E' sempre stato così: arrivo tardi. In quasi qualsiasi cosa che non sia un appuntamento. Ma arrivo eh.
Non lo volevo, perchè sono sempre stata dell'idea che se sto al pc è perchè o sono in pausa, o perchè devo fare qualcosa che posso fare solo con il pc. Quindi non vedevo la necessità nè l'utilità di avere un pc-ino in borsa: se ho con me la borsa evidentemente è perchè sono fuori casa, fuori casa di tecnologico ho bisogno solo del cellulare, e un cellulare deve fare il cellulare, cioè telefonare e mandare sms. Tutto il resto sono orpelli inutili.
Pare, però, che il resto del mondo non la pensi così, e si organizza diversamente. Così il chiederlo è stato quasi obbligatorio: le mamme della scuola hanno il gruppo whatsup per girarsi le comunicazioni e i verbali degli interclasse, il coro degli adulti della parrocchia (canto di nuovo dopo quindici anni, veh che novità?) si passa le novità dell'ultima ora e le variazioni in corsa tramite whatsup, la mia "socia" per il mercatino di Natale (faccio il mio primo mercatino, veh che altra novità?) ed io abbiamo un milione di cose da dirci ogni santo giorno per organizzare le cose e via sms o telefonata costerebbe un mutuo, insomma, se non hai whatsup oggi sembra che tu sia tagliata fuori da una fetta di mondo piuttosto consistente.
Insomma, con la scusa del compleanno mi sono "calata", ed è arrivato.
Signore e signori, squilli di trombe, da una decina di giorni ho il mio SMARFONO. Che non è lo Smartphone, io sono veneta, e i veneti hanno lo SMARFON, italianizzato SMARFONO.
E direte, "e quindi? Lo abbiamo tutti, non sei l'unica".
Grazie, lo so. Ma se lo scrivo è perchè in questi giorni sto riflettendo su quanto un cosino così piccolo effettivamente può cambiarti le abitudini. Per la serie, "come cappero facevo prima?".
Stiamo facendo conoscenza.
Litighiamo per diversi motivi:
-scivola dalle mani. E' sottile, superliscio, la custodia deve ancora arrivarmi (ne ho ordinata una superfighizzima, nera con disegnate delle farfalle rosa e arancioni, con i gatti non c'era, mannaggia), sguscia come un'anguilla. E a me le anguille fanno senso, da vive e da secondo piatto.
-La tastiera è piccola, i tasti sono piccoli, anche a girarlo in orizzontale.
-Il T9. Ho dichiarato guerra aperta al T9. Scrivo, correggo, invio la parola alla barra di testo e me la ri-corregge come vuole lui, sequenza a ripetersi un milione di volte. Fa passare la voglia di scrivere e fa venir voglia di fare direttamente una telefonata, non fosse che io detesto comunicare per telefono a voce. Mette gli spazi dove vuole, non capisce che "Latisana" e "La tisana" non sono la stessa cosa, e io una la raggiungo in auto e l'altra la bevo due volte al giorno, che gli piaccia oppure no, e non sono interscambiabili nella stessa frase. Tanto per dirne una. Il T9 deve morire, o cambiare spacciatore.
-La batteria dura il tempo di un respiro. Il Gatto Alfa dice che finchè lo uso nel modo in cui lo sto usando in questi giorni, non può durare di più. Avrà anche ragione. Ma io ero abituata a mettere in carica il cellulare due volte a settimana, non due volte al giorno. Una sana via di mezzo sarebbe una cosa sana, no?
-E' meno intuitivo del mio pc. Non mi è stato fornito un manuale d'uso, sto imparando ad usarlo a naso e coadiuvata dall'esperienza di amiche e conoscenti (via whatsup, e come sennò?), ma sto coso è pieno di misteri. Per esempio la mission di questi giorni è imparare a spostare la maggior parte dei dati sulla scheda di memoria aggiuntiva, ed è una impresa che pare titanica.
-Appunto, la memoria del telefono è quella di un criceto. E qui mi fermo, per rispetto ai criceti.
-Ha un milione di funzioni, ma faccio ancora pasticci per rispondere alle telefonate. Facendo peraltro figure assai magre, e per fortuna ridendoci sopra la gente all'altro capo della linea si intenerisce e di solito mi tranquillizza con un "non preoccuparti, ci sono passata anch'io", come se fosse il morbillo. Vero o no, è imbarazzante. E quando parte la marcia a squilli di trombe che ho impostato come suoneria (ma quanto mi manca la mia cara vecchia registrazione del Power che urla "mammaaaaa rispondi al telefonoooooo!", devo vedere se riesco a metterla anche qui) e appare la malefica striscia rosso-verde che ammicca, parte qualcosa di paragonabile ad un mini attacco d'ansia.
Peeeerò.
E' anche vero che molte cose, con lui, sono più facili di prima.
Ho internet dove voglio. Ho tutte le informazioni che voglio dove voglio e quando voglio. L'altro giorno ero da mia madre, mi racconta che la nonna ha un problema col medico: ha cambiato numero di telefono, non sa come recuperare quello nuovo, con la zia ha litigato e non vuole darglielo, non vuole fare brutta figura a chiederlo in giro, sull'elenco non c'è ancora. Ho googolato il numero della farmacia del posto, ho chiesto il numero, l'ho passato. In meno di due minuti. Una stupidaggine. Ma non per una donna di novant'anni che vive da sola.
Ho perso la lista dei fogli da preparare sul libro del coro. Una mia compagna di gorgheggi ha fotografato la sua lista e me l'ha passata via whatsup in un secondo.
E poi...
Si ha un bel dire che la tecnologia ammazza la comunicazione. Va di moda dire che abbiamo la testa china sullo strumento elettronico e siamo soli anche in mezzo alla folla. Ma anche che la comunicazione tramite il virtuale è solo una illusione.
Fino a un po' di tempo fa mio marito aveva l'abitudine di portare l'arma su e giù da casa al lavoro e viceversa (ora la tiene per lo più in ufficio, per motivi che non sto a spiegare). Capitava che di ritorno dal turno di notte la dimenticasse in soggiorno, scaricata ovviamente, anzichè portarla di sopra al suo posto; in quindici anni di matrimonio più due di fidanzamento ho imparato presto a considerarla parte dell'arredamento, ma quando mia madre arrivava di prima mattina per il suo solito giro e se la trovava davanti sul ripiano della libreria partiva sistematicamente l'ululo: "aaaaah! Porta via quea roba! Che no succeda calcossa!". Non ho mai capito cosa debba succedere con un arnese scarico, per giunta con la sicura innescata, appoggiato come un soprammobile. Avrei potuto batterci le bistecche, o al massimo usarla come piantabulbi per i crocus prendendola per il manico e forandoci il terreno in giardino. Ma quello che rappresenta spaventa (non me, ma io non faccio testo, per lo stesso motivo per cui quando vedo la Gazzella nei dintorni anzichè allarmarmi accendo la macchina del caffè).
Insomma, sono convinta che gli oggetti siano solo dei mezzi, sta a noi usarli bene o male.
E io al mo smarfono ho trovato una utilità per comunicare mica da poco.
Sono molto meno sola, e contemporaneamente riesco a fare più cose. Perchè se prima per stare al pc e chiacchierare con le amiche (anche e soprattutto quelle reali, ce ne sono poche che non conosco ancora di persona tra quelle con cui comunico quasi quotidianamente) dovevo appiattarmi in postazione e attendere i comodi di sua maestà il pc stesso (e usare taaaanto tempo in più per niente), adesso mi porto messenger, telefono e whatsup ovunque in poco spazio. Certo, non è come prendere un caffè vero (quello è insostituibile), ma per me è una cosa preziosa. E' stato prezioso nei giorni scorsi durante le attese in ospedale, perchè non c'è di meglio per calmare l'ansia di quattro battute alla cavolo con chi sa dove andare a parare per farmi ridere, o anche per farmi spostare l'attenzione su cose piacevoli o frivole alternate alle partite a Tetris (odi et amo). Ed è prezioso in questi giorni in cui il gelo, sommato al lavoro per il mercatino, mi tengono inchiodata in casa per molte ore.
domenica 29 novembre 2015
sabato 28 novembre 2015
Ancora sulla giostra, uno sfogo a caldo (poi mi passa, oh se mi passa)
Allora.
Lunedì sono stata a fare l'isteroscopia. Chi l'ha fatta sa che non è una passeggiata, ma sinceramente da come mi era stata raccontata la pensavo un'esperienza peggiore di quello che poi è stata.
L'attesa è stata lunga: sono stata ricoverata alle sette e mezzo e visitata all'una e un quarto. Normale quando si va in ospedale, anche se ho atteso con altre tre donne in vena di chiacchiere. Normalmente non chiacchiero volentieri in queste situazioni, ma stavolta mi sono lasciata trascinare, e non è stato spiacevole. Ha ridotto drasticamente l'ansia.
Il dolore è stato piuttosto intenso, ma breve e tollerabile, accentuato sicuramente dal fatto che avendo l'utero antiverso ed essendo in menopausa chimica ormai da cinque anni, non ero proprio nelle condizioni fisiologiche migliori per il migliore degli esami. Ma insomma, c'è di peggio. Vivo peggio la paura del dentista.
E' stata fatta la biopsia, a vista sembra solo un "coagulo" di endometrio, ma attendiamo gli esiti dell'istologico verso fine anno per tirare il fiato. Anche perchè il medico ha fatto più prelievi, dato che c'era, tutto attorno. E' stato pheeghizzimo stare a guardare il monitor che avevo accanto mentre venivano fatti esame e prelievi: ho visto l'interno del mio utero a colori, in 3D e ingrandito, con tanto di pinza a bocca di coccodrillo ingrandita che strappava qui e là pezzi di tessuto. La curiosità ha alleviato la tensione.
Infine mi sono "goduta" un pomeriggio spossante in poltrona, davanti al fuoco, tisanE (non tisanA) alla mano, coi gatti che si alternavano al mio fianco, senza cenare, a letto presto.
Si lo so, posso sembrare strana, ma in questi anni ho imparato che concentrarsi sull'aspetto drammatico di queste cose (a posteriori, perchè "durante" sfido chiunque a non essere teso) non aiuta per niente ad affrontarle, non le migliora, anzi le peggiora solamente, e non cambia gli esiti finali.
E' con questo spirito che ieri sono stata a fare la risonanza magnetica al seno con mezzo di contrasto. Mai fatta prima. A pancia in giù, che pensavo fosse di un fastidioso incredibile, e invece è stata più comoda di quella in posizione supina, meno claustrofobica. Controllo, semplice controllo ordinato dall'oncologo, così da confermare ulteriormente anche gli esiti delle due ecografie e della biopsia di febbraio e maggio 2015 (il granuloma sul seno operato).
Un quarto d'ora di esame, poi mi fanno accomodare in osservazione per una mezz'ora prima di togliermi l'ago dal braccio. Ad un certo punto esce il medico, e mi chiede il dischetto dell'ultima ecografia fatta per verificare alcune immagini, il referto lo avevano già in fotocopia. Glielo porgo, me lo restituisce dopo un quarto d'ora. Alle dieci circa esco e vado a fare colazione (ero digiuna).
Per fare contenti i suoceri, dato che al ritorno è bastata una deviazione di pochissimi chilometri e il Power non sarebbe stato a casa prima delle cinque, siamo stati a pranzo da loro. E mentre pranzavamo è arrivata la telefonata.
"Signora, è la Radiologia dell'ospedale della Big City, ci siamo viste circa tre ore fa". E già lì...
"Dovrebbe tornare... dovremmo vedere... le abbiamo fissato una ecografia per martedì prossimo".
Credo di essere diventata di un colore indefinibile, perchè a tavola mi guardavano con gli occhi sgranati.
"Ma l'ho fatta a maggio e tre mesi prima, c'è la biopsia, avete tutto... La risonanza serviva a ratificare le due eco. Avete trovato qualcosa d'altro???"
"Si, no, ma dovremmo verificare, analizzare meglio, a volte dopo la risonanza si fa l'eco per confermare l'esito".
"Ma ho già una ecografia fissata per il prossimo febbraio, non mancano secoli".
"No, dobbiamo farla subito, ma stia tranquilla".
AAAAAHAHAHAHAHAH. Bella battuta.
Tranquilla un par di ciufoli. Vorrei vedere voi. Soprattutto dopo che i medici, nonostante passino gli anni dal tumore (ormai quasi SEI), vi trattano come foste bombe ad orologeria, vi continuano a fissare i controlli a sei/otto mesi anzichè portarli ad annuali (come hanno fatto con la mia mamma, che secondo loro l'aveva peggiore della mia, la menata), ad ogni spillo fuori posto vi fanno passare sotto ad uno scanner random, MA vi congedano costantemente con un "signora stia tranquilla". Ecco, questo mi da profondamente ai nervi. Mi fa sentire un tichinin presa per il sedere. D'altra parte non vedo che altro potrebbero dirmi, umanamente non è facile trovare le cose giuste da dire, ricordo perfettamente come ragionavo prima della malattia, e so quanto suscettibili si possa diventare "dopo". Ma quel "stia tranquilla" mi urta. Come mi urtano i "pensa positivo". No, cacchio. Io non penso positivo, non in questi frangenti. Io penso che non mettere sul piatto la realtà dei fatti, il rischio, è fare come gli struzzi. Accetto meglio un "non annegarci, cerca di distrarti, non concentrarti solo sul peggio", è più realistico, e così ho sempre fatto e lo farò ancora, perchè ho anche altro a cui pensare (fortunatamente) durante il giorno, e non sono mica in punto di morte. Non mi sento la terra mancare sotto ai piedi come succede a tante (purtroppo) ad ogni controllo anche dopo anni ed anni, non sono angosciata. Forse è fortuna, forse è questione di carattere, o forse è tutte e due. Ma "pensa positivo" non ditelo. MAI. Perchè se foste al posto mio, nostro, capireste che è non impossibile, ma irrazionale.
E così martedì altro giro, altra corsa.
La verità? Ieri sera non ero in ansia, non lo sono nemmeno stamattina. Assurdo? Forse.
Non ero in ansia, ero solo incazzata, e tanto. L'assurdo è che non so il motivo, e non so nemmeno con chi fossi incazzata, ma lo ero terribilmente, profondamente, furiosamente. Era più forte di me. Ero incazzata e stufa, stufissima, con poca voglia di parlare e tanta di concentrarmi su cose più interessanti, come il mio primo mercatino del sei dicembre, ho tante di quelle cose da fare ancora per allestire il banco. Non ho nè voglia nè energie da regalare ad una malattia che non c'è (perchè NON c'è più, non deve esserci e non c'è, lo dico io e basta), alle ipotesi, alle corse alla Big City come a Tisanville, agli scanner, e soprattutto agli imprevisti che non regalano niente in cambio, anzi, fanno solo perdere tempo. Prego e spero solo che i markers che andrò a fare a metà dicembre non abbiano nemmeno una virgola fuori range, o chissà dove altro mi spediscono a farmi rabaltare. E anzichè a febbraio andro avanti ad oltranza anche stavolta.
Sicuramente con il passare delle ore questa cosa andrà a scemare, ma intanto c'è, è la sensazione di essere su una giostra che non si ferma, e io non ho mai amato le giostre al pari di quanto non amo le maschere. Voglio decidere io come girare, non lasciar decidere a un giostraio che non vedo nemmeno in viso.
Lunedì sono stata a fare l'isteroscopia. Chi l'ha fatta sa che non è una passeggiata, ma sinceramente da come mi era stata raccontata la pensavo un'esperienza peggiore di quello che poi è stata.
L'attesa è stata lunga: sono stata ricoverata alle sette e mezzo e visitata all'una e un quarto. Normale quando si va in ospedale, anche se ho atteso con altre tre donne in vena di chiacchiere. Normalmente non chiacchiero volentieri in queste situazioni, ma stavolta mi sono lasciata trascinare, e non è stato spiacevole. Ha ridotto drasticamente l'ansia.
Il dolore è stato piuttosto intenso, ma breve e tollerabile, accentuato sicuramente dal fatto che avendo l'utero antiverso ed essendo in menopausa chimica ormai da cinque anni, non ero proprio nelle condizioni fisiologiche migliori per il migliore degli esami. Ma insomma, c'è di peggio. Vivo peggio la paura del dentista.
E' stata fatta la biopsia, a vista sembra solo un "coagulo" di endometrio, ma attendiamo gli esiti dell'istologico verso fine anno per tirare il fiato. Anche perchè il medico ha fatto più prelievi, dato che c'era, tutto attorno. E' stato pheeghizzimo stare a guardare il monitor che avevo accanto mentre venivano fatti esame e prelievi: ho visto l'interno del mio utero a colori, in 3D e ingrandito, con tanto di pinza a bocca di coccodrillo ingrandita che strappava qui e là pezzi di tessuto. La curiosità ha alleviato la tensione.
Infine mi sono "goduta" un pomeriggio spossante in poltrona, davanti al fuoco, tisanE (non tisanA) alla mano, coi gatti che si alternavano al mio fianco, senza cenare, a letto presto.
Si lo so, posso sembrare strana, ma in questi anni ho imparato che concentrarsi sull'aspetto drammatico di queste cose (a posteriori, perchè "durante" sfido chiunque a non essere teso) non aiuta per niente ad affrontarle, non le migliora, anzi le peggiora solamente, e non cambia gli esiti finali.
E' con questo spirito che ieri sono stata a fare la risonanza magnetica al seno con mezzo di contrasto. Mai fatta prima. A pancia in giù, che pensavo fosse di un fastidioso incredibile, e invece è stata più comoda di quella in posizione supina, meno claustrofobica. Controllo, semplice controllo ordinato dall'oncologo, così da confermare ulteriormente anche gli esiti delle due ecografie e della biopsia di febbraio e maggio 2015 (il granuloma sul seno operato).
Un quarto d'ora di esame, poi mi fanno accomodare in osservazione per una mezz'ora prima di togliermi l'ago dal braccio. Ad un certo punto esce il medico, e mi chiede il dischetto dell'ultima ecografia fatta per verificare alcune immagini, il referto lo avevano già in fotocopia. Glielo porgo, me lo restituisce dopo un quarto d'ora. Alle dieci circa esco e vado a fare colazione (ero digiuna).
Per fare contenti i suoceri, dato che al ritorno è bastata una deviazione di pochissimi chilometri e il Power non sarebbe stato a casa prima delle cinque, siamo stati a pranzo da loro. E mentre pranzavamo è arrivata la telefonata.
"Signora, è la Radiologia dell'ospedale della Big City, ci siamo viste circa tre ore fa". E già lì...
"Dovrebbe tornare... dovremmo vedere... le abbiamo fissato una ecografia per martedì prossimo".
Credo di essere diventata di un colore indefinibile, perchè a tavola mi guardavano con gli occhi sgranati.
"Ma l'ho fatta a maggio e tre mesi prima, c'è la biopsia, avete tutto... La risonanza serviva a ratificare le due eco. Avete trovato qualcosa d'altro???"
"Si, no, ma dovremmo verificare, analizzare meglio, a volte dopo la risonanza si fa l'eco per confermare l'esito".
"Ma ho già una ecografia fissata per il prossimo febbraio, non mancano secoli".
"No, dobbiamo farla subito, ma stia tranquilla".
AAAAAHAHAHAHAHAH. Bella battuta.
Tranquilla un par di ciufoli. Vorrei vedere voi. Soprattutto dopo che i medici, nonostante passino gli anni dal tumore (ormai quasi SEI), vi trattano come foste bombe ad orologeria, vi continuano a fissare i controlli a sei/otto mesi anzichè portarli ad annuali (come hanno fatto con la mia mamma, che secondo loro l'aveva peggiore della mia, la menata), ad ogni spillo fuori posto vi fanno passare sotto ad uno scanner random, MA vi congedano costantemente con un "signora stia tranquilla". Ecco, questo mi da profondamente ai nervi. Mi fa sentire un tichinin presa per il sedere. D'altra parte non vedo che altro potrebbero dirmi, umanamente non è facile trovare le cose giuste da dire, ricordo perfettamente come ragionavo prima della malattia, e so quanto suscettibili si possa diventare "dopo". Ma quel "stia tranquilla" mi urta. Come mi urtano i "pensa positivo". No, cacchio. Io non penso positivo, non in questi frangenti. Io penso che non mettere sul piatto la realtà dei fatti, il rischio, è fare come gli struzzi. Accetto meglio un "non annegarci, cerca di distrarti, non concentrarti solo sul peggio", è più realistico, e così ho sempre fatto e lo farò ancora, perchè ho anche altro a cui pensare (fortunatamente) durante il giorno, e non sono mica in punto di morte. Non mi sento la terra mancare sotto ai piedi come succede a tante (purtroppo) ad ogni controllo anche dopo anni ed anni, non sono angosciata. Forse è fortuna, forse è questione di carattere, o forse è tutte e due. Ma "pensa positivo" non ditelo. MAI. Perchè se foste al posto mio, nostro, capireste che è non impossibile, ma irrazionale.
E così martedì altro giro, altra corsa.
La verità? Ieri sera non ero in ansia, non lo sono nemmeno stamattina. Assurdo? Forse.
Non ero in ansia, ero solo incazzata, e tanto. L'assurdo è che non so il motivo, e non so nemmeno con chi fossi incazzata, ma lo ero terribilmente, profondamente, furiosamente. Era più forte di me. Ero incazzata e stufa, stufissima, con poca voglia di parlare e tanta di concentrarmi su cose più interessanti, come il mio primo mercatino del sei dicembre, ho tante di quelle cose da fare ancora per allestire il banco. Non ho nè voglia nè energie da regalare ad una malattia che non c'è (perchè NON c'è più, non deve esserci e non c'è, lo dico io e basta), alle ipotesi, alle corse alla Big City come a Tisanville, agli scanner, e soprattutto agli imprevisti che non regalano niente in cambio, anzi, fanno solo perdere tempo. Prego e spero solo che i markers che andrò a fare a metà dicembre non abbiano nemmeno una virgola fuori range, o chissà dove altro mi spediscono a farmi rabaltare. E anzichè a febbraio andro avanti ad oltranza anche stavolta.
Sicuramente con il passare delle ore questa cosa andrà a scemare, ma intanto c'è, è la sensazione di essere su una giostra che non si ferma, e io non ho mai amato le giostre al pari di quanto non amo le maschere. Voglio decidere io come girare, non lasciar decidere a un giostraio che non vedo nemmeno in viso.
venerdì 20 novembre 2015
Mamigauguri, ma ditelo sottovoce
C'è chi ha paura dei "venerdì 17".
Io ho paura del mio compleanno.
2012, quarantesimo genetliaco: la sera prima muore la nonna centenaria del Gatto Alfa, ovviamente il Gatto Alfa dimentica il mio compleanno (il minimo della pena), io in piena crisi isterica da "noncelafacciopiù" dopo due settimane di agonia della Ghighie con relativo scombussolo, strazio, andirivieni di tutta la famiglia verso la Big City, senso di impotenza incalzante (perchè io non ho potuto fare altro che stare dietro le quinte, supportare con pasti pronti a qualsiasi ora e servizi taxi all'occorrenza, gestire il Power completamente da sola e fare in modo che l'omo tra turni di lavoro e corse in ospedale quotidiane a portare i suoi non avesse altre cose per cui preoccuparsi) e tensione di nervi a un miliardo che si "molla" in un colpo solo stile elastico da fionda (esiste una scala di misurazione dello stress nervoso?) trascorro metà pomeriggio e l'intera serata in lacrime. Ma fisse, proprio.
2013, quarantunesimo: nel primo pomeriggio ricevo la notizia che la nostra Anna vola libera, dopo l'inferno lunghissimo della malattia. Piango. Tanto. Ho il cuore stretto.
2014, quarantaduesimo: mi riservo di festeggiare la sera. Non ho preparato che una torta da dividere in tre, perchè non si sa mai, visti i precedenti. Ho trascorso la giornata completamente da sola: l'omo al lavoro, il Power dopo la scuola è andato alla festa di compleanno di un compagno, e non ha nemmeno cenato perchè si è imbottito di ogni ben di dei in casa del Samu. Le amiche più sensibili mi fanno gli auguri il giorno dopo. Apprezzo.
2015, oggi, quarantatreesimo compleanno: udite udite, meno di 24 ore fa ho ricevuto una tegola di discrete dimensioni. Sto facendo i controlli semestrali, ieri era il turno del ginecologo, che mi trova una piccola massa nell'endometrio e mi fissa un day hospital d'urgenza per una isteroscopia tra tre giorni. Può essere un polipo, un fibroma, o qualcosa d'altro che preferisco non ipotizzare, ma l'anno scorso non c'era, e oggi c'è. E va vista subito ed eventualmente rimossa e analizzata, per la solita manfrina "con quello che ha passato, la famigliarità, la terapia ormonale in corso e blablabla... non mi fido ad aspettare". Poi il doctor mi congeda con un "stia tranquilla signora", e a me vengono in mente un sacco di risposte alternative al "grazie, arrivederci a lunedì", che preferisco non elencare.
Che dire... Per il prossimo anno proporrò che mi addormentino il 18 sera e mi risveglino il 22 mattina. Mi piace dormire, sono narcolettica dalla nascita io. Dormire allunga la vita. Dormire mantiene giovani, distende le rughe, ha un botto di vantaggi. Ma anche partire per un "three days" alle Canarie, sui Fiordi (belli quelli, anche per la temperatura, che io amo il freddo come il maggior dirigente della Bo Frost) o più semplicemente alle Terme di By-by-one, più economiche e logisticamente più appetibili. Per far finta di nascondersi. E magari godersela anche un po'.
Auguri, Mamigà. Sono quarantatrè.
Io ho paura del mio compleanno.
2012, quarantesimo genetliaco: la sera prima muore la nonna centenaria del Gatto Alfa, ovviamente il Gatto Alfa dimentica il mio compleanno (il minimo della pena), io in piena crisi isterica da "noncelafacciopiù" dopo due settimane di agonia della Ghighie con relativo scombussolo, strazio, andirivieni di tutta la famiglia verso la Big City, senso di impotenza incalzante (perchè io non ho potuto fare altro che stare dietro le quinte, supportare con pasti pronti a qualsiasi ora e servizi taxi all'occorrenza, gestire il Power completamente da sola e fare in modo che l'omo tra turni di lavoro e corse in ospedale quotidiane a portare i suoi non avesse altre cose per cui preoccuparsi) e tensione di nervi a un miliardo che si "molla" in un colpo solo stile elastico da fionda (esiste una scala di misurazione dello stress nervoso?) trascorro metà pomeriggio e l'intera serata in lacrime. Ma fisse, proprio.
2013, quarantunesimo: nel primo pomeriggio ricevo la notizia che la nostra Anna vola libera, dopo l'inferno lunghissimo della malattia. Piango. Tanto. Ho il cuore stretto.
2014, quarantaduesimo: mi riservo di festeggiare la sera. Non ho preparato che una torta da dividere in tre, perchè non si sa mai, visti i precedenti. Ho trascorso la giornata completamente da sola: l'omo al lavoro, il Power dopo la scuola è andato alla festa di compleanno di un compagno, e non ha nemmeno cenato perchè si è imbottito di ogni ben di dei in casa del Samu. Le amiche più sensibili mi fanno gli auguri il giorno dopo. Apprezzo.
2015, oggi, quarantatreesimo compleanno: udite udite, meno di 24 ore fa ho ricevuto una tegola di discrete dimensioni. Sto facendo i controlli semestrali, ieri era il turno del ginecologo, che mi trova una piccola massa nell'endometrio e mi fissa un day hospital d'urgenza per una isteroscopia tra tre giorni. Può essere un polipo, un fibroma, o qualcosa d'altro che preferisco non ipotizzare, ma l'anno scorso non c'era, e oggi c'è. E va vista subito ed eventualmente rimossa e analizzata, per la solita manfrina "con quello che ha passato, la famigliarità, la terapia ormonale in corso e blablabla... non mi fido ad aspettare". Poi il doctor mi congeda con un "stia tranquilla signora", e a me vengono in mente un sacco di risposte alternative al "grazie, arrivederci a lunedì", che preferisco non elencare.
Che dire... Per il prossimo anno proporrò che mi addormentino il 18 sera e mi risveglino il 22 mattina. Mi piace dormire, sono narcolettica dalla nascita io. Dormire allunga la vita. Dormire mantiene giovani, distende le rughe, ha un botto di vantaggi. Ma anche partire per un "three days" alle Canarie, sui Fiordi (belli quelli, anche per la temperatura, che io amo il freddo come il maggior dirigente della Bo Frost) o più semplicemente alle Terme di By-by-one, più economiche e logisticamente più appetibili. Per far finta di nascondersi. E magari godersela anche un po'.
Auguri, Mamigà. Sono quarantatrè.
martedì 10 novembre 2015
San Martin ze andà in sofita...
11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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San Martino, la tradizione di festeggiarlo risale a moltissimi secoli fa ormai, dalla fondazione della chiesa dedicata al Santo, nel 1540. Ne sono passati di secoli, quasi 5, ma la festa è giunta fino ai giorni nostri, ed è sempre molto sentita in città, amata da tutti i veneziani.
L'11 novembre, sempre da tradizione, i più piccoli girano per le strade della città con una corona di carta in testa, facendo confusione con pentole e campane, e chiedendo "un po' di generosità" ai passanti. Un modo come un altro per chiedere qualche soldo. Questa è una prassi che sta via via scomparendo, molto diffusa nei decenni passati, ma che non incontra più l'interesse dei bambini, più coinvolti da altri tipi di ricorrenza, una su tutti, Halloween. E saranno sicuramente in molti, specie i più attempati, a non capire il perché di questo cambio della tradizione.
Una tradizione che invece non scompare è quella che si festeggia a tavola, con i dolci di pastafrolla a forma di San Martino, che cavalca il suo cavallo. Glassati di cioccolato e ricoperti di caramelle, cioccolatini e dolciumi vari: un vero tripudio per gli occhi, ma anche per le proprie papille gustative. Le pasticcerie e le vetrine, addobbate a tema, pullulano di dolci di San Martino in tutte le dimensioni e forme, riccamente colorati: dei piccoli capolavori ai quali è davvero molto difficile rimanere indifferenti.
11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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Tradizione tipicamente veneziana, quella della preparazione del dolce di pastafrolla a "forma" di santo si sta diffondendo anche nella terraferma, non solo nella provincia di Venezia, ma anche in quelle di Padova e Treviso.
Per tutti quelli che lo festeggiano, che San Martino è quello senza il dolcetto di pastafrolla, riccamente decorato e colorato?
Da un articolo di oggi di VeneziaToday (link)
E come ogni anno, se pure in trasferta definitiva da quindici anni, anche il 2015 ha il mio dolce di san Martino, che mi vede impegnata per mezz'ora il mattino per pasta e sagoma (più il tempo per la cottura, ma tanto il forno fa da sè) e un po' di più il pomeriggio per decorarlo.
Di solito, il giorno in cui lo preparo (il 10 novembre, in modo da averlo pronto il giorno della festa per farci colazione), i pensieri verso i ricordi di quando ero bambina la fanno da padroni mentre ci lavoro. Il dolce a forma di cavallo e cavaliere in casa nostra non mancava mai. Ho avuto un'ottima maestra, la mia mamma. Anche se lei il cioccolato non lo metteva, ma lo ricopriva di glassa bianca a riccioli e "bonboncini" (come li chiama lei). Dopo sposata l'ho sempre fatto io, affiancando le mie tradizioni a quelle prese nel luogo in cui vivo. E a beneficiarne, ovviamente, è mio figlio, che si pappa queste e quelle, e come me a distanza di trent'anni infila nello zaino di scuola il pezzo migliore per esibirlo (e disintegrarlo) a ricreazione.
E anche quest'anno, per il terzo anno consecutivo, l'amica che mi ha regalato lo stampo (grazie Cristina!) è stata ricordata con immenso affetto, per avermi agevolato nel lavoro ^_^
Il difficile è attendere domani per farlo a pezzi e farlo sparire.
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11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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San Martino, la tradizione di festeggiarlo risale a moltissimi secoli fa ormai, dalla fondazione della chiesa dedicata al Santo, nel 1540. Ne sono passati di secoli, quasi 5, ma la festa è giunta fino ai giorni nostri, ed è sempre molto sentita in città, amata da tutti i veneziani.
L'11 novembre, sempre da tradizione, i più piccoli girano per le strade della città con una corona di carta in testa, facendo confusione con pentole e campane, e chiedendo "un po' di generosità" ai passanti. Un modo come un altro per chiedere qualche soldo. Questa è una prassi che sta via via scomparendo, molto diffusa nei decenni passati, ma che non incontra più l'interesse dei bambini, più coinvolti da altri tipi di ricorrenza, una su tutti, Halloween. E saranno sicuramente in molti, specie i più attempati, a non capire il perché di questo cambio della tradizione.
Una tradizione che invece non scompare è quella che si festeggia a tavola, con i dolci di pastafrolla a forma di San Martino, che cavalca il suo cavallo. Glassati di cioccolato e ricoperti di caramelle, cioccolatini e dolciumi vari: un vero tripudio per gli occhi, ma anche per le proprie papille gustative. Le pasticcerie e le vetrine, addobbate a tema, pullulano di dolci di San Martino in tutte le dimensioni e forme, riccamente colorati: dei piccoli capolavori ai quali è davvero molto difficile rimanere indifferenti.
11 novembre, il giorno di san Martino: la tradizione del dolce decorato - Blog
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Tradizione tipicamente veneziana, quella della preparazione del dolce di pastafrolla a "forma" di santo si sta diffondendo anche nella terraferma, non solo nella provincia di Venezia, ma anche in quelle di Padova e Treviso.
Per tutti quelli che lo festeggiano, che San Martino è quello senza il dolcetto di pastafrolla, riccamente decorato e colorato?
Da un articolo di oggi di VeneziaToday (link)
E come ogni anno, se pure in trasferta definitiva da quindici anni, anche il 2015 ha il mio dolce di san Martino, che mi vede impegnata per mezz'ora il mattino per pasta e sagoma (più il tempo per la cottura, ma tanto il forno fa da sè) e un po' di più il pomeriggio per decorarlo.
Di solito, il giorno in cui lo preparo (il 10 novembre, in modo da averlo pronto il giorno della festa per farci colazione), i pensieri verso i ricordi di quando ero bambina la fanno da padroni mentre ci lavoro. Il dolce a forma di cavallo e cavaliere in casa nostra non mancava mai. Ho avuto un'ottima maestra, la mia mamma. Anche se lei il cioccolato non lo metteva, ma lo ricopriva di glassa bianca a riccioli e "bonboncini" (come li chiama lei). Dopo sposata l'ho sempre fatto io, affiancando le mie tradizioni a quelle prese nel luogo in cui vivo. E a beneficiarne, ovviamente, è mio figlio, che si pappa queste e quelle, e come me a distanza di trent'anni infila nello zaino di scuola il pezzo migliore per esibirlo (e disintegrarlo) a ricreazione.
E anche quest'anno, per il terzo anno consecutivo, l'amica che mi ha regalato lo stampo (grazie Cristina!) è stata ricordata con immenso affetto, per avermi agevolato nel lavoro ^_^
Il difficile è attendere domani per farlo a pezzi e farlo sparire.
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venerdì 6 novembre 2015
Discorsi non più nuovi
All'inizio la sensazione è stata quella di sbattere il naso, nel vero senso della parola: una è abituata a giostrarsi tra i cartoni animati e la nuova nave di Lego ultimo modello made by Power costata un'ora e mezzo di lavoro certosino, e di punto in bianco calano dal cielo novità che sembrano uscire dalla bocca di un alieno, o comunque un figlio non proprio. Ma ci sto facendo l'abitudine, e non è affatto spiacevole, dato che ho un interlocutore che si dimostra molto interessato, e piuttosto incline ad una sana (a me sembra) elaborazione dei concetti in questione, peraltro per niente semplici, dato che coinvolgono un mucchio di sensazioni fisiche ed emotive nuovissime da gestire.
Da settimane, quando siamo soli a tavola io e lui (e solo in queste situazioni, perchè, dice, "tu mi prendi sul serio quando parlo di queste cose"... e io mi alzo di venti centimetri da terra), vuole parlare di sesso, di omosessualità, di masturbazione, di perversioni, di amore. A volte ridacchia, e penso sia normale, ma la maggior parte del tempo lo passa a far domande. Sono sicura che una parte di lui è mossa dalla curiosità, dato che tra amici ormai ne parlano (e ne sparlano) ogni giorno: sono argomenti da fighi, e gli amici che hanno fratelli più grandi sono ancora più fighi perchè le sparano più grosse (alcune mi fanno rabaltare sulla sedia dal ridere, sono sincera!). L'altra parte, e per ora la percepisco ancora molto piccola, credo sia un inizio di rabaltamento di ormoni. Credo che il problema inizierà ad esserci quando le due parti si invertiranno. Non la vedo semplice, per lui e per me.
Tante mamme rimpiangono i pannolini, le pappe, il borotalco e la culla. Io no.
Sarò sincera: a me sta benissimo così. Perchè per quanto difficile, e difficile lo è sempre essere genitore, adesso mi sembra di godere di tutta la personalità di mio figlio ma senza sfinimenti, senza più i capricci esasperanti, senza la fatica di doverlo gestire fisicamente, senza ancora i problemi dell'adolescenza vera e propria. Ed è una personalità che adoro.
Da settimane, quando siamo soli a tavola io e lui (e solo in queste situazioni, perchè, dice, "tu mi prendi sul serio quando parlo di queste cose"... e io mi alzo di venti centimetri da terra), vuole parlare di sesso, di omosessualità, di masturbazione, di perversioni, di amore. A volte ridacchia, e penso sia normale, ma la maggior parte del tempo lo passa a far domande. Sono sicura che una parte di lui è mossa dalla curiosità, dato che tra amici ormai ne parlano (e ne sparlano) ogni giorno: sono argomenti da fighi, e gli amici che hanno fratelli più grandi sono ancora più fighi perchè le sparano più grosse (alcune mi fanno rabaltare sulla sedia dal ridere, sono sincera!). L'altra parte, e per ora la percepisco ancora molto piccola, credo sia un inizio di rabaltamento di ormoni. Credo che il problema inizierà ad esserci quando le due parti si invertiranno. Non la vedo semplice, per lui e per me.
Tante mamme rimpiangono i pannolini, le pappe, il borotalco e la culla. Io no.
Sarò sincera: a me sta benissimo così. Perchè per quanto difficile, e difficile lo è sempre essere genitore, adesso mi sembra di godere di tutta la personalità di mio figlio ma senza sfinimenti, senza più i capricci esasperanti, senza la fatica di doverlo gestire fisicamente, senza ancora i problemi dell'adolescenza vera e propria. Ed è una personalità che adoro.
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