastasi ossee), ci sarà da valutare un percorso di radioterapia o, in alternativa, ancora chemioterapia, ma di un altro tipo, meno pesante di quella fatta finora. Nel frattempo l'intervento al seno è rimandato per la terza volta.
Ho pianto tanto nei giorni scorsi. In silenzio e da sola, per non farmi vedere dal Power che sta preparando gli esami di terza e non voglio che abbia un altro peso inutile addosso, perchè ne ha già a sufficienza. Ho pianto di paura. Ho pianto di senso di fragilità, di insicurezza, di ansia. Mi sento di nuovo mancare la terra sotto ai piedi. Ho chiuso i rubinetti delle condivisioni, della socializzazione, del sorriso forzato, per giorni. Ho spedito a quel paese l'ottimismo e il pensiero positivo. Al diavolo, non si può essere sempre carichi ed energici. Non si può essere sempre l'immagine della combattività. Non si può sempre tollerare i "andrà tutto bene" detti da chi non ha la sfera magica in mano, tantomeno i "non fasciarti la testa" da chi non ha alba di cosa significhi entrare in tunnel come questo, non ha mai messo piede in un reparto di oncologia, non ha mai giocato a briscola con la morte.
Di nuovo ho cercato informazioni. Ho letto di metastasi ossee ma anche di storie di remissione, di cronicizzazione, di terapie meno violente della chemio fatta finora. Ho iniziato ad attaccarmi con foga al lavoro domestico, che si, ne ho di arretrato finchè si vuole (tre mesi affidando la casa a marito e figlio hanno lasciato i loro inevitabili strascichi), ma lo sto svolgendo con smania, per non pensare. Non ho granchè voglia di parlare con chiunque. Qualche giorno fa è stata qui mia madre col solito pacchetto di pettegolezzi famigliari (è stata ad una cerimonia in isola per una intera giornata dopo tre anni di assenza), di istinto dopo la terza sciocchezza riguardante gli affari degli altri ho sbottato, e di cattiveria le ho chiuso la bocca. Subito mi sono scusata. Ma non ho proprio voglia di sentire niente che non sia mirato esclusivamente a tirarmi su. Chiudo le orecchie e la testa. Non ce la faccio a fare diversamente. Tanto più che sono quasi sempre sola, visto che mia suocera è in ospedale e mio marito, tra lavoro e lei, è preso altrove. Vorrei solo belle notizie, belle novità, qualsiasi cosa che possa farmi ridere, o anche piangere ma di contentezza, anche cose che non mi riguardano, ma buone.
Perchè è di nuovo attesa, ed attesa pesantissima. Nel mentre spero fortemente in un'avaria del macchinario della TAC (non della scinti, please) e un errore di calcolo dei valori dei markers. Magari mi va dritta.
sabato 5 maggio 2018
martedì 6 marzo 2018
Va da schifo, ma va bene
Due chemio su quattro sono andate. La seconda l'ho fatta quasi tre settimane fa, ed a metà strada mi considero ora, quando gli effetti collaterali della seconda stanno mollando. La terza dovrebbe esserci tra due giorni, ma uso il condizionale perchè l'oncologa mi ha messo in "forse": la seconda chemio mi ha mantecato fisico e sistema immunitario. Sono dovuta ricorrere ai fattori di crescita per i globuli bianchi, Neulasta, perchè dieci giorni dopo l'infusione erano arrivati a 100 per unità contro un minimo appena accettabile di 1000. E Neulasta, se in tre giorni li ha portati a 4000 (ho fatto il primo prelievo venerdì di due settimane fa, e il secondo lunedì scorso), per contro mi ha finito di stramazzare muscoli e ossa. Perciò giù di antidolorifici come pane, antibiotici, corredo vario di fermenti lattici e collutorio antimicotico dal modico costo di un rene e mezzo, misure igieniche straordinarie, mascherina, divieto di stare in mezzo alla gente e di ricevere chicchessia in casa fino a risoluzione. E materasso.
Quando l'oncologo mi disse che mi avrebbe assegnato un protocollo di sole quattro infusioni di Taxotere+ciclofosfamide, ne fui contentissima. A fronte dell'alternativa "dieci Taxolo e sei rosse" lo sarebbe chiunque.
Chiunque non conoscesse Taxotere associato a Ciclofosfamide, appunto. Li fai, e ti rendi conto del perchè "solo quattro". Perchè sono quattro bombe. Il protocollo cicciotto lo feci otto anni fa. Beh, che io ricordi, in sei mesi di terapia con quel tipo di farmaci non ricordo di essere stata male quanto con due sole infusioni del mio attuale beverone in vena. Solo che per ovvie ragioni questo secondo aspetto della cosa il mio oncologo me lo ha detto solo durante la visita prima della seconda terapia, quando gli ho detto come era andata la precedente ("sono solo quattro perchè sono le più forti attualmente in uso per un triplo negativo. Non sono cardiotossiche, ma legnano il resto". Ha detto. Grazie.). Che si, sono stata molto male, una stanchezza infinita prolungata nei giorni, una astenia incomprensibilmente profonda, oltre al malessere molto forte che ricordavo di Taxolo. Una settimana di totale KO. E non avevo ancora sperimentato la successiva, quella che sto smaltendo ora, e dalla quale non mi sono ancora del tutto ripresa nonostante il giorno sia il 18esimo. "Tutto previsto" mi ha detto per telefono, "anche se speravo che succedesse con la prossima, non con questa. Ti darò più copertura di cortisone, e se necessario posticipiamo di qualcosa, tanto avevo già messo in conto di allungare i tempi almeno per l'ultima". E certo. Sembrerà strano, ma questa cosa, da un lato mi tranquillizza. Sta andando da schifo, uno schifo immondo, ma sta andando come deve.
Sono ben seguita, ad ogni infusione l'oncologo passa dieci volte a vedere come sto, mille raccomandazioni "se hai bisogno nei prossimi giorni chiama, non farti problemi", e le prime settimane sono corse via senza che ne sentissi la necessità, ma le successive (quando sentivo che qualcosa non andava proprio dritto e ho chiamato, ho fatto un prelievo di sangue urgente con il risultato di cui sopra, la diagnosi di neutropenia grave) nessuno mi ha fatto pesare niente. Per qualcuno sembrerà una cosa ovvia, ma a sentire le esperienze di tante conoscenti seguite in altre strutture, no, non lo è.
Mi mettono a letto stavolta. Otto anni fa non ho mai fatto una flebo distesa, fatta salva l'occasione della reazione allergica al Caelyx, e contavo di fare anche questi cicli in poltrona. Nel cercare un lato positivo anche in questa esperienza, speravo di poter vivere quelle ore con altre persone, passare qualche parola, e da seduti si possono fare diverse cose che portano via l'attenzione dai farmaci, c'è il televisore. E invece no: la premedicazione per Taxotere è diversa, mi abbatte fisicamente, quando finisce la flebo di antistaminico sento la spina dorsale sciogliersi a gelatina. Così, letto. E semibuio, perchè mi è capitato entrambe le volte di trovare posto solo sui lettini interni, divisi dagli altri da paraventi blu, lontani dalla finestra. Così l'alternativa è giocare col telefono, cercare di leggere qualcosa, chiacchierare via whatsapp. E per fortuna che ci sono questi mezzi. E dormire. Ogni tanto dormo. Ogni tanto passa il medico, le infermiere girano, il Gatto Alfa viene a prendermi un po' prima della fine della terapia e, stando a letto, ha il permesso di starmi vicino, a differenza di chi sta in poltrona, dove non è concesso di entrare a nessuno oltre ai pazienti e al personale che lavora e al volontario di turno. Che vi dirò, io per i volontari in oncologia avevo antipatia l'altra volta, ma forse perchè per puro caso ne avevo incontrati di poco compatibili col mio caratteraccio (TU-HAI-BISOGNO-DI-ME-QUINDI-PARLIAMO. No, magari il contrario, che dici?). Invece stavolta gira una signora tanto carina nei modi, che chiede e non si impone.
Effetti collaterali, ne parliamo?
A parte forte astenia, inappetenza i primi giorni, dolori ossei e neutropenia che ho già citato sopra, in ordine sparso abbiamo:
I capelli meritano un discorso a parte.
Come da tabella, hanno iniziato a cadere copiosi tra il quattordicesimo e il quindicesimo giorno. Il sedicesimo, stufa di tirar su capelli ovunque, mi sono rasata. Da sola. Cioè, ho preso il rasoio col quale fino all'anno scorso tosavo il Power (perchè da un anno in qua, come è normale alla sua età, pretende un taglio da ragazzo, quindi dal barbiere), mi sono armata di doppio specchio e via, davanti al lavandino protetto da un telo per raccogliere il bottino.
Otto anni fa questo lavoretto me lo fece mia cognata, e quando finì piansi amaramente.
Stavolta mi sono guardata rasata, e mi è venuto spontaneo dirmi "tutto qui?".
Forse è proprio l'esserci già passata che me lo fa sentire in maniera completamente diversa. Ero preparata ad uno choc, ma non c'è stato. Perchè li avevo persi piangendo, ma mi erano anche ricresciuti, e la ricrescita mi è rimasta dentro tanto quanto la loro perdita. La temporaneità di questo evento si è radicata in me tanto quanto la sua eccezionalità. Non doveva accadere, certo. Ma è accaduto, e stavolta non è stato un trauma. Certo, la gente ti guarda quando non hai i capelli. Ti vede la malattia addosso. Ma la malattia non è una vergogna. La malattia può capitare a chiunque, il pudore è sacrosanto, ma la vergogna è una cosa senza senso. E si può essere femminili esteriormente in mille modi, con il trucco, il vestire, il portamento, l'atteggiamento, è quello che fa la differenza. La differenza la fanno il carattere, il modo di essere, il modo di porsi. Sto sperimentando su di me quanto mi posso vedere bella anche senza un seno, sentire bella senza capelli, perchè chi mi voleva bene e mi apprezzava quando avevo tutte le mie cose al loro posto mi ama e mi apprezza anche adesso che questi particolari sono cambiati. Non mi vergogno a farmi vedere a testa nuda. A qualcuno mi sono accorta che dà fastidio perchè ricorda a lui/lei sensazioni spiacevoli, la gente è dispiaciuta per me per questa cosa tanto quanto dispiace a lei vederla. Ma a me davvero, giuro, non dà tutto quel dramma che ci si aspetta.
Qualcuno mi ha chiesto che effetto mi fa toccarmi la testa calva. A me piace toccarmela. Mi sembra di accarezzare qualcosa che ha bisogno di essere voluta bene. La detergo con uno shampoo per bambini quando faccio la doccia, la curo con dell'olio di ricino perchè tende a squamarsi un po' (ma un po' tutta la pelle sotto chemio ha bisogno di cure un po' più intense del solito, proprio perchè la chimica le toglie nutrimento, la offende), la tengo coperta perchè ho freddo, ma ogni tanto mi scopro per sentirla libera. Mi piace la mia testa.
Quando mi guardo allo specchio calva, mi vedo gli occhi. Li trucco anche quando non devo uscire, perchè non ho bisogno di avere un aspetto da malata a tutti i costi. Non per nascondere, ma per valorizzare. Saranno appigli i miei, non lo so, ma mi fanno stare meglio.
E per quanto riguarda il resto... sono stanca. Mi sento molto stanca davvero. Non spaventata, non in apprensione, solo stanca. Attorno a me gravita un mondo che va avanti e a cui io non riesco a stare al passo. Lo so che è temporaneo, ma proprio perchè è temporaneo ho bisogno del mio tempo e del mio spazio per vivermelo. Evito le visite. Non riesco a sostenere una conversazione, mi manca concretamente il fiato. Non riesco a prestare attenzione ad altro che non sia il minimo indispensabile in famiglia, e spesso nemmeno a quello, figuriamoci se ho energie per essere di compagnia per una sola ora. Eppure tante persone mi chiedono di potermi venire a trovare, e io apprezzo, apprezzo tantissimo le intenzioni, ma non ce la faccio. Mi dispiace da morire. Mi sono risolta a convincermi che gli altri possono anche offendersi per i miei continui dinieghi, ma la cosa non deve in nessun modo toccare il mio sistema nervoso, che è già provato di suo. Sono stanca, stanca davvero, l'unico desiderio che provo in questi giorni è di essere lasciata in pace, per dare al mio corpo le cure che chiede per prepararsi alla prossima botta, che a sua volta avrà bisogno del suo tempo per essere assorbita.
Basta con tutti quegli incitamenti all'ottimismo a tutti i costi che mi arrivano nei messaggi, nelle telefonate, a viso. Se non ve ne siete accorti, io SONO ottimista, io SONO positiva, ma essere ottimisti e positivi non risparmia dal sentirsi STANCHI. Se vedete in me pessimismo e negatività, forse è dentro di voi che c'è, siete voi che date per scontato che io sia così, solo perchè ho il cancro e sto facendo un percorso molto duro. Eppure vivere le terapie come un semplice passaggio, visto che mi è stata data una fetta enorme di speranza che tutto vada bene, vi assicuro che si può. Siete voi che dovete crederci, non io, perchè io ci credo già. Se adesso mi chiudo ai rapporti e sono particolarmente irritabile, insofferente, fastidiosa, è solo perchè sono STANCA. Dentro e fuori. Non sto prendendo antibiotici, sto facendo chemioterapia. E la chemioterapia sfinisce corpo e anima, ruba energie fisiche e mentali, mette in stand-by obiettività e tolleranza. Fatevene una ragione, finchè non sarà passato lo stravolgimento dell'ultima infusione. Poi tutto tornerà pian piano al suo posto. Ci sono già passata, so che è così. Ma per qualche settimana ancora, io sono per me stessa, per mio marito e per mio figlio. E loro, fortunatamente, per me. Ho bisogno di essere lasciata in pace a dosare le forze.
Un'altra cosa.
Mi fa molto male quando, forse nell'intento di darmi coraggio (ok...) mi vengono portati davanti esempi di donne che durante la chemioterapia hanno fatto un milione di cose, non hanno rinunciato a niente, non hanno chiesto niente a nessuno, hanno continuato a lavorare, a fare volontariato, a stirare di notte, hanno girato il mondo, visitato mostre, praticamente donne da monumento. Mi fa male perchè ci si dimentica che quando si dice "chemioterapia" si dicono tante cose diverse, tante sostanze diverse, e a cui ognuno reagisce in maniera totalmente diversa. Fare paragoni tra un malato e l'altro in questi termini è insensato. Ci sono chemio e chemio, ci sono percorsi e percorsi. Il più delle volte non lo si sa. Non lo si sa se non ci si è passati direttamente, se ci si ferma al passaparola. E in ogni caso non è scritto da nessuna parte che dobbiamo essere eroine, che dobbiamo essere all'altezza della migliore apparenza a tutti i costi e con le nostre sole forze, perchè lo sforzo è di reagire alla malattia e alla terapia, non quello di mostrare al mondo quanto siamo fighe. Chi non ce la fa ad essere al top non è per poca buona volontà, non deve sentirsi dire "potresti anche...". No, non può, si sta curando, ci sta mettendo quanto riesce a metterci con le risorse che ha, e gli si deve rispetto. E basta, basta pararmi davanti il link al personaggio "Toffa" nei messaggi privati su Facebook. Basta sul serio. Non me ne frega niente, non ha avuto la mia malattia e io non ho avuto la sua, si dice "tumore" e si dicono milioni di cose diverse, dal neo maligno sulla spalla all'osteosarcoma al quarto stadio o alla leucemia, e se dobbiamo parlare del suo atteggiamento verso la malattia (o quello che vuole far trasparire) sapete cosa penso? Che nessun malato deve essere di esempio per nessuno, perchè ognuno ha la sua storia non paragonabile ad altre, il suo carattere non paragonabile agli altri, e soprattutto sentirsi deboli e fragili anzichè fighi e guerrieri (sant' Iddio quanto odio il termine "guerriera", è una malattia, non una guerra!!!) è un diritto di chiunque, non un segno di pochezza personale. Ognuno mostra di sè quello che vuole mostrare, ma ha anche il diritto di viversi il resto senza sentirsi "meno di".
Aspetto giovedì con un filo di ansia. Spero che l'oncologo trovi il modo per farmi tollerare meglio le prossime settimane, perchè davvero a volte è difficile ricordarsi del motivo per cui si accetta di sottoporsi a questa cura. Ho ricominciato a ricamare, è una cosa che mi aiuta a tenere l'ansia un po' più sotto controllo. Qualcuno tempo fa mi ha detto che con la malattia ha perso il gusto di fare cose piacevoli, per me invece è il contrario. Mi ci sono attaccata ancora di più in questi mesi. Anzi, ho imparato a fare cose nuove, come i lavori in feltro. Come una specie di medicina/non medicina. Sono i miei appigli, anche se purtroppo nei giorni peggiori del post-infusione non riesco a fare nulla che non sia raggomitolarmi, al massimo leggere per qualche minuto di tanto in tanto, e rispondere a qualche messaggio. Però riesco a trovare il fiato per fare la mamma rompiballe di un adole-coso recalcitrante anarchico insurrezionalista anche stando a letto. Il fiato risparmiato è tenuto in serbo per questo.
E finchè va così va da schifo. Molto da schifo. Ma va tutto bene.
Quando l'oncologo mi disse che mi avrebbe assegnato un protocollo di sole quattro infusioni di Taxotere+ciclofosfamide, ne fui contentissima. A fronte dell'alternativa "dieci Taxolo e sei rosse" lo sarebbe chiunque.
Chiunque non conoscesse Taxotere associato a Ciclofosfamide, appunto. Li fai, e ti rendi conto del perchè "solo quattro". Perchè sono quattro bombe. Il protocollo cicciotto lo feci otto anni fa. Beh, che io ricordi, in sei mesi di terapia con quel tipo di farmaci non ricordo di essere stata male quanto con due sole infusioni del mio attuale beverone in vena. Solo che per ovvie ragioni questo secondo aspetto della cosa il mio oncologo me lo ha detto solo durante la visita prima della seconda terapia, quando gli ho detto come era andata la precedente ("sono solo quattro perchè sono le più forti attualmente in uso per un triplo negativo. Non sono cardiotossiche, ma legnano il resto". Ha detto. Grazie.). Che si, sono stata molto male, una stanchezza infinita prolungata nei giorni, una astenia incomprensibilmente profonda, oltre al malessere molto forte che ricordavo di Taxolo. Una settimana di totale KO. E non avevo ancora sperimentato la successiva, quella che sto smaltendo ora, e dalla quale non mi sono ancora del tutto ripresa nonostante il giorno sia il 18esimo. "Tutto previsto" mi ha detto per telefono, "anche se speravo che succedesse con la prossima, non con questa. Ti darò più copertura di cortisone, e se necessario posticipiamo di qualcosa, tanto avevo già messo in conto di allungare i tempi almeno per l'ultima". E certo. Sembrerà strano, ma questa cosa, da un lato mi tranquillizza. Sta andando da schifo, uno schifo immondo, ma sta andando come deve.
Sono ben seguita, ad ogni infusione l'oncologo passa dieci volte a vedere come sto, mille raccomandazioni "se hai bisogno nei prossimi giorni chiama, non farti problemi", e le prime settimane sono corse via senza che ne sentissi la necessità, ma le successive (quando sentivo che qualcosa non andava proprio dritto e ho chiamato, ho fatto un prelievo di sangue urgente con il risultato di cui sopra, la diagnosi di neutropenia grave) nessuno mi ha fatto pesare niente. Per qualcuno sembrerà una cosa ovvia, ma a sentire le esperienze di tante conoscenti seguite in altre strutture, no, non lo è.
Mi mettono a letto stavolta. Otto anni fa non ho mai fatto una flebo distesa, fatta salva l'occasione della reazione allergica al Caelyx, e contavo di fare anche questi cicli in poltrona. Nel cercare un lato positivo anche in questa esperienza, speravo di poter vivere quelle ore con altre persone, passare qualche parola, e da seduti si possono fare diverse cose che portano via l'attenzione dai farmaci, c'è il televisore. E invece no: la premedicazione per Taxotere è diversa, mi abbatte fisicamente, quando finisce la flebo di antistaminico sento la spina dorsale sciogliersi a gelatina. Così, letto. E semibuio, perchè mi è capitato entrambe le volte di trovare posto solo sui lettini interni, divisi dagli altri da paraventi blu, lontani dalla finestra. Così l'alternativa è giocare col telefono, cercare di leggere qualcosa, chiacchierare via whatsapp. E per fortuna che ci sono questi mezzi. E dormire. Ogni tanto dormo. Ogni tanto passa il medico, le infermiere girano, il Gatto Alfa viene a prendermi un po' prima della fine della terapia e, stando a letto, ha il permesso di starmi vicino, a differenza di chi sta in poltrona, dove non è concesso di entrare a nessuno oltre ai pazienti e al personale che lavora e al volontario di turno. Che vi dirò, io per i volontari in oncologia avevo antipatia l'altra volta, ma forse perchè per puro caso ne avevo incontrati di poco compatibili col mio caratteraccio (TU-HAI-BISOGNO-DI-ME-QUINDI-PARLIAMO. No, magari il contrario, che dici?). Invece stavolta gira una signora tanto carina nei modi, che chiede e non si impone.
Effetti collaterali, ne parliamo?
A parte forte astenia, inappetenza i primi giorni, dolori ossei e neutropenia che ho già citato sopra, in ordine sparso abbiamo:
- -epistassi occasionale, soprattutto tra il terzo e l'ottavo giorno. A fiotti, soprattutto la sera.
- -Cavità nasali insanguinate. Sempre a partire dal terzo giorno si spacca la pelle, si rimargina, si rispacca, si rimargina, e via così, un milione di volte al giorno, fino più o meno al quindicesimo. Ho sempre il naso incrostato. Poi inizia a calmarsi, per riprendere con la chemio successiva. Questo mi succedeva anche otto anni fa con taxolo, infatti non mi ha spaventato, mi sono solo munita di un olio apposito in farmacia per tenere le pareti del naso più morbide e limitare le spaccature. Fazzoletti e via. Anche le labbra si irritano, ma in maniera molto più lieve, senza spaccarsi. Uso lo stesso olio al posto del mio solito stick protettivo.
- -Onicomicosi: solo un inizio. Bloccata e regredita con uno smalto apposito.
- -Lingua e palato irritate, dal primo al quindicesimo giorno. Come se avessi messo in bocca qualcosa di bollente e mi fossi scottata la pelle. Per arginare il fastidio, anche se non va via completamente, mi hanno dato in farmacia un collutorio apposito, molto vischioso e dal gusto basico. Udite udite: NON HO PERSO IL SENSO DEL GUSTO. Solo lievemente alterato, mi infastidiscono poi le bevande calde nei primi giorni, ma a differenza di otto anni fa sento il gusto del cibo, e scusate, ma mettere in bocca qualcosa che effettivamente dà piacere durante la chemioterapia non è per niente scontato. Ricordavo mesi di bocca che sa di cartone ed ero preparata a fare il bis, e invece NO ^_^
- -Testa in pallone. Dal terzo al settimo giorno potete parlarmi di qualsiasi cosa, che non afferro un'acca. Inoltre mi infastidisce qualsiasi rumore, qualsiasi voce, qualsiasi suono. Perfino il miagolio dei gatti mi rimbomba nella testa. Tengo il telefono con la vibrazione, e la vibrazione mi urta. E' come se avessi sul collo un contenitore di cristallo sottilissimo, pronto a infrangersi al minimo contatto.
- -Ciglia e sopracciglia diratate. Non cancellate come otto anni fa per fortuna, soltanto diradate, ed è una consolazione. Avevo messo in conto di tornare a vedermi come un cicciobello, e invece no. Posso truccarmi come prima aggiungendo solo qualche tratto di matita sulle sopracciglia, e piacermi.
I capelli meritano un discorso a parte.
Come da tabella, hanno iniziato a cadere copiosi tra il quattordicesimo e il quindicesimo giorno. Il sedicesimo, stufa di tirar su capelli ovunque, mi sono rasata. Da sola. Cioè, ho preso il rasoio col quale fino all'anno scorso tosavo il Power (perchè da un anno in qua, come è normale alla sua età, pretende un taglio da ragazzo, quindi dal barbiere), mi sono armata di doppio specchio e via, davanti al lavandino protetto da un telo per raccogliere il bottino.
Otto anni fa questo lavoretto me lo fece mia cognata, e quando finì piansi amaramente.
Stavolta mi sono guardata rasata, e mi è venuto spontaneo dirmi "tutto qui?".
Forse è proprio l'esserci già passata che me lo fa sentire in maniera completamente diversa. Ero preparata ad uno choc, ma non c'è stato. Perchè li avevo persi piangendo, ma mi erano anche ricresciuti, e la ricrescita mi è rimasta dentro tanto quanto la loro perdita. La temporaneità di questo evento si è radicata in me tanto quanto la sua eccezionalità. Non doveva accadere, certo. Ma è accaduto, e stavolta non è stato un trauma. Certo, la gente ti guarda quando non hai i capelli. Ti vede la malattia addosso. Ma la malattia non è una vergogna. La malattia può capitare a chiunque, il pudore è sacrosanto, ma la vergogna è una cosa senza senso. E si può essere femminili esteriormente in mille modi, con il trucco, il vestire, il portamento, l'atteggiamento, è quello che fa la differenza. La differenza la fanno il carattere, il modo di essere, il modo di porsi. Sto sperimentando su di me quanto mi posso vedere bella anche senza un seno, sentire bella senza capelli, perchè chi mi voleva bene e mi apprezzava quando avevo tutte le mie cose al loro posto mi ama e mi apprezza anche adesso che questi particolari sono cambiati. Non mi vergogno a farmi vedere a testa nuda. A qualcuno mi sono accorta che dà fastidio perchè ricorda a lui/lei sensazioni spiacevoli, la gente è dispiaciuta per me per questa cosa tanto quanto dispiace a lei vederla. Ma a me davvero, giuro, non dà tutto quel dramma che ci si aspetta.
Qualcuno mi ha chiesto che effetto mi fa toccarmi la testa calva. A me piace toccarmela. Mi sembra di accarezzare qualcosa che ha bisogno di essere voluta bene. La detergo con uno shampoo per bambini quando faccio la doccia, la curo con dell'olio di ricino perchè tende a squamarsi un po' (ma un po' tutta la pelle sotto chemio ha bisogno di cure un po' più intense del solito, proprio perchè la chimica le toglie nutrimento, la offende), la tengo coperta perchè ho freddo, ma ogni tanto mi scopro per sentirla libera. Mi piace la mia testa.
Quando mi guardo allo specchio calva, mi vedo gli occhi. Li trucco anche quando non devo uscire, perchè non ho bisogno di avere un aspetto da malata a tutti i costi. Non per nascondere, ma per valorizzare. Saranno appigli i miei, non lo so, ma mi fanno stare meglio.
E per quanto riguarda il resto... sono stanca. Mi sento molto stanca davvero. Non spaventata, non in apprensione, solo stanca. Attorno a me gravita un mondo che va avanti e a cui io non riesco a stare al passo. Lo so che è temporaneo, ma proprio perchè è temporaneo ho bisogno del mio tempo e del mio spazio per vivermelo. Evito le visite. Non riesco a sostenere una conversazione, mi manca concretamente il fiato. Non riesco a prestare attenzione ad altro che non sia il minimo indispensabile in famiglia, e spesso nemmeno a quello, figuriamoci se ho energie per essere di compagnia per una sola ora. Eppure tante persone mi chiedono di potermi venire a trovare, e io apprezzo, apprezzo tantissimo le intenzioni, ma non ce la faccio. Mi dispiace da morire. Mi sono risolta a convincermi che gli altri possono anche offendersi per i miei continui dinieghi, ma la cosa non deve in nessun modo toccare il mio sistema nervoso, che è già provato di suo. Sono stanca, stanca davvero, l'unico desiderio che provo in questi giorni è di essere lasciata in pace, per dare al mio corpo le cure che chiede per prepararsi alla prossima botta, che a sua volta avrà bisogno del suo tempo per essere assorbita.
Basta con tutti quegli incitamenti all'ottimismo a tutti i costi che mi arrivano nei messaggi, nelle telefonate, a viso. Se non ve ne siete accorti, io SONO ottimista, io SONO positiva, ma essere ottimisti e positivi non risparmia dal sentirsi STANCHI. Se vedete in me pessimismo e negatività, forse è dentro di voi che c'è, siete voi che date per scontato che io sia così, solo perchè ho il cancro e sto facendo un percorso molto duro. Eppure vivere le terapie come un semplice passaggio, visto che mi è stata data una fetta enorme di speranza che tutto vada bene, vi assicuro che si può. Siete voi che dovete crederci, non io, perchè io ci credo già. Se adesso mi chiudo ai rapporti e sono particolarmente irritabile, insofferente, fastidiosa, è solo perchè sono STANCA. Dentro e fuori. Non sto prendendo antibiotici, sto facendo chemioterapia. E la chemioterapia sfinisce corpo e anima, ruba energie fisiche e mentali, mette in stand-by obiettività e tolleranza. Fatevene una ragione, finchè non sarà passato lo stravolgimento dell'ultima infusione. Poi tutto tornerà pian piano al suo posto. Ci sono già passata, so che è così. Ma per qualche settimana ancora, io sono per me stessa, per mio marito e per mio figlio. E loro, fortunatamente, per me. Ho bisogno di essere lasciata in pace a dosare le forze.
Un'altra cosa.
Mi fa molto male quando, forse nell'intento di darmi coraggio (ok...) mi vengono portati davanti esempi di donne che durante la chemioterapia hanno fatto un milione di cose, non hanno rinunciato a niente, non hanno chiesto niente a nessuno, hanno continuato a lavorare, a fare volontariato, a stirare di notte, hanno girato il mondo, visitato mostre, praticamente donne da monumento. Mi fa male perchè ci si dimentica che quando si dice "chemioterapia" si dicono tante cose diverse, tante sostanze diverse, e a cui ognuno reagisce in maniera totalmente diversa. Fare paragoni tra un malato e l'altro in questi termini è insensato. Ci sono chemio e chemio, ci sono percorsi e percorsi. Il più delle volte non lo si sa. Non lo si sa se non ci si è passati direttamente, se ci si ferma al passaparola. E in ogni caso non è scritto da nessuna parte che dobbiamo essere eroine, che dobbiamo essere all'altezza della migliore apparenza a tutti i costi e con le nostre sole forze, perchè lo sforzo è di reagire alla malattia e alla terapia, non quello di mostrare al mondo quanto siamo fighe. Chi non ce la fa ad essere al top non è per poca buona volontà, non deve sentirsi dire "potresti anche...". No, non può, si sta curando, ci sta mettendo quanto riesce a metterci con le risorse che ha, e gli si deve rispetto. E basta, basta pararmi davanti il link al personaggio "Toffa" nei messaggi privati su Facebook. Basta sul serio. Non me ne frega niente, non ha avuto la mia malattia e io non ho avuto la sua, si dice "tumore" e si dicono milioni di cose diverse, dal neo maligno sulla spalla all'osteosarcoma al quarto stadio o alla leucemia, e se dobbiamo parlare del suo atteggiamento verso la malattia (o quello che vuole far trasparire) sapete cosa penso? Che nessun malato deve essere di esempio per nessuno, perchè ognuno ha la sua storia non paragonabile ad altre, il suo carattere non paragonabile agli altri, e soprattutto sentirsi deboli e fragili anzichè fighi e guerrieri (sant' Iddio quanto odio il termine "guerriera", è una malattia, non una guerra!!!) è un diritto di chiunque, non un segno di pochezza personale. Ognuno mostra di sè quello che vuole mostrare, ma ha anche il diritto di viversi il resto senza sentirsi "meno di".
Aspetto giovedì con un filo di ansia. Spero che l'oncologo trovi il modo per farmi tollerare meglio le prossime settimane, perchè davvero a volte è difficile ricordarsi del motivo per cui si accetta di sottoporsi a questa cura. Ho ricominciato a ricamare, è una cosa che mi aiuta a tenere l'ansia un po' più sotto controllo. Qualcuno tempo fa mi ha detto che con la malattia ha perso il gusto di fare cose piacevoli, per me invece è il contrario. Mi ci sono attaccata ancora di più in questi mesi. Anzi, ho imparato a fare cose nuove, come i lavori in feltro. Come una specie di medicina/non medicina. Sono i miei appigli, anche se purtroppo nei giorni peggiori del post-infusione non riesco a fare nulla che non sia raggomitolarmi, al massimo leggere per qualche minuto di tanto in tanto, e rispondere a qualche messaggio. Però riesco a trovare il fiato per fare la mamma rompiballe di un adole-coso recalcitrante anarchico insurrezionalista anche stando a letto. Il fiato risparmiato è tenuto in serbo per questo.
E finchè va così va da schifo. Molto da schifo. Ma va tutto bene.
sabato 27 gennaio 2018
Ed eccomi a sabato
Non so se li farò rimbalzare qui ancora, ma di video ne farò di sicuro. Rivedendomi sto prendendo distacco in maniera inaspettata dalla pesantezza che, per istinto, spesso mi prende.
Ho raccolto i miei video a tema in una playlist apposita su youtube dove li ho caricati, basta cliccare sulla scritta "Youtube" in basso a destra bello in grande sul video. Il link vi porta alla pagina, da lì è semplice risalire alla playlist.
Preferisco lasciare questo blog alla scrittura. E' una cosa più personale, ed è per questo in fondo che il blog è nato annoni fa.
Ma oggi vi lascio questo. So che qualcuno lo aspetta.
Un bacio.
Ho raccolto i miei video a tema in una playlist apposita su youtube dove li ho caricati, basta cliccare sulla scritta "Youtube" in basso a destra bello in grande sul video. Il link vi porta alla pagina, da lì è semplice risalire alla playlist.
Preferisco lasciare questo blog alla scrittura. E' una cosa più personale, ed è per questo in fondo che il blog è nato annoni fa.
Ma oggi vi lascio questo. So che qualcuno lo aspetta.
giovedì 25 gennaio 2018
Buona la prima... chemio.
La luce della camera d'ospedale fa davvero schifo... ma eccomi qua. No, non ho gli occhi pesti, giuro, è proprio la luce. Tocca anche parlar piano perchè c'è la porta spalancata.
Tanta tanta ansia, ma è andata.
Tanta tanta ansia, ma è andata.
lunedì 22 gennaio 2018
Cucù... oui, c'est moi.
Forse ho fatto una pazzia. Ma mi sono divertita a farla, lo ammetto.
E' improvvisata al mille per mille: mi è balenata in testa tra la seconda fetta di due di pizza avanzata da ieri sera e il caffè, il mio pranzo di oggi in solitaria solitudo. Stavo cercando un videotutorial molto frivolo sul make-up senza ciglia nè sopracciglia, concentrarmi sul minore degli effetti collaterali della chemio mi aiuta a pensare meno a quelli più pesanti, che mi mettono molta più ansia. A quelli ci pensano i miei medici. Su come mi vedo "fuori" posso lavorarci io.
E niente, ho partorito questo.
Prendetela per quello che è: qualcosa che serve principalmente a me. Che poi se me ne pento, perchè potrebbe anche succedere eh, la faccio sparire con un click quando mi gira.
E' improvvisata al mille per mille: mi è balenata in testa tra la seconda fetta di due di pizza avanzata da ieri sera e il caffè, il mio pranzo di oggi in solitaria solitudo. Stavo cercando un videotutorial molto frivolo sul make-up senza ciglia nè sopracciglia, concentrarmi sul minore degli effetti collaterali della chemio mi aiuta a pensare meno a quelli più pesanti, che mi mettono molta più ansia. A quelli ci pensano i miei medici. Su come mi vedo "fuori" posso lavorarci io.
E niente, ho partorito questo.
Prendetela per quello che è: qualcosa che serve principalmente a me. Che poi se me ne pento, perchè potrebbe anche succedere eh, la faccio sparire con un click quando mi gira.
domenica 21 gennaio 2018
Preparativi
Le feste sono passate, grazie al cielo. Che non hanno portato niente di buono, tranne dei bei regali ben pensati, cose da poco, ma che ci hanno fatto sorridere tutti. Ecco, non sono abituata a considerare i doni materiali come parte fondamentale delle festività natalizie, ma considerando tutto quanto è continuato ad accadere nelle scorse settimane, (cose anche pesanti dal punto di vista emotivo, come il non potermi recare al funerale dello zio perchè a mia volta in ospedale lo stesso giorno, e la diagnosi di cancro di un altro importante membro della famiglia - fortunatamente risolvibilissimo e davvero tra i più banali, comuni e quasi innocui, ma ne avremmo fatto volentieri a meno, dato che la persona in questione è molto anziana, con tutti gli annessi e connessi), dicevo, considerando tutto a me la scatola della mia crema corpo preferita e i guanti color borgogna col polso bordato di autentico peluche grigio hanno fatto scendere una lacrimuccia di contentezza, perchè erano piccoli oggetti che desideravo.
Ho fatto fatica a fare albero e presepe. Ma li ho fatti.
Ho fatto fatica ad andare al pranzo di Natale con la famiglia. Ma ci sono andata.
Ho dovuto fare diverse rinunce.
Mi sono beccata l'influenza. Quella cattiva di quest'anno, che ti stende per due settimane tra febbroni, raffreddore, tosse, gola in fiamme, dolori alle ossa, mal di testa fisso, stomaco rivoltato.
L'ho passata al Gatto Alfa, fortunatamente immediatamente dopo, almeno (guardiamo il lato positivo) abbiamo potuto prenderci cura l'un l'altro in alternanza.
Ho finalmente smesso di usare la "gabbia", in favore di un normale reggiseno, con tanto di raccomandazioni del plastico "senza ferretti nè push-up". Sembrerà assurdo ma mi ci ero perfino abituata, al punto che i primi giorni di ritorno all'indumento normale mi sentivo persa. Il mio espansore è lì tranquillo, in attesa di riprendere i gonfiaggi tra una chemio e l'altra.
Non sono stata ri-operata. Avrei dovuto esserlo stata il 20 dicembre, ma ero a letto con la febbre alta. Ho rifatto le analisi preoperatorie il 29 dicembre, il giorno appunto del funerale dello zio. Ma durante le festività gli interventi programmati non vengono fatti, perciò ho atteso la chiamata dopo l'Epifania.
Ed è arrivata. Ma non dalla chirurgia, bensì da oncologia, che mi ha voluto lì il giorno dopo.
E quando chiamano da oncologia, di buono non arriva mai niente. Soprattutto quando tra telefonata e appuntamento corrono 24 ore scarse. Tant'è che ci sono andata già immaginando cosa mi sarei sentita dire.
"E' passato troppo tempo dalla mastectomia, Mamigà. E' pericoloso".
"Ok dottore, partiamo".
Il colloquio al quarto piano è durato più di un'ora tra visione dell'istologico (sant'iddio, a sentirmi spiegare cosa e quanto si era sviluppato all'interno del mio seno sinistro in pochissime settimane, a soli tre mesi dai controlli periodici completi di marzo totalmente negativi, mi si sono rizzate credo anche le sopracciglia: un triplo negativo duttulo lobulare invasivo di oltre 5cm di diametro, con due linfonodi metastatici e margini di resezione non puliti. Pheega questa Bestia Bis. Un filo megalomane.), spiegazioni, domande, risposte, pianificazione del percorso. A seguire, eco-cuore subito giù al primo piano, due firme per i consensi, carte da ritirare.
Giovedì 25 gennaio inizio la chemioterapia.
Tra un minimo standard di 6 cicli (quello che fece mia madre sette anni fa) e un massimo standard di 16 (quello che feci io nove mesi prima), indovinate cosa ho vinto?
Naturalmente il pacchetto completo. Che culo. Sei rosse e dieci taxolo. Sei mesi di immersione.
Da qui a giovedì ho un colloquio a scuola con la prof di inglese, una spesa grossa di alimentari da fare, una visita cardiologica (perchè la chemio precedente mi aveva causato una cardiopatia, regredita dopo tre anni, ma c'è tutta una serie di precauzioni da prendere), un altro colloquio con l'oncologo, un taglio di capelli drastico, l'inserimento del PICC.
Ho anche preso appuntamento per il test genetico per la mutazione del BRCA. Anche di questo abbiamo parlato, e si, è ora di farlo, e in caso di positività prendere le adeguate misure. Farò il test ai primi di luglio.
Mi chiedono come sto, e non so cosa rispondere. Sono stordita, inebetita, quasi paralizzata. Faccio le cose come un automa, senza aver voglia di fare in realtà nulla. Non ho voglia di parlare, non ho voglia di scherzare, non ho voglia di sdrammatizzare, non ne ho nemmeno le forze, perchè ho come la sensazione di avere una sorta di tappo sulla parte alta dell'esofago. Avete presente quando avete un fortissimo desiderio di piangere o vomitare? Che ci si sente quel nodo sordo addosso, che incolla le labbra, rivolta lo stomaco, non fa star bene in nessun luogo e in nessuna posizione perchè qualcosa di più prepotente prende le vostre energie? Ecco, così mi sento da tre giorni. Con un bisogno enorme di sfogare e l'impossibilità fisica di farlo.
Non so se stavo meglio otto anni fa quando non sapevo ed ero costretta a prendere le cose man mano che si presentavano, o adesso che so. Mi sento spesso dire "l'hai fatto una volta, ce la farai sicuramente di nuovo". E certo. Questo è il difficile. Sapere cosa vado a rifare, sapere di non poterla evitare se non assumendomi rischi inaccettabili, con la stessa incertezza della prima volta sul risultato finale, che è la parte più brutta che ci si porta dentro: l' abnorme non misurabile punto di domanda di cui nessuno vuole sentir parlare, le stesse persone che su di te sdrammatizzano ma non hanno il coraggio di pronunciare la parola CANCRO e usano altri nomignoli per identificarlo, se non addirittura - si, l'ho visto fare - gesti e scongiuri, e tu te lo tieni per te e non lo dici a nessuno. Ma è lì. E fa orrore anche a te, ma non puoi far finta di non vederlo, non ti è dato di poterlo fare, perchè ce l'hai cucito addosso, fa parte delle tue suture. E la differenza di questa percezione, la seconda volta, la fanno gli ormai otto anni trascorsi, durante i quali ho visto amiche lottare e vincere o trovare compromessi accettabili, ma anche amiche e persone care in paese, dietro casa, a scuola, persone conosciute attraverso la prima malattia, lottare e morire. Non è la stessa cosa fare il bis, non in questo modo. Ve lo giuro.
Concretamente sto prendendo le misure che al tempo ho usato come rattoppi d'urgenza dell'ultimo momento: ho fatto scorta di succo di aloe, paracetamolo, gastroprotettori, alimenti salvastomaco come gallette di mais e barattoli di fette di ananas, sono andata a spanne cercando di ricordare, ma ammetto di far fatica a fare mente locale. Sto approntando la mia scorta di foulards, berretti, guanti di cotone e di lattice, mascherine, spray disinfettanti per i sanitari dei due bagni, disinfettante in gel per le mani da tenere in borsa, matite per le sopracciglia ed eyeliners, bottigliette d'acqua da tenere vicino al letto, e boh, il resto mi verrà in mente. Ah, già, mi sto concedendo di mangiare una varietà (non quantità eh!) spropositata dei cibi che mi piacciono, che tanto tra una decina di giorni per sei mesi poi qualsiasi cosa mi entrerà in bocca avrà il sapore del cartone.
Sto facendo lo sforzo di portarmi avanti per non fare poi della malattia il centro della mia vita come è accaduto otto anni fa, perchè Diosanto, nei prossimi mesi vorrei fare un sacco di cose che con la malattia non c'entrano una beata fava, e ho il terrore che la terapia, sei mesi di terapia con annessi e connessi, me lo impedisca fisicamente e psicologicamente. Perchè se succede, se succede di nuovo, crollo.
E ho tanta, tanta paura di crollare.
Ho fatto fatica a fare albero e presepe. Ma li ho fatti.
Ho fatto fatica ad andare al pranzo di Natale con la famiglia. Ma ci sono andata.
Ho dovuto fare diverse rinunce.
Mi sono beccata l'influenza. Quella cattiva di quest'anno, che ti stende per due settimane tra febbroni, raffreddore, tosse, gola in fiamme, dolori alle ossa, mal di testa fisso, stomaco rivoltato.
L'ho passata al Gatto Alfa, fortunatamente immediatamente dopo, almeno (guardiamo il lato positivo) abbiamo potuto prenderci cura l'un l'altro in alternanza.
Ho finalmente smesso di usare la "gabbia", in favore di un normale reggiseno, con tanto di raccomandazioni del plastico "senza ferretti nè push-up". Sembrerà assurdo ma mi ci ero perfino abituata, al punto che i primi giorni di ritorno all'indumento normale mi sentivo persa. Il mio espansore è lì tranquillo, in attesa di riprendere i gonfiaggi tra una chemio e l'altra.
Non sono stata ri-operata. Avrei dovuto esserlo stata il 20 dicembre, ma ero a letto con la febbre alta. Ho rifatto le analisi preoperatorie il 29 dicembre, il giorno appunto del funerale dello zio. Ma durante le festività gli interventi programmati non vengono fatti, perciò ho atteso la chiamata dopo l'Epifania.
Ed è arrivata. Ma non dalla chirurgia, bensì da oncologia, che mi ha voluto lì il giorno dopo.
E quando chiamano da oncologia, di buono non arriva mai niente. Soprattutto quando tra telefonata e appuntamento corrono 24 ore scarse. Tant'è che ci sono andata già immaginando cosa mi sarei sentita dire.
"E' passato troppo tempo dalla mastectomia, Mamigà. E' pericoloso".
"Ok dottore, partiamo".
Il colloquio al quarto piano è durato più di un'ora tra visione dell'istologico (sant'iddio, a sentirmi spiegare cosa e quanto si era sviluppato all'interno del mio seno sinistro in pochissime settimane, a soli tre mesi dai controlli periodici completi di marzo totalmente negativi, mi si sono rizzate credo anche le sopracciglia: un triplo negativo duttulo lobulare invasivo di oltre 5cm di diametro, con due linfonodi metastatici e margini di resezione non puliti. Pheega questa Bestia Bis. Un filo megalomane.), spiegazioni, domande, risposte, pianificazione del percorso. A seguire, eco-cuore subito giù al primo piano, due firme per i consensi, carte da ritirare.
Giovedì 25 gennaio inizio la chemioterapia.
Tra un minimo standard di 6 cicli (quello che fece mia madre sette anni fa) e un massimo standard di 16 (quello che feci io nove mesi prima), indovinate cosa ho vinto?
Naturalmente il pacchetto completo. Che culo. Sei rosse e dieci taxolo. Sei mesi di immersione.
Da qui a giovedì ho un colloquio a scuola con la prof di inglese, una spesa grossa di alimentari da fare, una visita cardiologica (perchè la chemio precedente mi aveva causato una cardiopatia, regredita dopo tre anni, ma c'è tutta una serie di precauzioni da prendere), un altro colloquio con l'oncologo, un taglio di capelli drastico, l'inserimento del PICC.
Ho anche preso appuntamento per il test genetico per la mutazione del BRCA. Anche di questo abbiamo parlato, e si, è ora di farlo, e in caso di positività prendere le adeguate misure. Farò il test ai primi di luglio.
Mi chiedono come sto, e non so cosa rispondere. Sono stordita, inebetita, quasi paralizzata. Faccio le cose come un automa, senza aver voglia di fare in realtà nulla. Non ho voglia di parlare, non ho voglia di scherzare, non ho voglia di sdrammatizzare, non ne ho nemmeno le forze, perchè ho come la sensazione di avere una sorta di tappo sulla parte alta dell'esofago. Avete presente quando avete un fortissimo desiderio di piangere o vomitare? Che ci si sente quel nodo sordo addosso, che incolla le labbra, rivolta lo stomaco, non fa star bene in nessun luogo e in nessuna posizione perchè qualcosa di più prepotente prende le vostre energie? Ecco, così mi sento da tre giorni. Con un bisogno enorme di sfogare e l'impossibilità fisica di farlo.
Non so se stavo meglio otto anni fa quando non sapevo ed ero costretta a prendere le cose man mano che si presentavano, o adesso che so. Mi sento spesso dire "l'hai fatto una volta, ce la farai sicuramente di nuovo". E certo. Questo è il difficile. Sapere cosa vado a rifare, sapere di non poterla evitare se non assumendomi rischi inaccettabili, con la stessa incertezza della prima volta sul risultato finale, che è la parte più brutta che ci si porta dentro: l' abnorme non misurabile punto di domanda di cui nessuno vuole sentir parlare, le stesse persone che su di te sdrammatizzano ma non hanno il coraggio di pronunciare la parola CANCRO e usano altri nomignoli per identificarlo, se non addirittura - si, l'ho visto fare - gesti e scongiuri, e tu te lo tieni per te e non lo dici a nessuno. Ma è lì. E fa orrore anche a te, ma non puoi far finta di non vederlo, non ti è dato di poterlo fare, perchè ce l'hai cucito addosso, fa parte delle tue suture. E la differenza di questa percezione, la seconda volta, la fanno gli ormai otto anni trascorsi, durante i quali ho visto amiche lottare e vincere o trovare compromessi accettabili, ma anche amiche e persone care in paese, dietro casa, a scuola, persone conosciute attraverso la prima malattia, lottare e morire. Non è la stessa cosa fare il bis, non in questo modo. Ve lo giuro.
Concretamente sto prendendo le misure che al tempo ho usato come rattoppi d'urgenza dell'ultimo momento: ho fatto scorta di succo di aloe, paracetamolo, gastroprotettori, alimenti salvastomaco come gallette di mais e barattoli di fette di ananas, sono andata a spanne cercando di ricordare, ma ammetto di far fatica a fare mente locale. Sto approntando la mia scorta di foulards, berretti, guanti di cotone e di lattice, mascherine, spray disinfettanti per i sanitari dei due bagni, disinfettante in gel per le mani da tenere in borsa, matite per le sopracciglia ed eyeliners, bottigliette d'acqua da tenere vicino al letto, e boh, il resto mi verrà in mente. Ah, già, mi sto concedendo di mangiare una varietà (non quantità eh!) spropositata dei cibi che mi piacciono, che tanto tra una decina di giorni per sei mesi poi qualsiasi cosa mi entrerà in bocca avrà il sapore del cartone.
Sto facendo lo sforzo di portarmi avanti per non fare poi della malattia il centro della mia vita come è accaduto otto anni fa, perchè Diosanto, nei prossimi mesi vorrei fare un sacco di cose che con la malattia non c'entrano una beata fava, e ho il terrore che la terapia, sei mesi di terapia con annessi e connessi, me lo impedisca fisicamente e psicologicamente. Perchè se succede, se succede di nuovo, crollo.
E ho tanta, tanta paura di crollare.
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